OTEME – Osservatorio delle Terre Emerse

Il Giardino Disincantato

Recensione
Pubblicato il 27/03/2014 - Ultimo aggiornamento: 29/03/2014
Voto: 7.5/10

Quando negli anni '70 si faceva riferimento al rock progressivo dicendo che si trattava della “musica classica del millennio che sarebbe arrivato”, si proferiva una bestemmia, dato che per la sua quasi totalità, quella musica faceva riferimento a stilemi classici sin troppo digeriti e rimasticati in salsa “post moderna”, non pensando neanche per scherzo a quello che la contemporaneità vera stava producendo in ambito jazz e classico. Stefano Giannotti quella musica l'ha conosciuta, ma ne ha tratto le somme, nel bene e nel male, ne ha colto le evoluzioni in ambito RIO e chamber pop, ha fatta profondamente sua l'evoluzione dei diversi idiomi musicali nei decenni successivi, coniando una sua personalissima sintesi. E' un compositore nel senso più lato e dunque, contemporaneo, del termine, capace di avvicinare sacro e profano, che poi, qui mai autenticamente “profano” è, semmai “profano, alla buon ora, sacralizzato”. A scanso d'equivoci, come Romitelli sta portando (nonostante la sua prematura scomparsa) il rock nella classica contemporanea, alla stessa maniera Giannotti e Zago (di Yugen e Kurai), stanno portando la classica strettamente contemporanea, nel rock e nella canzone d'autore. Il risultato, pur apparentemente da fronti diversi, è a tratti praticamente identico, al punto che si potrebbe parlare, oggi, finalmente, di una fortunata area di confine che, si spera, possa diventare presto oggetto di studio serio in campo musicologico. L'odioso fare manifestativo e a compartimenti stagni del post modernismo, sta trovando una nuova soluzione in qualità di “fusione”, a tratti centrifuga, ben distante dall'ormai vecchia idea di “contaminazione”. Giannotti mette assieme la scrittura di Panella (questo in realtà, più che citato, “clonato”) e Umberto Fiori (Stormy Six/Luciano Margorani) per le liriche, riprendendo le metriche dell'ultimo Battisti (quello di “L' Apparenza”, in particolare), attorno alle quali costruisce un humus che attinge a certa saudade sudamericana e alla migliore musica da camera contemporanea (sensazionale l'arrangiamento di glassharmonica su “Mattino”, con la partecipazione del grande Thomas Bloch, uno che ha lavorato con John Cage, quanto con Radiohead e Damon Albarn) mostrando di essere assieme al prima citato Zago, il più grande arrangiatore contemporaneo estraneo ai canonici circuiti classici. Se però, il compositore degli Yugen, è genialmente debordante nei suoi improbabili e cerebrali sentieri alla Borges/Escher, Giannotti è misurato e, a tratti, sottilmente (quasi mai manifestamente, qui non c'è “teatralizzazione”) emotivo. Tra le canzoni, da segnalare assolutamente il bozzetto sardonico/surreale di “Dite a mia Moglie” dove i fiati emergono in grande bellezza, assieme ai cori (sempre benvenuti nell'opera) di Valentina Cinquini e Emanuela Lari. Chi ha ascoltato “Dedicato a Milva – da Ennio Morricone”, può immaginare i migliori episodi di quell'opera, 45 anni dopo, senza nessun ossequio a “nuove consonanze” ma a ad un sistema tonale e non, a prova di spettrogramma. Il tutto, con la consapevolezza e la conoscenza, di quanto la canzone d'autore mista ad arrangiamenti orchestrali, da allora abbia saputo donare, il Piero Ciampi di “Andare, Camminare, Lavorare” e Fossati di “Discanto” e “Macramè”, su tutti, per non citare chi come Battiato, ha fatto del post-modernismo una fortunata bandiera, o di chi come Branduardi, ha fatto del citazionismo, più o meno ortodosso, la stessa cosa. Di grande interesse anche “Ed io non c'ero”, che centra una vena drammatica senza appesantimenti di sorta ed il pianoforte della Lari a disegnare trame di grandissimo pregio. Questi due sono i quadretti che più hanno saputo convincermi nel formato canzone, ma “Sopra tutto e tutti” trasforma una semplice pop song in una sinfonia contemporanea; la scarna e bellissima cantilena “Per Mano conduco Matilde”, accarezzata dalla voce di Valeria Marzocchi, è brano dalle tante frammentazioni ritmiche (un plauso davvero a Matteo Cammisa, per il lavoro svolto nell'arco dell'intero disco) e testo di rilievo, che lascia davvero il segno. Preannuncio dunque, il voto che darò è una media tra il valore artistico e la compiutezza complessiva dell'album, ma a voler considerare solo il valore artistico, tanto più facendo un paragone tra questo lavoro e quanto prodotto dal contesto “alternativo” italiano, avrei dovuto dare non 10, ma 1000. Tra le tracce strumentali, tutte