Sambene
Sentieri partigiani. Tra Marche e memoria
Il disco d’esordio dei Sambene “Sentieri partigiani-Tra Marche e memoria” si può ritenere probabilmente uno dei migliori dischi d’esordio nell’ambito della canzone italiana (e chissà se al Club Tenco avranno voglia di prendere appunti…), e quello che affermo è suffragato anche dai vari riconoscimenti che il gruppo marchigiano ha ottenuto dopo l’uscita dell’album, tra cui il prestigioso Premio Nazionale “Renato Benedetto Fabrizi” dell’ANPI, assegnato a coloro che si sono distinti nel trattare i temi dell’antifascismo e della Resistenza nell’ambito della propria attività.
Va subito detto che questo dei Sambene (che in sardo significa sangue) è un lavoro importante sia da un punto di vista musicale sia da un punto di vista di scrittura dei testi; l’album, composto da 11 canzoni, nasce con l’intento di cantare, celebrare e valorizzare il lavoro di uomini e donne della Resistenza nelle Marche, ma non solo, durante l’occupazione nazifascista. Infatti gli 11 brani possiamo definirli canzoni-ritratti, in quanto ognuno prende in esame la vita del protagonista, descrivendo le gesta eroiche di ogni valoroso combattente che ha dato il sangue (Sambene appunto!) per l’Italia e conseguentemente per le generazioni che sono venute dopo, noi compresi. Personalmente il titolo “Sentieri partigiani” mi riconduce propriamente ai due temi portanti del lavoro, ossia la parola “sentieri” a descrivere il territorio e l’ambiente in cui si svolgono le storie ed il termine “partigiani” a descrivere per l’appunto le biografie di uomini e donne che hanno lottato contro il fascismo. A questo punto l’ascoltatore più critico si porrà sicuramente la fatidica domanda: “C’era bisogno di un altro album sulla Resistenza?” A questa domanda la risposta che si può dare senza paura di essere smentiti è quella di un sì affermativamente convinto soprattutto in questi tempi bui in cui la maggior parte delle nazioni si sta spostando sulla matrice destra della linea politica. Il cd infatti non solo racconta minuziosamente, come vedremo in seguito, le vicende della Seconda guerra mondiale, ma in più di una occasione le attualizza ai giorni nostri, mettendoci in guardia dai pericoli sottesi e neanche tanto celati che si avvertono ad ogni latitudine. Uno dei meriti di questo album, sapientemente coordinato da Michele Gazich (produzione artistica) e Lucia Brandoni (produzione esecutiva), è quello di dare un risalto particolare alle parole, e quindi alle storie, e tutto ciò viene fatto anche attraverso la scelta di suonare in maniera completamente acustica ogni brano, lasciando spazio alle parole (che rivestono qui un’importanza vitale) contornate dalla musica, che a seconda del contesto da e toglie, con il risultato di una commistione feconda tra cantato e suonato, che risalta in modo particolare grazie alle voci complementari e funzionali del valido Marco Sonaglia e delle due bravissime Roberta Sforza e Veronica Vivani.
I Sambene sono un gruppo folk marchigiano composto da Marco Sonaglia (voce e chitarra acustica, cantautore con all’attivo già due eccellenti album come “Il pittore è l’unico che sceglie i suoi colori del 2013 e “Il vizio di vivere” del 2015), Roberta Sforza (voce), Veronica Vivani (voce) ed Emanuele Storti (fisarmonica), nato all’interno dell’Accademia dei Cantautori di Recanati diretta egregiamente dall’instancabile Lucia Brandoni. Il gruppo marchigiano si muove nell’ambito del combat folk e della canzone d’autore avendo come punti di riferimento imprescindibili gruppi come Gang e Modena City Ramblers da una parte e cantautori come De Gregori, Bubola, De Andrè dall’altra.
