Appena ho ricevuto tra le mani una copia di “Amore, libertà e censura" e ho iniziato a sfogliarlo, mi è subito venuto voglia di fare delle domande all'autore. Le canzoni di Battisti si sentono continuamente in radio ed in "strada" tra la gente, ma sulla persona Battisti e su quanto gravitava intorno ai suoi dischi, le informazioni sono molto più lacunose e frammentarie.
Questo libro prende in esame un disco di Battisti, "Amore e non amore" e l'intero anno del 1971.
Com'è nato il tuo "innamoramento" per Battisti?
Battisti è un vecchio amore, nato anni e anni fa, poi sopito e riemerso, anzi devo dire che riemerge ciclicamente. A volte con il mondo sonoro di Anima latina, a volte con il funky secco di Io tu noi tutti, altre volte con il trip hop alieno di CSAR. Come i Beatles e i Led Zeppelin, Lucio Battisti ha saputo mutare di album in album, confezionando sempre prodotti impeccabili, stilisticamente diversi (Umanamente uomo: il sogno è assai diverso da Una giornata uggiosa, tanto per fare due nomi dell'epoca Battisti-Mogol): per chi, come me, viene dal rock e si muove prevalentemente in quell'area, questo è un elemento davvero importante. E altrettanto importante fu un disco come Amore e non amore: libero, improvvisato, con spunti progressive e brani strumentali, l'esatto contrario di ciò che si aspetta da un autore pop! E poi la cosa più intriganti di Battisti è il mistero: com'è possibile che l'emblema del pop susciti così tanti interrogativi? indubbiamente la sua grande assenza alimenta molti di questi enigmi...
Questo è il tuo terzo libro. Quali sono stati i due precedenti?
Il mio primo libro "solista" fu Premiata Forneria Marconi 1971-2006. 35 anni di rock immaginifico (Editori Riuniti), uscito nel 2006. Da una leggendaria e celebre rock band sono passato poi ad un gruppi "piccolo" ma significativo, i Lingalad, raccontati in un bel libro per la Bastogi uscito alla fine del 2007. Ci sono state poi numerose collaborazioni, ad esempio la più importante sono state le schede sui principali festival rock della storia in I 1000 concerti che ci hanno cambiato la vita, curato da Ezio Guaitamacchi per la Rizzoli. Ricordo anche il mio recente saggio La canzone progressiva in Nudi di canzone curato da Paolo Talanca (Editrice Zona).
Quanto tempo hai dedicato alla realizzazione di questo testo?
Come avrai potuto leggere, nel mio nuovo libro le interviste e gli aneddoti hanno uno spazio determinante: Amore e non amore è da sempre un disco poco esplorato dalla critica, inoltre la vicenda della censura di Dio mio no ha contribuito molto a renderlo un album "nascosto". Questo vuol dire che il materiale informativo a disposizione era davvero risicato, dunque il lavoro mi ha portato via del tempo, grosso modo sei mesi.
Un intero libro dedicato ad un solo disco di Battisti. Perché?
Perché no? Solitamente dietro un disco – soprattutto dietro un “bel” disco – si celano i mondi interiori dell’artista, ma anche i suoi rapporti con l’estero, c’è sempre molto da scavare… All'apparenza è vero, un libro per un solo disco, ma in realtà non è così perchè l'analisi si estende - doverosamente, sottolineo - a tutto il 1971 di Battisti. Tuttavia è necessario precisare alcune cose: per comprendere a fondo Amore e non amore bisogna capire tutto ciò che lo precede e lo segue, il momento della registrazione (tra primavera e fine estate 1970) e dell'uscita (luglio 1971). Avendo la Ricordi ritardato di un anno la pubblicazione, in quel 1971 di attesa successero molte cose; trattandosi poi del primo lp di inediti di Lucio, per me è stato necessario anche presentare la sua carriera fino al momento di concepimento del disco. Un libro dedicato ad un solo disco? Certamente, ma con uno sguardo più che ampio all'intera carriera di Battisti fino al 1971!
