Ettore Giuradei
La repubblica del sole
In bilico tra genio e furbizia?
Questo terzo disco di Ettore Giuradei è un po’ come “Maison Maravilha Viva” di Joe Barbieri, chi conosce bene il disco di Joe e si mette ad ascoltare “La repubblica del sole” mi dirà che son pazzo, perché non c’è proprio nulla che accomuni i due lavori e l’affermazione fatta così, senza darne alcuna spiegazione può sembrare decisamente folle.
Cercherò di spiegarmi meglio, “Maison Maravilha Viva” ha avuto e ha tuttora su di me una sorta di effetto ipnotico, Joe non ha assolutamente una grande voce, anzi quasi sussurra più che cantare, le sue canzoni sono strutturalmente abbastanza classiche, i temi molto intimi e personali, ma l’effetto d’insieme direi che è strabiliante, una vera meraviglia che è come droga.
Allo stesso modo Ettore non ha proprio una bella voce nel senso classico del termine, anzi a qualcuno potrebbe addirittura risultare fastidiosa, il sound attuale, dopo la transizione di “Era che così” è tornato a virare ad un rock piuttosto classico ed energico, mentre i testi si sono quasi ridotti all’osso, eppure l’effetto finale è quasi dirompente ed anzi, se la vitalità è già notevole su disco, posso assicurarvi per esperienza diretta, che i suoi live sono ancora più trascinanti, grazie anche alla bravura dei comprimari presenti ovviamente anche nella versione su disco e per le proprie capacità teatrali.
E’ sempre difficile cercare di spiegare le sensazioni e le emozioni trasmesse da un disco, ma nel caso dei suoi dischi direi che l’impresa è ancor più ardua, direi subito, a scanso d’equivoci, che rispetto ad esempio al lavoro precedente il disco nel suo complesso mi è risultato immediatamente apprezzabile, più diretto, più lineare, più facilmente accessibile.
E’ vero, non sempre tutto è pienamente comprensibile, proprio come accadeva anche nei precedenti lavori, ci sono a tratti immagini che sembrano più frutto di abusi etilici o peggio che non lucide espressioni razionali, però spesso sono proprio questi i passaggi più torbidamente attraenti, quasi che il mistero ne acuisse l’effetto.
Si diceva delle sonorità legate al mondo del rock, il suo resta, però un rock molto personale, diverso dai cliché abituali cui ormai siamo abituati in Italia, intendo tipo Luciano Ligabue o Vasco Rossi (ammesso che Vasco Rossi abbia mai fatto rock), mentre la costruzione dei testi e non solo, è ormai sospesa tra pop e canzone d’autore, ci sono le frasi brevi, efficaci e ripetitive del pop, ma ci sono anche i contenuti più profondi quelli che caratterizzano la canzone d’autore.
Il disco si apre con la title-track “La repubblica del sole”, sicuramente uno dei pezzi più solari dell’intero disco ed ispirato a “La città del sole” di Tommaso Campanella, un’opera filosofico letterario in cui l’autore idealizzò un modello di società pacifica e giusta in un luogo immaginario, un’evidente utopia, visto soprattutto l’abisso tra la realtà storica attuale e l’esigenza, sentita dall’autore, di un rinnovamento civile e spirituale profondo, la stessa utopia la ritroviamo qui “ci saranno i suonatori a occupare le poltrone”. Il brano è perfettamente costruito ed il ritornello “Sarà la limpida Repubblica del Sole / stupido non ridere perdonami” entra subito in testa, come un grimaldello, grazie anche all’ottima musicalità del brano.
Certamente più legata ai bisogni umani è “Strega” dove sono gli istinti più carnali ed irrefrenabili a prendere il sopravvento, è ispirata all’immagine peccaminosa di Cleopatra che è descritta così “prima la pelle con il tuo profumo / tutte le voglie, siamo come i cani / che brami che vita ricami”, sono le chitarre ad introdurre il pezzo, anche se poi è soprattutto il piano del fratello Marco a rendere affascinante il brano e ad allentarne la tensione. Brucia di desiderio.
“Piedi alati”, blues con un bel sound trascinante ed ottimi riff, il pianoforte di Marco sempre in primo piano, ci parla ancora di desiderio e sensualità, qui i vari lalalà s’inseriscono alla perfezione nel castello sonoro costruito da Ettore, sembra quasi di essere immersi in un’orgia “piano piano il vestito / la lasciava per il pavimento / nuda a districarsi tra più mani / urlando alla fertilità / sono pronta / a chi tocca / senza fretta / c’è posto per tutti”, l’atmosfera suggerita mi ricorda tanto quella di “Easy wide shut”.
Ritmo indiavolato, sostenuto da un pianoforte tambureggiante almeno quanto le percussioni, “Sbatton le finestre” ci parla ancora di amore, un amore travolgente e passionale “riparto con lo slalom / la gincana / il freno a mano da lasciare / c’è tutta quella carne / il vestito vuol scoppiare”.
Molto bella è “Eva”, un inno alla donna in quanto donna, cui l’uomo è comunque legato a doppio filo sempre e comunque, nella buona come nella cattiva sorte “Se m’andrà bene t’amerò per sempre / se m’andrà meglio morirò per te / se m’andrà male sarai solo voce / se sarà peggio un’abitudine”, musicalmente è piuttosto tesa, con le chitarre elettriche a farla da padrone.
