Universal Totem Orchestra
Mathematical Mother
Dopo l'affascinante e bizzarro album di debutto, quel Rituale alieno venuto fuori nel 1999, che sposava lo stile cosiddetto zeuhl, à la Magma, con un certo fare goticheggiante, ricami barocchi e perfino vaghi elementi elettronico-industriali (corredato dall'artwork misterioso di Danilo Capua, da quel momento in poi sorta di ulteriore marchio di fabbrica per il collettivo) e il raffinato The Magus (2008), secondo lavoro tra fusion, progressive incattivito, jazz d'avanguardia, violenza psicologica post-Vander e arcano incanto, Mathematical Mother pone ulteriori carte in tavola ed esce (come The Magus) a quasi dieci anni di distanza dal predecessore per conto della Black Widow Records di Genova, situata proprio nella Via del Campo resa celebre da un motivo di Fabrizio De André.
Più melodico, invitante, sinfonico, rock: vade retro molestie soniche e cacofonie. Generale lunaticità musicale (ma questo già si sapeva), affiatato connubio voce-tastiera e pure una fugace tresca voce-sax. Un fantasmagorico e caratteristico miscuglio di stili, influssi e sonorità.
Il monicker Universal Totem Orchestra è certamente pensato per essere letto da una prospettiva anglofona ma, a onor del vero, oltre ad essere spesso abbreviato in UTO come valeva, facendo giusto un esempio, per la Premiata Forneria Marconi/PFM, esso si può intendere - volendo - anche all'italiana (ovvero Universal troncherebbe poeticamente la e finale di Universale) facendolo assomigliare ai nomi delle vecchie formazioni di rock progressivo del belpaese come Reale Accademia di Musica, Albergo Intergalattico Spaziale o i succitati PFM. Lo stesso nome del gruppo richiama soprattutto quello di Area - International POPular Group (una delle influenze maggiormente percepibili, seppur la matrice cardine rimanga la contorta musique de Magma; si è passati così da International a Universal), di cui par quasi un'estensione, dando quindi un'idea di filiazione parziale dal rock progressivo di marca italica, data comunque per appurata la natura personale e paleofuturistica dei suoni U.T.O. che ci parlano di strane entità aliene, meccaniche cosmiche e congiunzioni sideree.
Provenienti da Rovereto (Trentino-Alto Adige), talvolta sono erroneamente definiti come una sorta di side-project dei Runaway Totem, dai quali effettivamente proviene il nucleo primigenio, risalente ai tempi del grezzo, bislacco album di debutto di questi, Trimegisto (1993) e poi distaccatosi, ma si può parlare tutt'al più di due band gemelle e comunque eterozigoti. I futuri U.T.O., all'epoca chiamati Laboratorio Musicisti Riuniti, si separano dall'alleanza totemica e nelle persone di Uto G. Golin (batteria) e Dauno Giuseppe Buttiglione (bassista poi dimissionario e infine, nel 2008, di nuovo coi Runaway Totem) assieme alla talentuosa cantante spagnola Ana Torres Fraile iniziano a comporre Rituale alieno fondando così, nel 1997, se stessi. Si tramutano, insomma, nell'Orchestra.
All'epoca questa vede Marco Zanfei alle tastiere, nonché l'apporto strumentale di un gran numero di ospiti tra cui il nomen omen Antonio Fedeli, sassofonista che entrerà stabilmente in formazione e Gianni Nicolini (tabla), presente anche nell'ultimo uscito, così come le voci di Adriano Vianini e Francesco Festi. La formazione si rinnoverà prima della seconda prova con l'ingresso dei giovani portenti Lorenzo Andreatta (basso), Daniele Valle (chitarra) e Fabrizio Mattuzzi (tastiere, pianoforte) rimanendo poi invariata una volta iniziati i lavori per il terzo capitolo.
Tracciando un'ideale carrellata del percorso evolutivo del complesso, si può dire che, dopo un inizio oscuro ed extraterrestre, dal buio delle profondità cosmiche si sia passati a una musica via via più luminosa e celestiale. Questo nonostante i toni accesi, in copertina, li avesse il più musicalmente aggressivo The Magus. Non è certo un caso se il nuovo lavoro comincia con l'immagine della <<Luce dentro me>>; la notte <<si strugge>> perché <<devo essere luce ormai>>. Luce è la prima ed ultima parola del testo del primo brano, Terra Cava, brutalmente troncata nel finale, però, dal vociare di minacciose entità "aliene" che giungono senza preavviso, a suggerire che comunque il viaggio non sarà poi troppo accomodante.