Per questo loro album d’esordio, oltre alla direzione musicale ed alla produzione esecutiva della stessa Brandoni, si sono avvalsi della produzione artistica del violinista Michele Gazich (già al fianco di Massimo Priviero, Michelle Shocked, Eric Andersen, Mary Gauthier ed altri) ed anche delle collaborazioni di Marino e Sandro Severini (Gang) e dell’attore fermano Giorgio Montanini. Nella produzione dell’album i Sambene si sono avvalsi di uno strumento molto in voga in questo periodo, ossia il Crowdfunding tramite il sito Musicraiser, ed ovviamente tale operazione ha riscosso da subito un successo imponente (i dati finali parlano infatti di 4955 euro raccolti sui 4000 inizialmente richiesti, con 157 produttori).
Si parte con “Nunzia, la staffetta”, la storia di Nunzia Cavarischia (a cui l’album è dedicato e donna che i Sambene hanno incontrato personalmente per farsi raccontare le sue gesta e quelle dei partigiani), staffetta partigiana che a soli 15 anni portava lettere ed armi ai compagni partigiani ed in seguito si unì insieme a Nenè Acciaio alla “201 volante”, una delle formazioni più attive in zona marchigiana; da qui nacque il mito di “Stella rossa”. Ad introdurre il brano iniziale è proprio la voce di Nunzia che canta le parole di Livio Cicalè e Giuseppe Biagiotti, partigiani che anch’essi presero parte in seguito al gruppo sopra citato del comandante Nenè Acciaio e che morirono a soli 19 anni per mano dei fascisti. Nel brano da segnalare anche una citazione del maestro Francesco Guccini (“Come tutti gli eroi era giovane e bella”). La tessitura musicale è affidata al violino dolente di Michele Gazich e le strofe vengono ripartite equamente tra le voci femminili di Roberta Sforza e Veronica Vivani , la voce di Marco Sonaglia e quella di Michele Gazich, autore anche delle parole e della musica insieme a Lucia Brandoni ed al già citato Sonaglia. Qui le voci sono amalgamate alla perfezione e la melodia scorre via veloce grazie alla trama sorretta da violino, chitarra acustica e fisarmonica; la coralità delle voci sta quasi a sottolineare l’unità che scaturisce dalla storia di Nunzia, che ci insegna ad essere più uniti, uomini e donne, per sconfiggere il nemico. Nell’ultima parte del brano ci sono anche dei riferimenti proprio per sconfiggere il nemico attuale, quel fascismo strisciante, banalizzato dai più e addirittura sminuito nei suoi aspetti più violenti.
Si arriva poi di conseguenza a “Nenè Acciaio”, il ritratto del comandante siciliano (il cui vero nome era Emanuele Lena) a capo del gruppo partigiano della “201 volante”; fu soprannominato Acciaio per il coraggio e la tenacia che profondeva contro gli oppressori nazi-fascisti e venne catturato e giustiziato da una raffica di mitra a soli 24 anni. Musicalmente la canzone inizialmente è sostenuta, oltre alla voce di Marco Sonaglia, dalla chitarra acustica del cantautore fabrianese e dal violino di Gazich; a quasi metà brano irrompe riconoscibilissima la voce di Marino Severini e successivamente la chitarra elettrica, altrettanto riconoscibile, di Sandro Severini, oltre alle armonie vocali del tandem Sforza-Vivani, per chiudere con un duetto finale di violino e fisarmonica di Emanuele Storti.