comunque non meno che eccezionali e in media, un gradino sopra le canzoni propriamente dette, “Caduta Massi” è a mio avviso la più avvincente, con un quadro cameristico completamente a fuoco. Assai più che semplicemente “interessante” anche la title track, dove le ragnatele tessute da percussioni orchestrali e strumenti a corda creano un substrato alleggerito da fiati coloratissimi (e se vi dicessi che siamo un passo oltre il Frank Zappa di “Hot Rats”?). Qui c'è spazio per tutti, in una scrittura assai felice, divertita quanto geniale, nell'attraversare e centrifugare tutto (niente a che vedere con Transavanguardia e Anacronisti), come ad aprire “Mr Internet Musica” in un unico fiume in piena, che regala, infine, una coda d'arpa autenticamente deliziosa. La realizzazione piena di quell'idea di “Musica Totale” (ma non “Gesamtkunstwerk”, questa è musica. Stop) che dalla fine degli anni '60 in poi s'è manifestata, salvo rari episodi, in quadretti frammentari e “citazionisti” a causa di mancanza di genio nell'arrangiamento, cosa che certo non manca a Giannotti, senza dubbio, architetto e scenografo a corte della contemporaneità più nobile. Il minimalismo classico ha in buona misura abbandonato la contemporaneità da almeno 20-30 anni, almeno nelle sue derive più integraliste (nonostante l'amore, eccessivo a mio avviso, che la critica mostra ancora per gente come Nils Frahm), è in questo che rispetto a “Baba O'Riley”, già gran parte del post-rock era “roba vecchia”. Dunque l'indie rock che continua a citare se stesso da 30 anni a questa parte farebbe meglio a definirsi “pop” per giovincelli annoiati/disperati che musicalmente, certo “vorrebbero”, ma proprio “non possono” e intanto, si vestono di comici misticismi, consapevoli di aver creato attorno a dischi di muli (solo parzialmente), prima e tempeste, poi (con un fare borioso insopportabile), una vera e propria lobby di “fancazzisti montati ad arte come la panna”. Volete il nuovo in Italia? Smettiamola dunque di fare della semplicità banale una bandiera, non ha senso in un'epoca dove tutti possono attingere a tutto tramite la rete e tutti hanno toccato uno strumento almeno per qualche anno della propria vita, esiste anche una semplicità nobile e una complessità non manifestativa o dichiaratamente elitaria. Musica è ricerca attorno a suono, intervalli, armonia, tocco, emissione, non è un imbarbarimento appresso a una nuova pedaliera, non può essere solo l'hobby del sabato sera, tra una posa fotografica e l'altra o un lavoro alle poste. Ce li vedete Beethoven, Wagner, Stravinskij, Xenaxis, Coltrane, Davis, Zappa, Brian Eno, Diamanda Galàs, Meredith Monk, Laurie Anderson, David Byrne, a fare musica mezz'ora a settimana e ad “autodefinirsi” geni? Non avrebbero prodotto neanche un millesimo di quanto hanno maturato, interiormente ed esteriormente. In un periodo in cui si fanno grandi discorsi sul valore della bellezza, vi immaginate Michelangelo a fare di giorno il salumiere e poi mezz'oretta la sera su di un ponticello, ricurvo, a dipingere la Sistina? Avrebbe fatto due graffiti! Ridiamo dignità al valore della ricerca in musica, smettendo una volta per tutte di intenderla come qualcosa che attraversa senza lasciare segno, mentre guidiamo o facciamo le pulizie, come “additivo” appresso a un drink e uno spinello. Smettiamola di identificare il valore artistico di un musicista con la sua presenza su uno schermo, cosa che nel suo odioso narcisismo, la quasi totalità dei musicisti oggi difende, perché (quasi) tutti vorrebbero barattare ciò che sono con qualche migliaio di “clap clap”, qualche migliaio di euro in tasca e qualche migliaio di donnette/maschietti nel letto. Prendete questo disco (o ascoltatevelo in rete), l'ultimo Deadburger, dE-Noize#2 Lophophora, l'esordio di Dalila Kayros, “Glad” di Stefano Luigi Mangia, l'ultimo Butcher Mind Collapse, “Canes Venatici” e Almagest! di Tomasini/Palumbo, solo per fare qualche esempio e consumateli, poi ditemi se avete voglia ancora di Vasco Brondi e se vi perderete appresso a definizioni come, “è brutto perché non so che roba sia”, datevi all'ippica.

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OTEME – Osservatorio delle Terre Emerse

Il Giardino Disincantato

Cd, 2013

Brani:

  • 1) Mattino
  • 2) Caduta massi
  • 3) Dal recinto
  • 4) Palude del diavolo
  • 5) Terra dei campi
  • 6) Ed io non c'ero
  • 7) Dite a mia moglie
  • 8) Il giardino disincantato
  • 9) Sopra tutto e tutti
  • 10) Per mano conduco Matilde
  • 11) Terre emerse (Bolero primo)

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