Mamasuya/Johannes Faber
Mexican Standoff
I Mamasuya sono Nicola Bruno al basso, Stefano Resca alla batteria e Matteo Cerboncini alla chitarra. Cosa li unisce? In prima battuta il sentire comune. E per dirla breve tutti e tre vogliono suonare ciò che a loro piace. Una missione che pare essere abbastanza diffusa, perlomeno nelle intenzioni, tra le band emergenti di tutti i tempi; ma davvero in questo caso c'è qualcosa di più.
Partendo dal rock classico e dai meandri più profondi del blues la loro ricerca finisce per sfociare in un prodotto tanto stratificato quanto difficile da etichettare. In questo nuovo lavoro intitolato Mexican Standoff il trio alessandrino incontra Johannes Faber solista, compositore e arrangiatore nato a Monaco nel 1952 e insegnante di storia del Jazz al conservatorio Nicolo Paganini di Genova.
Il risultato diventa chiaro con il passare del minutaggio. Una melodia che non si stanca di apparire orgogliosamente il ritratto della jam session per eccellenza. Si parte da una ballata in stile Starsky and Hutch Theme del James Taylor Quartet per poi procedere verso un acid jazz e persino un chillout appena accennato. Ma la vera essenza dell'opera, va detto chiaramente, sta nel suo essere e non essere ... E questo si traduce nell'avere una vera anima rock quella che attinge direttamente dalle sue origini con tutte le prerogative che ne derivano. Certo innegabilmente il free jazz fa capolino in vari pezzi dell'album come ultima deriva di un desiderio sopito ma reale. Sicuramente le incursioni di tromba danno una vena completamente nuova alla linea musicale. Verosimilmente l'approccio multiforme, è frutto di un continuo miscuglio di generi e assonanze, o semplicemente il risultato dell' incontro di culture e gusti diversi dei loro interpreti. Sta di fatto però che una band così febbrilmente fertile non poteva trovare miglior connubio di quello realizzato con il grande maestro tedesco. Le due esperienze e le due anime s'incontrano con fare sublime mostrandosi alquanto complementari e allo stesso tempo affini. Il risultato finale è un impasto vivo e frizzante che attinge a piene mani dalla storia della musica e non solo. Sì perchè dopo il sopracitato brano di apertura The Driver, sia con Brain Rain e sia soprattutto con Mexican Standoff, si vira decisamente da linee jazz ad altre tipicamente progressive, arrivando nella terza traccia a delineare un vero e proprio manifesto del citazionismo simbolico. Atmosfere noir con venature pulp lasciano lo spazio ad arie morriconiane, che a loro volte vengoni intersecate da un attacco di floydiana memoria. Il ricordo va immediatamente a Run like hell per poi rituffarsi nei meandri del rock e persino della psichedelia più acida di A Frog in the fog. Avvisaglie di Spaghetti western invece fanno capolino in El Pueblo. Magico il blues finale di The Pond/Ducks; ma a mio parere il fantasma di Jimi Hendrix si affaccia sempre più prepotentemente nel corso dell'intero LP. Insomma si potrebbero trovare infiniti spunti di revival più o meno espliciti, ma la sostanza è un album che si fa apprezzare per la sua eccellenza in termini di arrangiamenti e capacità di esecuzione. Non solo il loro raggio d'azione è difficilmente immaginabile, ma a volte ci fa perdere i connotati di genere del singolo brano. Un mixaggio conscio fatto di passione ed elaborazione del sound che con i suoi tempi dilatati si innalza e si differenzia (con fare dichiaratamente anticonvenzionale) dalle solite proposte. Per dirla tutta questo è un lavoro da gustare senza fretta di arrivare in fondo. Un album da ascoltare tutto d'un fiato con le cuffie e la luce spenta ...
Mamasuya/Johannes Faber
Mexican Standoff
Genere: Rock , Free jazz , Progressivo
Brani:
- 1) The Driver
- 2) Brain Rain
- 3) Mexican Standoff
- 4) A Frog in the Fog
- 5) Sakura
- 6) Pussy Trap
- 7) El Pueblo
- 8) Ley De Fuga
- 9) Amore Mio
- 10) The Pond/Ducks
- 11)