Massimo volume
Cattive abitudini
La prima sensazione che ho provato ascoltando il nuovo lavoro dei Massimo Volume è stata quella di un ritorno a casa. Da quando la band è scomparsa dalle scene musicali nell’ormai lontano 2002 Emidio Clementi e compagni (più o meno nuovi) hanno lasciato dietro di se’ una scia lunga un decennio. Sì perché dall’ultimo album ufficiale datato 1999 (Club prive’) sembra che davvero non siano passati 11 anni.
La loro attitudine nel “cantare” la crisi è stata per anni una premonizione, diventata onda lunga col passare del tempo. Essere uccelli in volo, migranti in maniera caotica e ordinata verso altri lidi parecchie ore prima del temporale, li ha resi pionieri prima e nel loro tempo oggi. Quest’album si potrebbe definire anche un omaggio al poeta confessionale Robert Lowell come dal pezzo introduttivo omonimo. In realtà questa affermazione è vera a metà. Emidio Clementi non è un poeta confessionale per ragioni temporali ancor prima che culturali.
Il rombo introduttivo del suo basso ci riporta alle sonorità tipiche e newyorkesi di 20 anni fa, quando in Italia si gridava “Sonica” e in America si creava un genere nuovo già da tempo. Incalzante, rumoroso, il timbro vocale inequivocabile e monocorde, il brano Robert Lowell inizia come uno schiaffo. Il tutto accompagnato da una sessione ritmica di spessore e sorprendentemente curata, come in tutto il resto del disco. A dire il vero è il testo che sembra accompagnare la forza delle musiche come in un’epopea del sublime.
E’ indicativo notare come l’alternarsi di moto e quiete negli arrangiamenti, come nella successiva Coney Island, non sposti invece la lirica da un bisogno continuo di ascolto e richiesta di meditazione. La crisi è certamente fermarsi a pensare; ma non solo per catalogare il negativo; anche per osservare! “…Restiamo ancora un po’, camminiamo, tanto la vita è solo a una fermata da qui, basta una moneta per raggiungerla…” E il tutto ci viene detto prendendoci quasi per mano… con un ritmo che, non foss’altro per l’atmosfera desueta ricreata dalle parole, sarebbe assimilabile ad una semi-ballad.
Le storie non sono vere storie; piuttosto trame angosciose tra l’onirico e l’evocativo. “Le nostre ore contate” ci regala scatti di vita(?!) fotografati fugacemente …”le cattive abitudini quasi sempre appagate…” è una traccia di disincanto marcato da note con un’aria venatamente noir.
Sicuramente, se di poesia confessionale vogliamo parlare, appare del tutto evidente il lungo filo rosso tra i vecchi testi e gli ultimi nel senso dell’esplorazione intorno a sé. Ma se gli echi che provengono da quelle tematiche invecchiate dal tempo dipingono quadretti di neorealismo nichilista, ora l’attenzione e lo sguardo si rivolge in ultima analisi al proprio io più profondo. Un percorso che pone l’accento sull’apparente anarchia di pensiero fatta in realtà di semplice surrealismo.
Due i temi che ritornano tra le righe ermetiche dei brani a seguire:
l’amore e quindi la speranza anche se inquinata da un cauto pragmatismo.
L’amore visto come essenza del vivere in Litio , l’amore visto come quiete in contrapposizione alla ricerca spasmodica nel simbolismo di Tra la sabbia dell’oceano, l’amore visto come peso d’amore nel senso più nobile del termine in Fausto quando si ripete …”consapevoli che il mondo è un peso d’amore troppo puro da sopportare …” Ma infine la speranza, non di questa vita forse, ma come aspirazione latente, perché …” torno sempre a te in questi giorni inquieti…torno sempre a te” dice Clementi in Litio. Come dire il pensiero non ti dimentica anche se non ti cerco, non ti aspetto.
Il disco scivola lentamente come un magma di suoni a volte pizzicati, a volte cadenzati come in una marcia stanca di un basso greve. Non mancano gli strappi come nel caso di Fausto onda che sale fino ad infrangere l’attenzione assopita del mondo. Si ritorna a osservare l’attualità con una foga e una passione diventata infine una preghiera laica.
Ma Clementi ancora una volta dimostra di saper trattare i sentimenti e di avere sensibilità in abbondanza per discernere l’impeto dalla discrezione, la volontà dall’intimità. Con Mi piacerebbe ogni tanto averti qui il disco tocca forse una delle vette più alte di tutto il disco offrendo un ricordo, un pensiero raccolto dalla ricerca interiore più personale al centro dell’uomo. Se poi lasciamo andare le parole ci si ritrova in quel campo di battute decelerate che accompagnano l’ascoltatore fuori dal pezzo.
Teatralità oscura, riflessione e grido d’allarme … Una vocazione a dire senza parlare perché “ in corridoio ho scritto una frase che so ripetere, ma non riesco a ricordare…”
Massimo volume
Cattive abitudini
Genere: Rock , Noise , Noise
Brani:
- 1) Robert Lowell
- 2) Coney Island
- 3) Le nostre ore contate
- 4) Litio
- 5) Tra la sabbia dell’oceano
- 6) Avevi fretta di andartene
- 7) La bellezza violata
- 8) Invito al massacro
- 9) Mi piacerebbe ogni tanto averti qui
- 10) Fausto
- 11) Via Vasco da Gama
- 12) In un mondo dopo il mondo
Informazioni tratte dal disco
Registrato in presa diretta in una villa sull’argine del Po, utilizzando solo macchine analogiche. Accanto al nucleo originale: Emidio Clementi (autore dei testi, voce e basso), Egle Sommacal (chitarra ex Ulan Bator) e Vittoria Burattini (batteria), c’è da segnalare l’ingresso nel gruppo di Stefano Pilia alla chitarra, già presente nel live ‘Bologna novembre 2008’.