Patrizia Laquidara

Il Canto dell’Anguana

Recensione
Pubblicato il 09/11/2011
Voto: 9/10

Tutto l’ambiguo fascino dell’anguana Patrizia Laquidara

E’ inutile nascondersi dietro un dito, se dall’uscita del disco (gennaio 2011) ho lasciato trascorrere tanto tempo prima di scrivere del disco “Il Canto dell’Anguana” di Patrizia Laquidara e gli Hotel Rif è perché questo disco ha un po’ sconvolto le mie attese riguardo alla produzione musicale di Patrizia, artista che avevo già avuto occasione di intervistare intorno al precedente lavoro discografico “Funambola”, risalente al 2007.

Di anni da allora ne sono passati quattro, durante i quali Patrizia non è certo rimasta con le mani in mano, ma ha continuato un’intensa attività concertistica con partecipazioni a importanti eventi e, soprattutto, ha coltivato la sua passione per la musica popolare che l’ha portata a questo nuovo disco così diverso, non solo per l’uso del dialetto alto vicentino (Patrizia è nata in Sicilia ma da tanti anni ormai vive in Veneto), quanto per la musicalità così diversa da quella cui ci aveva abituato (qui notevole è il contributo degli Hotel Rif).

Cominciamo dunque con il dire che il disco è il coronamento di due anni di dedizione alla musica popolare, ma affronta questo terreno in maniera del tutto inusuale utilizzando schemi musicali totalmente nuovi alla musica popolare e ispirandosi a sonorità mediterranee, sudamericane, orientaleggianti.

Grandissima importanza hanno qui i testi, usciti dalla penna dello scrittore e poeta veneto Ennio Sartori e poi rielaborati con Patrizia che li ha rivestiti di musica e che musica, a tratti sfavillante, a tratti suadente e delicata, altre volte drammatica e incisiva, sempre determinante.

Così, lo stesso Sartori ha definito il progetto, nella sua presentazione tratta dal corposo libretto che accompagna il disco:

"Questo progetto di poesia, musica e canto nasce dal desiderio di Patrizia Laquidara di cantare e dar voce a una figura, quella dell'anguana, misteriosa e quasi dimenticata creatura femminile della tradizione popolare veneta presente anche in altre tradizioni, sia nordiche che mediterranee. Il termine anguana pare possa derivare dal latino "aquanis" o da "anguis"ad evidenziare la relazione di questa figura mitologica con l'acqua e il serpente. In effetti si tratta di una figura di donna-serpente il cui corpo unisce una parte superiore umana e una inferiore animalesca di serpente-draghessa. Da questa duplice natura terrestre e acquatica deriva anche il suo potere di metamorfosi e i suoi ambigui poteri che possono essere sia benefici (fertilità creatrice, madre di dinastie, allevatrice di bambini, aiutante degli uomini nei campi e delle donne nella filatura...) sia terrificanti, nel suo legame con il mondo degli inferi, mostrandocela anche quale rapitrice di bambini, turbatrice uomini stregati dal suo fascino. Entro queste coordinate essa si mostra quale figura liminare tra natura e cultura, tra animale e uomo, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, portatrice di un sapere liquido, fluido, metamorfico. Nelle tracce delle leggende dell'Altovicentino che le riguardano le anguane appaiono presso caverne, corsi d'acqua, pozzi e sorgenti (che grazie alla loro presenza acquistano poteri magici), nelle notti di luna piena mentre stendono il bucato e attirano con la loro bellezza e il loro canto l'attenzione di fortuiti viandanti destinati ad innamorarsi di una di loro, a delirare. Infatti grazie alla loro bellezza e al loro canto esse producono negli uomini che le incontrano un potere di attrazione assoluto misto ad un'altrettanta forte paura e angoscia di morte. La relazione tra uomini e anguane può talvolta spingersi fino al matrimonio ma tale unione é sempre vincolata al rispetto di un tabù che puntualmente viene infranto dall'uomo determinando conseguenze catastrofiche".

Si diceva del corposo libretto, ebbene si, a fatica entra nella custodia di plastica del disco, perché le pagine, oltre ai crediti, alle note tecniche e ai testi in dialetto con le relative traduzioni, accolgono un vero e proprio book fotografico in cui Patrizia ha voluto interpretare personalmente la misteriosa figura dell’anguana, affidandosi agli scatti preziosi di Luigi De Frenza, mantenendo però ben salda nelle proprie mani la direzione artistica. Eccola allora ritratta in lunghi abiti bianchi dagli strascichi abbondanti e vaporosi, la sua esile figura stagliarsi su fondali naturali costituiti da grigi anfratti rocciosi, piccole sorgenti d’acqua, supposti luoghi naturali nei quali dovevano risiedere queste misteriose e immaginifiche anguane, splendide creature d’acqua a volte buone a volte malefiche ma sempre, inevitabilmente, donne.