Quali sono state le interviste realizzate per il libro che ti hanno dato maggiore "soddisfazione"?
Tutti gli intervistati mi hanno concesso gran parte del loro prezioso tempo e della loro umanità. Tre persone però voglio citarle. In primis Franz Di Cioccio: personalità davvero eccezionale, soprattutto per la grande memoria storica, ha seguito con attenzione il mio lavoro dandomi non solo informazioni sul suo rapporto - musicale e umano - con Battisti, ma anche stimoli e idee di ricerca. In secondo luogo Giorgio "Fico" Piazza: bassista dei Quelli, della prima PFM ma soprattutto di Battisti, è lontano dal mondo della musica da decenni ma l'ho ripescato e mi ha raccontato tante cose con toccante emozione. Infine Valter Patergnani, l'ingegnere del suono della Ricordi artefice di tanti dischi di Lucio: avrà più di 80 anni ma l'intelligenza, la sagacia e la memoria del dettaglio non gli mancano affatto!
C'è qualcuno a cui volevi fare delle domande, che non sei riuscito a raggiungere?
Avrei voluto fare qualche domanda a Mogol ma è stato davvero impossibile raggiungerlo. Fortunatamente chi mi ha preceduto - ovvero gli ottimi studiosi autori di tanti saggi battistiani - lo ha spremuto per bene, contribuendo così ad un patrimonio di testimonianze mogoliane notevoli.
Cosa ne pensi dell'ultimo periodo di Battisti, quello con Panella?
Lo amo. Non arrivo a dire che sia quello il "vero" Battisti, ma sicuramente ha avuto il coraggio e la costanza di rompere il patrimonio precedente, rifondando una nuova forma di canzone. Don Giovanni è un disco di estrema importanza, a mio modo di vedere quanto Il mio canto libero. L'unica cosa che "suona" meno piacevole alle mie orecchie è proprio la scelta strumentale, fin troppo scarna e piatta, però un disco come CSAR lo riascolto sempre volentieri, è il mio preferito della fase panelliana. Ricordo quando uscivano questi dischi “bianchi”, con le copertine disegnate da Lucio e i testi arzigogolati e geometrici di Panella, tutti quanti scandalizzati: “Ma come, l’artista che ci ha regalato quelle emozioni ora propone questa musica?”… eppure nessuno capiva che quella svolta era in nuce, basta ascoltare proprio Amore e non amore per capire che tipo di artista libero fosse Lucio, per non parlare del grande coraggio di Anima latina.
Anche a me piace molto il periodo "Panella", non credi però che se ne parli e scrivi troppo poco? Quasi tutti i libri e le trasmissioni televisive sono incentrate sul primo periodo.
E' ovvio: il binomio Mogol-Battisti ha fatto un discorso di massa. Musica di qualità, di alta qualità, ma destinata alla massa. Questo non la squalifica affatto, tutt'altro: fare ottima musica pop (laddove per pop intendiamo popular, ovvero rivolto alla massa) è difficile e non tutti riescono a coniugare comunicazione e qualità. Se il discorso è di massa, l'interesse è massificato, la curiosità idem, dunque si parla di più del primo Battisti, anche perchè c'è più materiale informativo. Nella fase panelliana c'è stato un totale radicalizzarsi del communication mix (per citare Francesco Marchetti) ed è difficile maneggiare la materia battistiana degli anni '80-'90. Credo tuttavia che tra qualche anno ci sarà un'inversione di tendenza, percepisco un interesse sempre più in crescita per i dischi "bianchi".
Ci sono lati misteriosi di Battisti che ti piacerebbe sviscerare e approfondire?
Come accennavo nella prima risposta, Battisti ha moltissimi lati da analizzare. Alcuni lo hanno già fatto, penso a Renzo Stefanel e Renato Marengo con Anima latina, altri stanno lavorando a dei percorsi intriganti su alcune elementi battistiani meno noti. A me piacerebbe indagare su Images, l'album "americano", e capire una volta per tutte i motivi dell'insuccesso di quel disco, che indubbiamente fa sorridere a riascoltarlo oggi...