Con “Paese” si cambia sicuramente tema, si torna a guardare il nostro povero paese e se il brano d’apertura era utopistico, qui, ci si trova a faccia a faccia con la dura realtà di oggi, per Ettore ognuno deve necessariamente assumersi le proprie responsabilità “non è per colpa mia / te che non fai niente / di cosa ti lamenti / sei la vita dei morti / sei la fotografia / dell’ultimo ignorante / col fazzoletto verde”.
Delicata, solo pianoforte e voce, se non per la chiusura del violoncello, “Il vicino” affronta invece un tema molto scottante e lo fa con bei versi “quella finestra / che è sempre chiusa / quel rumore così lontano / lo senti tutto / che sforzo forte / per far dormire / le mani morte … e che si vigili / sulla sua anima / che la morale del cardinale / ci serve solo / perché chi viola / si senta male / la malattia dell’orientale”, interessante il contrasto tra la dolcezza musicale e la drammaticità del tema.
“4 Matrimoni” è un brano che cresce piano piano, prima c’è solo la chitarra, poi entra il piano, fino all’irruenta esplosione delle chitarre elettriche, giusto un attimo prima della seconda parte, disperata, del ritornello “non capirai mai guardami”, la situazione sembra forse celare il dramma di una doppia vita “porterò dodici donne / a un tavolo quadrato / a porgersi turbate alle mie voglie / al desiderio di fare ciò che sono” e poi più oltre “ho perso per piacere / la strada più sbagliata”, non tutto è chiaro, però sembra una situazione di un’attualità disarmante.
Nella successiva “Sensazioni” Giuradei sembra ancora voler riflettere sull’attuale situazione di sbandamento, quasi d’incoscienza, che caratterizza anche la persona più normale, quella che “se ha freddo si copre / si lava / con una preghiera / con bandiera rossa / non sa perché prega / non sa perché canta”. La sensazione che si avverte è di spaesamento.
La chiusura è affidata ad una brevissima canzone, neanche due minuti, intitolata “Macchinina cocaina”, il tema è molto attuale, ossia la dipendenza di molti uomini dalle macchine da poker presenti nei bar, quelle che finiscono poi per dare la stessa dipendenza di una droga. Canzone piccina ma carina, oserei dire.
Come giudicare quindi nel complesso questa nuova fatica di Ettore Giuradei? Beh, superato lo scoglio del secondo disco, la cui realizzazione spesso è più difficile di quella del primo per il carico di attese che ovviamente si trascina, direi che l’artista bresciano, continua a muoversi con grande abilità sempre in bilico tra genialità e furbizia.
L’estrema ed indiscussa originalità della sua proposta sembra a tratti confezionata con troppa maestria e calcolo di efficacia ed effetto, l’uso frequente di ritornelli che entrano immediatamente in testa, versi spesso minimalisti ma studiati ad arte, sembrano ricordare più da vicino il mondo del pop che quello strettamente legato alla canzone d’autore, ma è pur vero che i temi, trattati nelle sue canzoni e soprattutto il taglio con cui questi sono affrontati, non è certamente tipico della canzone commerciale, quindi alla fine la domanda che mi pongo è sempre la stessa: è più genio o più furbo?
Ma che importa? Le sue canzoni funzionano perfettamente e dal vivo affascina ancor più, dimostrando di saperci davvero fare e forse, ancora una volta, ha ragione lui quando ci canta con tono disperato, “non capirai mai guardami” o forse meglio, ascoltami!
Ettore Giuradei
La repubblica del sole
Genere: Cantautorale
Brani:
- 1) La repubblica del sole
- 2) Strega
- 3) Piedi alati
- 4) Sbatton le finestre
- 4) Sbatton le finestre
- 5) Eva
- 6) Paese
- 7) Il vicino
- 8) 4 matrimoni
- 9) Sensazioni
- 10) Macchinina cocaina
Informazioni tratte dal disco
Novunque / Mizar
Ettore Giuradei: voce, chitarra acustica (3, 5, 6, 8)
Marco Giuradei: pianoforte, cori, vibes, synth, chitarra acustica (2, 6, 9), chitarra elettrica (1, 5, 9)
Alessandro Pedretti: batteria
Giulio Corini: basso
Danilo Di Prizio: chitarra acustica (1, 2, 3, 4, 6, 9)
Daniela Savoldi: violoncello
Accursio Montalbano: chitarra elettrica (4, 5)
Andrea Faccioli: chitarra elettrica (2, 4, 6, 8, 10)
Max Carinelli: chitarra elettrica (5)
Emma Giuradei: cori (3)
Roberta Carrieri: cori (2)
Maurizio Virgilis: trombone e basso tuba
Giampaolo Filippini: registrazioni ambientali
Testi e musica di Ettore Giuradei (ad eccezione della musica di “Paese” e “Strega” di Ettore Giuradei e Marco Giuradei)
Produzione artistica: Marco ed Ettore Giuradei
Registrato allo studio “Adesiva Discografica” di Milano e mixato alla “Tavernastudio” di Provaglio d’Iseo (BS) da Domenico Vigliotti.
Masterizzato da Giovanni Versari – LaMaestà Studio.
Fotografia: Bams Photo
Progetto grafico: Martha Magrini Sissa