Un disco dunque pensato, studiato, disegnato fin nei minimi particolari. Si sa però che un disco, di là dall’intenso lavoro che ci sta dietro, è poi fatto di canzoni. Com’è allora questo disco che si è aggiudicata la Targa Tenco come Migliore disco in dialetto (è, infatti, tutto cantato in vicentino, qui invece riporto per comodità i testi tradotti in italiano) di questo 2011?

Ascoltiamolo!

Parte forte il disco con “Ah jente de la me tera” un canto che si agita, con echi gitani e arabeggianti "Smaga l'anima di questa piana / la pelle stremata, logorata / dentro è questa l'ora / che dentro risuona il mio sangue gitano". A tratti sembra persino di ascoltare le chiamate a raccolta dei muezin, fino a quando poi il canto si placa, preceduto da questi bei versi “E tutto si rovescia da sopra / e tutto si richiude dentro / il canto il ballo il verso / allora risuona nel mio sangue di zingara / il canto dell’anguana / e come un vagabondo / sulle tracce della strega / piano piano fuggo via / sembra proprio che l’Orsa maggiore / s’incanti a piombo sulla Busa dell’Orso / così entro per sentieri abbandonati / tra boschi e prati lungo la linea che tira giù / alla ricerca di un altro fuoco di vita”

Notevolmente diversa l’atmosfera di “L'aqua fioria”, cantata da Patrizia su un languido e dolente tappeto dal ritmo sudamericano, sempre ricercatissimi i versi di questa favola che narra di un amore impossibile tra un uomo e un’anguana e che si chiude tristemente così “Fessura del bosco / memoria ferita / crepa nell’aria / la trama si disfa / l’ acqua sfiorita / nel fondo della landa / sbanda il mio canto in lamento”.

Introdotta da un canto tradizionale di lavandaie, ancora più delicata e piena di saudade è la successiva “La fumana” che presenta un testo breve ma affascinante “Di buonora la bruma / sale dal basso / e consuma il bordo / della pianura che sfuma / e lenta scolora in sogno / la bruma / lenta scolora in sogno”. Segno che anche la nebbia che avvolge all’alba gli operai del vicentino può assumere il suo fascino se vista attraverso gli occhi di un poeta.

Questa pace interiore sembra letteralmente interrompersi con “Reina d'ombria” che sa di habanera, ma anche di echi orientali, in cui il canto di Patrizia non esita a passare da toni dolcissimi e amorevoli mentre canta “Questa è una notte da rubar le donne / e la luna com’è chiara / così bella e fortunata così piena di luce / posata sopra i campi sopra tutti questi fiori / che profumano la mia terra di rose e di viole” a quelli, impetuosi e sferzanti, del ritornello “Cavalca cavalca regina d’ombria / cavalco cavalco con te gioia mia / cavalca cavalca divina strega / cavalco cavalco in tutta allegria”. In questo brano si può dire che sia racchiusa tutta la splendida complessità di questo lavoro, che punta in alto a piè sospinto.

Un dolcissimo flauto ci introduce nel mondo sommesso e delicato di “Dormi putin”, una magnifica ninna nanna piena di amore materno, ma anche di un gran senso generale di pena e sofferenza “Chiudi gli occhi bel bambino / e tu angioletto santo / consola il suo pianto / prima che io mi consumi / Smorza il pianto piccolino / smorzalo adesso un pochino / non far penare tua mamma / stremata e affaticata”. Il canto sembra a un tratto quasi più rivolgersi alla madre stessa che non al proprio piccolo, quasi fosse una forma di auto lenimento.

Con “L'anema se desfa” si torna su toni accesi, intrisi di suoni arabeggianti, ma anche di folk mediterraneo, s’intuisce dalla presenza di strumenti quali il maranzano, i tamburi a cornice, il canto di Patrizia qui si fa più ardito che altrove e, a tratti, mi ricorda anche quello rabbioso di Teresa De Sio.

Molto bello il brano “Note d'anguana”, una nenia, che è pura poesia e che prende piede piano piano “Ninna nanna nota / d’anguana canto / che incanta / divina moina / nenia che ninnola / voce di strega / lingua ruffiana / portami via”, crescendo di passaggio in passaggio fino a farsi, nel finale, un canto corale “E sfiorandoti lei passa / e passa e va nel vento / falla cantare ma lasciala andare”, per poi lasciare alla chiosa “Ninna nanna, nota d’anguana / canto che incanta...”. Si, canto che incanta, come quello delle sirene, animali d’acqua anch’esse come le anguane.

Bellissima poi è “Livergòn”, una canzone che ha in se una dolcezza di altri tempi e che ci narra di uno sposalizio d’acqua (come evidenzia il sottotitolo della canzone) e lo fa attraverso note e versi sublimi “L’onda bambina fa dirindela / montale sopra e sogna / dove ci porta chi lo sa / di nuovo in alto mare”, ma è soprattutto l’atmosfera d’incanto a rendere il tutto magico.