Nel caso di "Images" ci troviamo di fronte solo ad un problema di "pronuncia" poco credibile, o c'è dell'altro?
La buona pronuncia inglese è essenziale, ma non è determinante: pensa a Photos of ghosts della PFM o Felona And Sorona delle Orme, con pronunce discutibili ma ancora amati dai prog lobvers stranieri. Il problema di Images fu molteplice: indubbiamente la pronuncia, la traduzione fin troppo letterale e dunque poco comprensibile, ma soprattutto l'errata valutazione del mercato americano in un momento di passaggio dalla cultura rock a quella del ballo, del corpo e del disimpegno. Inoltre vendere dischi in USA non è per tutti: è un mercato vastissimo, bisogna pianificare con largo anticipo e pensare di trasferirsi lì per qualche anno, non credo che Battisti e la RCA abbiano agito oculatamente da questo punto di vista.
Quali sono, oltre a Battisti, gli artisti italiani a cui sei particolarmente affezionato?
Moltissimi, e i nomi che ti faccio sono puramente affettivi, senza ordine di importanza ma solo secondo le scosse del cuore. Le Orme, il Banco, la PFM e gli Osanna, i CSI e i Litfiba, Battiato e Ivan Graziani, i Kina e gli Standarte, il Notturno Concertante e i Lingalad, il Baglioni degli anni ’80 e ’90, De Andrè e i Casino Royale, potrei proseguire all’infinito e dimenticare comunque tanti nomi… La musica italiana, nonostante provinciale e spesso sopravvalutata, ha sempre offerto cose molto interessanti, in ogni corrente e in ogni momento cronologico, anche se bisogna sempre spulciare, grattare sotto la superficie, altrimenti ci si ferma solo ai più pompati dalle classifiche e ai più coccolati da certi critici.
Come vedi la scena italiana in questo periodo?
Dipende da quale punto di vista la si osserva. Io scrivo, faccio radio, lavoro nel campo della promozione con un ufficio stampa: il mio è un osservatorio privilegiato e se ci si fermasse al dato puramente quantitativo la musica italiana sforna una miriade di uscite. Qualsiasi ascoltatore oggi può ritenersi soddisfatto dalla quantità di proposte, dalla canzone d’autore al reggae, dallo stoner rock al rock sinfonico. Dal punto di vista qualitativo invece non vedo grandi novità, se il parametro che utilizziamo è quello della originalità. Tuttavia buona parte dei gruppi rock italiani si difende bene e fa la sua bella figura, in alcuni casi anche all’estero (pensiamo ai protagonisti del new progressive tricolore, che ricevono sempre lusinghieri apprezzamenti fuori dai nostri confini).
Il pubblico italiano ha sempre avuto un rapporto di amore/odio con la stampa musicale. Quanto è importante la critica musicale, nell'era Internet?
La critica musicale è importante anche nell’era di Internet, anzi a maggior ragione oggi serve una buona, seria, preparata e lungimirante critica musicale. L’abbattimento di tante barriere e la facilità comunicativa consentono a chiunque di aprire un blog e “inventarsi” critico musicale: proprio per questo sono necessarie figure autorevoli e super partes che riescano a indicare nel migliore dei modi all’ascoltatore le proposte più interessanti. Io vengo dal mondo delle fanzine cartacee degli anni ’80 e ’90, prima come lettore poi come autore: è stata una palestra eccellente, un qualcosa di autenticamente formativo che oggi tengo come bussola, soprattutto nel mio programma in radio. Temo che molti critici odierni abbiano saltato a piè pari la necessaria fase formativa, ed è una cosa che consiglio vivamente a coloro che vogliano intraprendere questa attività.
Anch'io ho collaborato a numerose fanzine cartacee, ed amo quel periodo, non per niente su Estatica, c'è una sezione apposita che si occupa di catalogarle. Come ricordi quel periodo? Quanto è diversa a livello di esperienze, la creazione di una fanzine cartacea negli anni '80 e '90 e l'apertura di un blog negli anni 2000?