Altra prova riuscita per il complesso, l'ultimo tassello della trilogia si presenta dunque come quello dai toni più ariosi e spensierati, senz'altro il più piacevolmente orecchiabile dell'orchestra, con enfasi su armonia ed estasi piuttosto che sull'effetto straniamento e, pur nella sua forte complessità ed ecletticità, appare lontano dalle ostiche strutture dei precedenti lavori. La qualità dei suoni e della registrazione è di buona fattura, nonostante la scelta di porre la sezione ritmica un po' in secondo piano, sacrificando quello che è un elemento fondamentale di questa musica (realizzato peraltro con rara perizia), probabilmente per mettere in risalto l'aspetto melodico. L'atletica voce di Ana Maria Torres Fraile, infatti, è la protagonista assoluta di questo album, supportata prevalentemente da caleidoscopici movimenti tastieristici, dove i precedenti erano dominati da lunghe marce strumentali guidate da basso e batteria, e ciclicamente imperversavano stridii, urla e lamenti a opera della sei corde. La signora Torres, cantante tecnicamente coltissima, è capace di destreggiarsi fra opera lirica, fraseggi jazz, gorgheggi sperimentali vari o ancora di intonare un canto fatato degno di sirene quali Lisa Gerrard o Enya senza battere ciglio. In Mathematical Mother si assesta prevalentemente sul registro operistico, con frequenti virate sullo scat, di solito adoperato per raddoppiare le linee melodiche dettate da altri strumenti dell'"orchestra".
Siamo certamente nei territori dell'inclassificabilità, tra partiture affini a quelle dei Magma meno oltranzisti, un apparente accenno ai Goblin/Daemonia (reminescenza gotica nel finale di Città infinite!) e, soprattutto, gli Area, che qui fanno sentire la loro "presenza" insistentemente nelle parti tastieristiche e vocali, riallacciando ulteriormente il tutto alla tradizione di cui si parlava alcune righe fa e ampliando, assieme a tante altre suggestioni inedite, il discorso già di per sé alquanto eclettico e peculiare della band. Scampoli di space-progressive, psichedelia, ethno-world (cfr. la voce di Samia Charbel su Elogio del Dubbio), echi ancestrali e orientali, la forte componente jazz e sinfonica; il tutto su una base essenzialmente progressiva.
Ci ritroviamo così a far caso a quanto ben poco di casuale ci sia nella presenza di quella parola, Universal, nel nome del gruppo. I testi, d'altronde, prevedono la compresenza di più idiomi: italiano, spagnolo, francese e stavolta anche inglese, oltre a qualche fugace apparizione dei "richiami extraterestri" tipici del gruppo - vocalizzi ossessivi, spesso distorti e in un linguaggio inventato simil-scatting -, che qui fungono da mero, sporadico accompagnamento ritmico. Liriche criptiche, rivelazioni dal sapore magico sulla Madre Matematica, al solito non prive di fascino ma di impegnativa decrittazione.
Volendo, e con tutte le dovute cautele del caso, si potrebbe parlare perfino del lato pop di Universal Totem Orchestra (l'incipit tenero ed immediato di Architettura dell'acqua, in cui arpeggi delicati affiancano la voce rassicurante della Torres che canta in inglese, dà al primo ascolto un'impressionante sensazione di familiarità, ricordando addirittura la melodia di un vecchio successo di Sting, ed è incalzata dall'intervento del sensuale ed espressivo sassofono di Fedeli) o, nel rifuggere eventuali condanne al rogo per eresia, quantomeno di quello più "puramente" progressive. Si nota pure, infatti, una minore preminenza delle usuali sonorità zeuhl, o piuttosto una nuova forma di esse.
Il disco è aperto dalla voce subito seducente della soprano-diva, accompagnata da note delicate e magnetiche e dal mormorio di percussioni dal sapore "acquatico", per poi piombare in un tornado di continue mutazioni cutanee del tessuto sonoro, con attacchi di chitarra hard, intermezzi meditativi, esplosioni di basso ruggente che avviano, con la batteria, marce militari e schitarrate jazz-fusion ultratecniche, degne della maestria di un Allan Holdsworth, scienziato pazzo dello strumento, recentemente scomparso (che, ricordiamo, si prestò a suonare anche con i Gong a partire da Gazeuse! e membro pure dei Soft Machine).
Qua e là sopraggiunge pure una tranquillità quasi new age, a tratti sentita in passato, foraggiata dai magnifici e distintivi duetti tra cantante e pianista. Musica che, date le atmosfere, potrebbe non scontentare anche i patiti di certo metal sinfonico (Therion, Nightwish) o della darkwave neoclassica, a causa della vicinanza in termini di mood, a patto di accettare la compresenza di sonorità antitetiche, come il jazz. C'è perfino una prodigiosa parentesi solistica di shredding di Daniele Valle, uscita da un ipotetico disco di progressive-metal, su scale minori armoniche e melodiche dal sapore tipicamente neoclassico.