Non c’è però tempo per cullarsi su questa bella immagine, che “Tiketetanda” ci addentra in un clima notevolmente festoso, una musica popolare che invita a danzare, una filastrocca scioglilingua da record “Dipana l’erba sfila e va in saliva / la biscia si raddrizza e va in favilla / scalza volteggia nell’aria e va in pioggia / s’intorcola nell’acqua e si dilegua / e va al di là col vento e va nell’aria /sirena melusina ninfa anguana”. Che cosa aggiungere? Solo complimenti.

Ormai davvero non ci si ferma più, anche la successiva “La Tita Tata”, un’altra specie di filastrocca, ci invita decisamente a danzare, questa volta a ritmo di Sudamerica e così accade che, come Patrizia canta “Uomo dal cavallo bianco / cavaliere di malasorte / verso l’abisso della morte / cavalca cavalca e canta”, anche noi finiamo per trovarci a cantare e ballare senza nemmeno accorgerci.

Si è ormai giunti alla fine, ma c’è ancora spazio per una cover di musica popolare, se così possiamo chiamare il brano ”Il canto dei battipali” che è un canto della tradizione della laguna veneta e qui, in questa veste, assume ancor più le sembianze di un solenne canto corale e di lavoro, che mi permette di fare i complimenti agli Hotel Riff che in questo disco hanno svolto un ruolo certamente non secondario, ma anzi di comprimari.

Non aggiungo altro, perché già mi sono dilungato e nello scrivere della bellezza di questo disco, ho quasi finito per riportare l’intero libretto del disco, segno che i testi hanno svolto un ruolo essenziale nel farmi apprezzare senza condizioni questo disco che, in prima battuta mi aveva lasciato un po’ smarrito, forse ammaliato ma allo stesso tempo turbato dal fascino ambiguo dell’anguana Patrizia.

Patrizia Laquidara - Il Canto dell’Anguana

Patrizia Laquidara

Il Canto dell’Anguana

Cd, 2011

Brani:

  • 1) Canto I - Ah jente de la me tera
  • 2) Canto II - L'aqua fioria
  • 3) Canto III - La fumana
  • 4) Canto IV - Reina d'ombria
  • 5) Canto V - Dormi putin
  • 6) Canto VI - L'anema se desfa
  • 7) Canto VII - Note d'anguana
  • 8) Canto VIII - Livergòn
  • 9) Canto IX - Tiketetanda
  • 10) Canto X - La Tita Tata
  • 11) Canto XI - Il canto dei battipali

Informazioni tratte dal disco

Crediti
Patrizia Laquidara: voce, cori, coce recitata

Hotel Rif
Paolo Bressan: oboe, flauti, gaita, bombarda, cori
Mirco Maistro: fisarmonica, cori
Andrea Neresini: chitarra classica, chitarra acustica, mandolino, cori
Lorenzo Pignattari: contrabbasso, basso elettrico, cori
Andrea Ruggeri: batteria, percussioni, cori
Nelide Bandello: batteria, cori

Ospiti
Alfonso Santimone: melodica (5), samples, elettronica, voce (6, 7), cori
Le Canterine del Feo (Drosolina Dal Medico, Anna Cocco, Cecilia Cocco, Clara Zattra, Elide Zattra): cori (5, 7,9, 10), voci (3)
Drosolina Dal Medico: voce nella strofa introduttiva (10)
Puccio Castrogiovanni: maranzano (6, 9),, cavaquinho (9), bombarda (9), cori, voce filastrocca siciliana (9)
Alfio Antico: tamburi a cornice (6, 9), voce (9)
Ludovico Mosena: ghironda (9)

Un'ideazione di Patrizia Laquidara

Produzione e direzione artistica: Patrizia Laquidara e Alfonso Santimone
Produzione esecutiva: Giancarlo Trenti-Slang Music, Patrizia Laquidara
Team di produzione: Giancarlo Trenti - Slang Music, Patrizia Laquidara, Mirco Maistro

Arrangiamenti e Post-produzione: Alfonso Santimone
(tranne "Ah, jente de la me tera" arrangiamenti Hotel Rif e Alfonso Santimone e "La fumana" arrangiamenti Hotel Rif e Alfonso Santimone)
Testi poetici: Enio Sartori
Elaborazione testi poetici: Patrizia Laquidara, Enio Sartori
Art director foto, grafica e styling: Patrizia Laquidara
Fotografie: Luigi De Frenza - expiria.com
Elaborazione grafica: Carlos Lascano, Luigi De Frenza
Styling per Patrizia Laquidara: Cristina Sperotto, Carolina Cubria
Make-up: Carolina Cubria

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