Io sono stato principalmente un lettore di fanzine: tra le mille difficoltà informative degli anni '80 le fanzine erano una boccata d'ossigeno (ed erano anche tante, ti consiglio di scovare il "censimento" di Enzo Gentile pubblicato nel 1985 in Arcipelago rock). Ricordo con estremo piacere fogli come il primo Arlequins ma anche le pubblicazioni ciclostilate che la Blu Bus di Aosta mi allegava ai miei felici acquisti di dischi hardcore-punk dei Kina ed Eversor. C'era grande ingenuità ma anche uno slancio emotivo e un piglio "evangelizzatore" che - ebbene sì, lo confesso - rimpiango un po'... Non sono nostalgico e cerco di vivere nel migliore dei modi la contemporaneità, però devo ammettere che il blog garantisce minor affidamento rispetto alla fanzine. Scrivere su carta istintivamente ti porta ad essere più attento, probabilmente si ha la percezione della "istituzionalità" del cartaceo e si scrive con maggior rigore; in secondo luogo il blog offre una prospettiva quasi esclusivamente individualista, senza lavoro di redazione, dunque senza controllo, con la facilità estrema - che in tanti casi diventa prassi - del copia-incolla...
Le fanzine su carta ormai non esistono più, soppiantate da Internet. In edicola invece ci sono molte più riviste musicali che negli anni passati. Come spieghi questo fatto?
Non credo che siano in numero superiore al passato, anzi molte di loro chiudono, pensa alla gloriosa Musica e Dischi, alla stessa Rockstar, alla magnifica Tempi Dispari che rimpiango davvero tanto sia per i contenuti che per l'originale impaginazione, se non erro anche le riviste metal, anni fa fiorenti, sono un po’ diminuite. Internet soppianta molte testate perchè consente uno scambio più rapido: pensa ai forum e ai newsgroup, dove apprendi la notizia che ti interessa di più contestualmente al commento del collega/fan di turno. E' più comodo, più veloce, ma non so se è altrettanto formativo. Ho paura che manchi quel percorso di ricerca che ti fortifica, ti forma e ti orienta.
Leggere opinioni musicali su internet è molto complesso. E' molto diverso il valore di una recensione scritta da persone che hanno ascoltato 50 dischi, da quella di persone che ne hanno ascoltato 1000. Tutto ciò è ignoto, nella maggior parte dei blog che escono facendo una ricerca su google per un certo disco. Secondo te ci stiamo inoltrando su un livello di ascolto più superficiale? Una volta mettevi su un disco o un cd e te lo ascoltavi nella sua interezza, magari seguendo il libretto con i testi. Oggi ti passano hard disk pieni di migliaia di brani. Spesso i ragazzini non li ascoltano neppure, ma possono dire "quel disco ce l'ho", perché in un colpo solo si copiano le discografie complete degli artisti.
Sicuramente siamo già entrati in una dimensione di ascolto più superficiale, credo sia il dramma del panorama di fruizione musicale attuale, nel quale i giovanissimi sono “nativi digitali”, nella maggior parte dei casi non hanno mai suonato un cd, figuriamoci se hanno visto un vinile…. Ricordo che già a metà degli anni '90, quando furoreggiavano i Dream Theater, c'era gente che pontificava sulla magnificenza della band newyorkese (sulla quale non posso dire nulla di male, perlomeno sui dischi dal 1992 al 2000) senza aver mai ascoltato Rush, ELP, Yes o un batterista come Terry Bozzio, nomi che per i DT sono più di un'influenza... Oggi è ancora più marcata questa cosa perchè c'è una tale quantità di pubblicazioni facilmente reperibili che non le si ascolta con la dovuta attenzione e quando si vuole scrivere si trova immediatamente una selva di link e di tag che facilitano la collocazione del disco, ma non la sua comprensione.