Il terzo brano “Eraclio Cappannini” è dedicato al capo partigiano, prima facente parte della V Brigata Garibaldi e poi capo di stato maggiore impegnato nei combattimenti contro i nazi fascisti a Serra San Quirico e zone limitrofe; fu catturato ad Arcevia e giustiziato il 5 maggio del 1944 insieme ad altri partigiani. La particolarità da cui prende spunto il brano è la lettera alla famiglia che Eraclio riuscì a scrivere prima di morire sul retro di una busta dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale di Ancona e che fu ritrovata sul luogo dell’esecuzione e consegnata ai genitori e conservata ora dal Comune di Jesi. La struttura musicale qui è molto semplice con la fisarmonica di Storti ed il violino di Gazich padroni della scena e con le voci del trio Sonaglia-Sforza-Vivani a narrare la storia di Cappannini, mentre la voce recitante dell’attore marchigiano Giorgio Montanini declama la lettera sopra citata, fino alla frase finale che suona come un incitamento alle generazioni che verranno: “Siate forti come lo sono stato io”.
Si continua con la storia di “Bebi Patrizi”, altro giovane partigiano catturato ed ucciso a Montalto insieme ad altri partigiani nel marzo del ’44 a soli 19 anni. Musicalmente la struttura della canzone è sorretta in maniera particolare dagli inserti al violino di Gazich e della fisarmonica di Storti, oltre alle incursioni vocali delle brave Roberta Sforza e Veronica Vivani.
Si prosegue con la traccia numero 5 “Ruth e Augusto”, che narra la storia d’amore tra la profuga ebrea Ruth Wartski ed il comandante Augusto Pantanetti; i due si incontrano nel 1942 a Monastero in provincia di Macerata e si sposano nel 1944, a dimostrare come anche in tempi di guerra l’Amore con la A maiuscola può trionfare o per dirla come i Gang che più forte della morte è l’amore.
In questo brano la struttura musicale si arricchisce della viola lancinante suonata da Michele Gazich e nel dipanarsi del racconto le protagoniste assolute sono le voci corali che sembrano quasi cingere in un abbraccio pieno di affetto i due protagonisti della storia narrata.
Se qui è protagonista il tema dell’amore, nel brano successivo “Elvio e Ivan” a far capolino è una storia di amicizia tra Elvio Pigliapoco ed Ivan Silvestrini. I due, appartenenti al gruppo Lupo composto prevalentemente da giovani comunisti, vennero fucilati il 2 maggio 1944 a Fabriano, davanti alle mura di cinta del vecchio cimitero di Santa Maria; prima di morire Ivan riuscì a scrivere una lettera ai suoi genitori che riporta, come nel caso di Eraclio Cappannini, la significativa frase: “Siate forti come lo sono io”. Nel testo va rilevato come il ritornello rimanga impresso per le stupende parole usate (in questo caso le parole sono opera della coppia Brandoni-Gazich): “Chi muore non muore davvero, se la memoria è il tuo sentiero, su quel muro fiorisce la pervinca, se tu ricordi, la morte è vinta.” La parte cantata è affidata, e non poteva essere altrimenti, alla voce del fabrianese Marco Sonaglia con gli accompagnamenti vocali delle voci femminili e gli assoli al violino del solito Michele Gazich, con la fisarmonica di Storti a fare da sottofondo.
Le due canzoni successive vedono protagoniste in solitaria, una per ogni brano, le voci femminili di Roberta Sforza e Veronica Vivani.
Si principia con il ritratto di “Achille Barilatti” , compagno partigiano catturato ed ucciso a Muccia il 23 marzo 1944 che al momento della fucilazione dopo aver detto alla fidanzata “Meglio la morte che il tradimento!”, in punto di morte ebbe la forza di pronunciare le parole “Viva l’Italia libera!”. La canzone è retta in piedi dalla voce portentosa di Roberta Sforza ed in questo contesto la viola di Gazich e la chitarra acustica di Sonaglia fungono da accompagnamento, lasciando spazio alle parole dedicate a questo valoroso partigiano.