I trentini, sorprendentemente ma neanche troppo, si ripresentano in definitiva in forma davvero smagliante nonostante i circa vent'anni - biologici ed artistici – ormai trascorsi per il duo Golin-Fraile e nonostante il lungo periodo passato senza produrre alcunché che, viene naturale pensare, sarà stato impiegato a meditare, perfezionando al grado massimo idee e sinergie. Resta ancora da chiarire se salterà mai fuori il chiacchierato Hidden Opera, originario "tassello mancante" della trilogia incentrata, a detta del gruppo, sul tema dell'alienazione e in che rapporto sia da intendersi con questo nuovo lavoro, Mathematical Mother.
A corredare il tutto è ancora una volta l'arte metafisica, surreale e inquietante di Danilo Capua, pittore genio ligure, il quale ha saputo ritagliarsi uno spicchio di gloria illustrando alcune grandi opere musicali (non solo italiane) degli ultimi vent'anni e sul quale forse è lecito spendere qualche parola in più. Capua, che contribuisce con i suoi dipinti anche alle scenografie utilizzate dall'"orchestra" durante i propri spettacoli dal vivo, dà vita a una delle sue copertine più emblematiche dopo 17 anni di collaborazione col progetto guidato da Uto Giorgio Golin. L'immagine, dipinta ad olio su tela, è aperta a diverse letture: la rappresentazione di una Madonna Matematica, misteriosa e priva di faccia come in un altro suo dipinto, L'enigma - e saltano in testa anche rimandi ad opere di Magritte quali La grande guerra, Golconda o Il figlio dell'uomo, nonché un ermetico quadro dello stesso Capua intitolato Presenze metafisiche - coglie nel segno e appare in continuità con il principio di "Uno" raffigurato nel libretto interno di The Magus, figurativamente ispirato e riferito alla Sindone di Torino (che porterebbe impresso, secondo la leggenda, il volto di Cristo) ma attribuendovi un significato differente e non necessariamente legato al cristianesimo. Ergo, come per questa Madonna dal volto celato o nullo, Universale. Il riferimento, stando alle parole del copertinista, è a una <<concezione alchemica secondo la quale il Tutto è nell'Uno e l'Uno è nel Tutto>> o, volendo, <<l'Uto è nel Tutto e il Tutto è nell'Uto>> (sempre per usare le indovinate parole del pittore).
Nel suo piccolo - in termini di popolarità - la Universal Totem Orchestra continua con onestà, creatività, cuore e professionalità a smuovere gli animi, arricchendo le coscienze di pochi ma fedeli seguaci sparsi lungo il globo o... perché no?... l'universo...
Cosa ci riserverà in futuro? E, soprattutto, quando?
Viva, viva - fonte limpida
[...]
No one can tell you
What you know, what you feel
You should listen to yourself
No one, no one, only in your mind
[...]
Fila dentro di me di spartiti bui, ombre, e luci mai
("Terra Cava" – Mathematical Mother, U.T.O., 2016)
N.B.: Zehul è una parola che in kobaiano significa "celestiale". Il kobaiano è una lingua inventata costruita da Christian Vander, folle ma geniale batterista, compositore e cantante, fondatore dei succitati Magma, band francese iniziatrice del sottogenere della fusion (o del progressive rock) che porta proprio questo nome.
Universal Totem Orchestra
Mathematical Mother
Genere: Rock , Progressivo
Brani:
- 1) Terra cava
- 2) Codice Y16
- 3) Elogio del dubbio
- 4) Architettura dell'acqua
- 5) Città infinite
- 6) Mare verticale
Note
Formazione
Ana Torres Fraile: voce, cori
Antonio Fedeli: sassofono alto e tenore
Daniele Valle: chitarra
Fabrizio Mattuzzi: tastiere, pianoforte
Uto G. Golin: batteria
Yanik Lorenzo Andreatta: basso
Presentato live il 17 dicembre 2016 presso la "Casa di Alex" di Milano, è uscito in quattro differenti edizioni: CD jewel case, digipak, 33 giri e un'edizione limitata in vinile di soli 60 esemplari, contenente un medaglione, analogamente a quanto accaduto in passato con le opere prime de Il rovescio della medaglia e Il segno del comando. Voci addizionali: Adriano Vianini, Francesco Festi, Oscar Cordioli. Città infinite ha visto la prestigiosa collaborazione di Don Falcone degli eclettici space-rockers californiani Spirits Burning, nel cui disco Healthy Music in Large Doses hanno suonato gli UTO stessi, e del vibrafono di Mirko Pedrotti (dalla scuderia Runaway Totem). La chitarra tenue all'inizio di Architettura dell'Acqua è quella di Alessandro Andreatta e la cantante lituana Samia Charbel presta la sua voce a Elogio del Dubbio, con tabla di Gianni Nicolini.
Registrato al Mass Music Studio da Marco Gadotti e Gianfranco Menotti e missato dal solo Menotti; le voci femninili sono state tutte registrate da Giacomo Plotegher; Città infinite è stata registrata al Totem Records Studio.
Copertina: Maestro Danilo Capua, retrocopertina e booklet: Yanik Lorenzo Andreatta, foto: Luca Pinter