Comprendere un'opera significa anche conoscere l'artista, maneggiare il libretto del cd per leggere i testi, i nomi di chi ha registrato e prodotto il disco, vedere la grafica, spulciare tra i ringraziamenti alla ricerca di qualche segnale in più. Anche le case discografiche sono coinvolte: le major chiedono sempre di più di recensire dischi in download, a me va bene poichè dò il mio parere sui brani, però mi piacerebbe pur sempre dare una valutazione completa del lavoro. Sto ascoltando approfonditamente A Scarcity of Miracles, il nuovo disco di Robert Fripp (o meglio, del suo nuovo A King Crimson ProjeKct...), in mp3: mi pesa dover dare un parere solo ascoltando e senza toccare, annusare, scrutare il disco.
Nella vita "vivi grazie alla musica", cioè riesci a mantenerti economicamente con le tue collaborazioni in ambito musicale?
Certo, è quello che ho sempre voluto anche se in Italia è molto difficile vivere di giornalismo, tanto è vero che io, come larga parte dei miei colleghi, svolgo anche un’attività parallela (per me fortunatamente sempre in campo musicale, nel settore degli uffici stampa). Storicamente il giornalismo musicale italiano è salottiero, egocentrico (l’interesse principale non è servire il lettore ma il proprio narcisismo…) e poco incline al professionismo, questo fa sì che molti traggano principale – se non esclusiva - soddisfazione dal vedere la propria firma in calce al pezzo.
Parlami del tuo programma radiofonico e dello stato generale in cui imperversa la radio nell'epoca Internet.
Dall'ottobre del 2007 conduco Rock City Nights, va in onda lunedì, mercoledì e venerdì sera sulle frequenze di Radio Città BN. Confesso di non aver mai amato la radio, non l'ho mai molto seguita nè ho mai pensato di farla, tuttavia quando lo staff della radio mi ha invitato a condurre un programma ho pensato di usare l'approccio che mi compete, ovvero quello del giornalista. Il lunedì sera nella rubrica Italia Rock intervisto tre tra le più interessanti nuove rock band italiane; il mercoledì sera con It’s only rock ‘n’ roll dedico la scaletta alle novità rock italiane e straniere, con un'intervista ad un grosso nome e un'altra ad un autore di un saggio rock; il venerdì sera tuffo nel passato con Time Machine, rubrica dedicata al rock classico dagli anni '50 in poi.
Internet aiuta molto chi fa radio: Radio Città BN è una radio locale, ascoltabile in FM tra Sannio, Irpinia e Molise ma grazie all'audio e video streaming abbiamo ascoltatori in tutto il mondo; grazie al blog e al MySpace pubblichiamo le playlist, utili sia per chi ci ascolta che per gli artisti trasmessi; grazie a Facebook siamo in tempo reale con gli ascoltatori che ci chiedono pezzi e anche dediche.
C'è qualche documento visivo di Battisti su DVD che ci puoi consigliare?
Sicuramente Lucio Battisti. Il nostro canto libero, uscito nel 2007 e comprensivo di 2 cd e Dvd, però se avete tempo e pazienza spulciate su Youtube alla ricerca degli spezzoni di Tutti insieme, show ideato da Mogol e andato in onda nel settembre 1971. Date un'occhiata al concerto per batteria di Battisti e poi ci risentiamo...
Cosa mi puoi raccontare di "Aereostella", la casa editrice che ha pubblicato il tuo libro?
Aereostella è la casa editrice che fa capo a Iaia De Capitani della D&D Concerti. È una giovane casa editrice ma ha fatto passi da gigante poiché ha puntato principalmente alla saggistica musicale, traducendo bei titoli stranieri (penso alla autobiografia di Bill Bruford) ma soprattutto dando spazio a giovani talenti della nostra saggistica, penso a Riccardo Storti, Antonio Oleari e Antonello Cresti, autori di testi imperdibili. Aereostella si è dimostrata subito interessata alla mia proposta e sta lavorando benissimo anche dal punto di vista promozionale e distributivo, non potevo trovare collocazione migliore.
Dove è possibile acquistarlo?
In ogni libreria! Costa 22 euro ma se lo acquistate sul sito Aereostella cè lo scontone…