Il successivo brano “Derna Scandali” narra le gesta della vita di Derna Scandali, vita dedicata interamente alla lotta per i diritti delle donne; staffetta partigiana, comunista ed attiva nel Sindacato con, tra gli altri, i risultati ottenuti per la regolarizzazione di molti contratti e l’iscrizione della manodopera femminile agli istituti previdenziali. Se in questo caso le parole sono affidate a Luca Lisei (instancabile nel ricercare e narrare la maggior parte delle storie presenti nel disco), la musica è appannaggio di Marco Sonaglia e Veronica Vivani, che mai come in questo caso tira fuori la sua anima popolare. Il brano infatti si apre con una introduzione di saltarello di Emanuele Storti alla fisarmonica, per poi dare spazio alla chitarra acustica di Marco Sonaglia e alla bellissima voce di Veronica Vivani, che racconta con gioia il grande impegno femminista e sindacalista della protagonista.
Si va verso la conclusione con “Erich, lo straniero”, una storia atipica nel panorama della Resistenza. Qui si parla della cattura del tedesco Erick Klemera da parte di Nunzia Cavarischia e della sua permanenza a casa di Nunzia che lo curò; una volta fuggito, i destini di Erick e Nunzia si incontrarono di nuovo quarant’anni dopo la fine della guerra ad una cerimonia dell’ANPI di Tolentino cementando la loro storia di amicizia. Anche la struttura musicale è atipica con la voce straniera ed il pianoforte (anch’esso straniero nella partitura musicale del lavoro) di Michele Gazich a raccontare la storia di Erich, lo straniero.
Il penultimo brano è una canzone corale “Il vento della memoria”, che attualizza la Resistenza mettendo sullo stesso piano tre avvenimenti importanti della storia d’Italia: la fucilazione di 59 uomini a Capolapiaggia (frazione del comune di Camerino) il 24 giugno 1944, la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e quella di Piazza Loggia del 28 maggio 1974. Se le stragi degli anni ’70 sono conosciute ai più , merita un’attenzione particolare invece la fucilazione di 59 uomini a Capolapiaggia, dove morì, tra gli altri, la vedetta del Battaglione Alessandro Sabbatini, a cui vennero cavati gli occhi prima della fucilazione. L’importanza del testo qui si rivela fondamentale per attualizzare la Resistenza e ricordare che nonostante quello che vogliono farci credere, i venti del fascismo non sono ancora sopiti, anzi…E’ una canzone corale con le tre voci che si amalgamano alla perfezione e con gli inserimenti al violino di Michele Gazich sempre puntuali a creare con la fisarmonica di Storti una musicalità sostenuta e piena di speranza.
Il disco ed anche il cerchio si chiude con l’immancabile “Bella ciao”, riproposta tuttavia qui nella versione delle Mondine diffusa nel 1964 grazie ad uno spettacolo di Roberto Leydi (etnomusicologo, di cui la Direttrice musicale dei Sambene Lucia Brandoni è stata allieva). Tale versione, ovviamente diversa nel testo dalla versione classica, viene egregiamente cantata a cappella dal duo Roberta Sforza-Veronica Vivani che con le loro voci potenti e introspettive riempiono l’atmosfera del canto facendolo sembrare accompagnato dalla musica, che invece non c’è; proprio questa capacità di riempire lo spazio musicale con le voci è una delle caratteristiche precipue e particolari delle voci superbe delle due interpreti.
In conclusione un album che ha bisogno di più ascolti per essere metabolizzato ma che una volta entrato in circolo non ne esce più, ed un lavoro fatto di ricerca e passione che ci ricorda come sia fondamentale al giorno d’oggi riscoprire quotidianamente il valore della memoria e come sia, a fronte di revisionismi sempre presenti, necessario ed imprescindibile ricorrere a storie come queste per ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Sambene
Sentieri partigiani. Tra Marche e memoria
Brani:
- 1) Nunzia, la staffetta
- 2) Nenè acciaio
- 3) Eraclio cappannini
- 4) Bebi patrizi
- 5) Ruth e augusto
- 6) Elvio e Ivan
- 7) Achille barilatti
- 8) Derna scandali
- 9) Erich, lo straniero
- 10) Il vento della memoria
- 11) Bella ciao