Tony Canto

Terzo lavoro del chitarrista messinese di Tony Canto a due anni da quel raffinato florilegio musicale de "La Strada" e a quattro dall'introvabile esordio de "Il Visionario" che già includeva alcuni brani-cardine di quel particolare lessico musicale sviluppato dall'artista siciliano e sospeso tra un folk popolare dall’andamento elegante ed agili stilemi intrisi di brasile e sudamerica.  Autore formatosi nel grembo di una prima esperienza quale sessionman chiave di “Arancia Sonora”, gruppo di supporto di un musicista della caratura di Mario Venuti, ancora eccellente coautore di alcuni brani nei primi due album della grande Patrizia Laquidara, chitarrista di spicco sia ritmico che solista, perfettamente a suo agio sia nella fase acustica che in quella elettrica, dopo aver mostrato per certi versi di essere una felice e comunque personale filiazione dello stile del più famoso menzionato conterraneo, se ne è progressivamente sempre più affrancato con il perseguire strade meno legate all'esperienza di un certo forbito pop-rock di estrazione americano-anglosassone per rivendicare una personale affezione alla tradizione popolare della canzone italiana secondo quella inconfondibile declinazione di stornello e rielaborazione in chiave ironico-goliardica di ritmi e melodie sudamericane e orientaleggianti.  Un itinerario senza sosta che ha portato alla scrittura di nuovi brani dove lo sviluppo di questa particolare indole musicale va a braccetto con il piglio beffardo, pungente e nel contempo sottile e giocoso del canzoniere del nostro.

Nel lavoro in questione si possono pertanto rinvenire varie anime sempre legate dal comune denominatore del ritratto ironico, dello sberleffo tagliente nei confronti dell’archetipo del maschio latino con una importante digressione sull'amore per le radici e su una più personale riflessione nostalgica. 

Nel primo filone rientrano cantate popolari quali il brano che dà il titolo all'album, il dixieland autoctono "Ti Amo Italia" dove riferimenti cari all'autore quali Modugno e Carosone si sposano al forbito rivestimento dell'accompagnamento strumentale, e ancora "Il Pasionario" dove uno stornellare sagace e malandrino si riveste di melodie e vocalità da entroterra cubano. 

Nel secondo nucleo del disco, Canto si produce in spassosi sfottò del cliché del rubacuori italico come "Bonjour Mademoiselle", l'ultra-retrò e caricaturale twang anni '20 di "Cuore Visonario", giostrata tra il burlesco e il suadente (con la fascinosa e seducente vocalità della talentuosa Pilar), e ancora "Il Polpo" vaudeville deliberatamente irritante nel tratteggiare un lezioso protagonista che incarna una figura lasciva e spaccona rinvenibile in parte anche nel lento ghiribizzo di "Maledetta".  Ma nello stesso alveo si passa anche da emanazioni più misurate e indulgenti come "Amore del Mio Amor" o la pastiche italo-sicula de " Il Superstite". 

L'apice è riservato a quella terza anima del lavoro che fa prendere sostanza a due ballate così differenti e così simili nell’essenza profonda: la veloce danza popolare di "Non Mi Ni Vaju" – reminiscenza allegra della vibrante “1908” - è un variopinto quadro dove taranta avvolta in profumi siculo-arabi, tradizione a colpi di sapidi adescamenti culinari e preziosi arrangiamenti mediterranei trovano un'espressione persuasiva e compiuta mentre la deliziosa melopea di "Chi Sarò" è una riflessione ironica e struggente ad un tempo che ruota attorno ad un'ostinata figurazione melodica fiatistica a tratteggiarne il carattere nostalgico da elegia. Un suggello degno ad un album dove calibrata satira di costume, gusto innato per l’arrangiamento e tradizione vivida si coniugano in un compendio musicale che colpisce e sorprende per carica intuitiva e lucida schiettezza.