King Crimson

Red

Recensione
Pubblicato il 10/12/2018

Comprimendo geometrie del male e della rabbia.

Sulla, bella, foto di copertina, i King Crimson, appaiono in tre, eppure no, David Cross non è licenziato, figura ancora nei credits. Fripp, aveva sentenziato che il suono del suo violino era troppo flebile, rispetto a quanto la band era in grado di creare, ma forse una realtà era sottesa a questa affermazione. Non c'era più bisogno della scrittura del violinista, così vicina ad una classica contemporanea che si allontanava da quel minimalismo storico a cui il fondatore della band tendeva (e che sarebbe diventato brulichio smanettone, certo impressionante, ma comunque, algido e smanettone, sul seguente “Discipline”, nato quasi una decade dopo quest'immenso lascito). Non solo, c'era un desiderio di perfezionismo tecnico che poco legava al modo di suonare di Cross, oggettivamente "calante". Vengono richiamati "a corte", Mel Collins e Ian McDonald, ai fiati (ma figurano anche un'oboe, una tromba cornetta e un violoncello suonato da un nome neanche segnato tra le note di copertina... del resto, Fripp è deus ex machina e degli altri, poco importa, a lui... ovviamente).
Nonostante gli intenti dell'uomo che conduce le redini della band, non sono i pezzi più duri a risultare i più memorabili (nonostante la bella “Red”, che certo, a nessuna band heavy anni '90, è passata inosservata, Tool su tutte e a dispetto di quanto era accaduto con il superbo “Lark's Tongues in Aspic”), ma due brani che alternano struggente poesia a increspature elettriche di un dramma crudo, sostenuto da interventi di fiati memorabili.
Il primo è l'incredibile "Fallen Angel", dall'impagabile arrangiamento, sospeso tra ballad, traumatiche modulazioni armoniche in chiave hard-rock/nuovo jazz (non si ascolta più l'urlo del free jazz in questi solchi, come era stato nel mastodontico e pretenzioso “Lizard” e l'incostante ma seminale “Island”, ma i fraseggi sublimi di un mediato Miles Davis).
Il secondo, è una delle composizioni più belle di sempre e si chiama "Starless".
La drammatica melodia, accompagnata dal suono del mellotron, dalla chitarra di Fripp e da un canto di Wetton, per nulla a suo agio con aperture che necessitano tenuta di fiato (diaframma questo sconosciuto) e dunque, talvolta, stonato, cede il passo ad uno dei buchi neri più incredibili di sempre. Su una sola nota ribattuta, si sviluppa un'autentico vortice sonico, un muro del suono pari solo alle attuali estetiche dei drones (Michael Gira, ne avrebbe tratto le conseguenze, nel magnifico “The Seer”, dei suoi Swans), che si stempera in un'apertura jazz "davisiana", semplicemente sublime, tale da preludere al finale di mellotron e riprendere il tema iniziale. “Starless” è brano da salvaguardare come patrimonio mondiale della musica.
Gli episodi "minori",mantengono valore e interesse per soluzioni strumentali di grande pregio.
“One More Red Nightmare”, avvicina quel freddo raziocinio strumentale, che in futuro, l'architetto Fripp farà suo. Strumentalmente e tecnicamente (preziosissimi gli interventi di Ian McDonald e Bill Bruford), a partire dal granitico riff che l'accompagna, il pezzo è inossidabile, ma la melodia del canto, non è nulla di particolarmente avvincente. La struttura si fa assai complessa, ideale ascolto per ogni fan del progressive rock meno ortodosso e più creativo.
A testimoniare la presenza tangibile di Cross, c'è “Providence”, brano in buona misura nato da un'improvvisazione, a partire da un tema da lui scritto, che bussa alla porta delle “Sequenze” di Luciano Berio, al Ligeti più ardito, ma anche a Giacinto Scelsi. Nella sezione iniziale, un brano di classica contemporanea tout court, dove, violino e fiati a parte (ben inserite le percussioni, ma anche la chitarra di Fripp), Wetton, è completamente fuori posto, col suo basso possente, tale da ammazzare ogni dinamica. Quando il pezzo prende quota, si dipana su dinamiche jazz-rock. Tutto sommato, l'episodio meno significante dell'album. In futuro, il rapporto con Fripp, sarebbe stato sanato e oltremodo celebrato col favoloso brano “Tonk” (con Fripp alla chitarra e Peter Hammill alla voce), incluso in “Exiles”, disco di Cross del 1997, dove il chitarrista è anche co-autore del brano “Cakes”.
“Red”, non è, a mio avviso, l'album più “compiuto” dei Crimson (per quello, ci rivolgeremo, a breve, a Lark's Tongues in Aspic), ma è quello per cui il mio cuore batte più forte. Sarà per l'immortale bellezza di “Starless” e “Fallen Angel”, per la spigolosità dei suoni, che lo rendono il più "attuale" (assieme all'ultimo parto, “The Power to Believe”, ormai di ben 15 anni fa), per i contributi esterni al trio, che aggiungono negritudine o violenza classicista, al nero pece dell'afflato del trio, perfettamente inserito nel suo tempo, sorte, tra le prog band, toccata solo ai Van Der Graaf Generator....non so.
So soltanto che di episodio null'affatto prescindibile si tratta e che può essere amato, tanto da chi è avvezzo al metal, al post-punk, al jazz, al math-rock, al post-rock, più che semplicisticamente, al progressive rock, genere (in origine “attitudine”, come il primo, illuminato cantore del progetto, Greg Lake, ebbe a dire) che tutto e nulla significa, tanto ieri come oggi. Un “non genere” che tutto ingloba e poco esclude, qualora non si rinchiuda nello steccato del mellotron a palla, di storie di fate e folletti o Corti Cremisi, di cui, la band in questione, suo malgrado e con la capacità di evolversi in meglio, fu iniziatrice.

King Crimson - Red

King Crimson

Red

Cd, 1974, E.G. Records
Genere: Avant rock , Progressivo , Rock

Brani:

  • 1) Red
  • 2) Fallen Angel
  • 3) One More Nightmare
  • 4) Providence
  • 5) Starless

Informazioni tratte dal disco

Formazione:
Robert Fripp: chitarra, mellotron
John Wetton: basso, voce
Bill Bruford: batteria, percussioni
Con:
David Cross: violino in “Providence”
Mel Collins: sax soprano in “Starless”
Ian McDonald: sax alto in “One More Red Nighmare”e “Starless”
Robin Miller: oboe in “Fallen Angel”
Mark Charig: cornetta in “Fallen Angel”

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