Everything But The Girl
Fuse
Erano passati quasi vent’anni dall’ultimo album degli Everything But The Girl… ma questo non li ha fatti dimenticare al momento del loro ritorno, con le dieci tracce di Fuse. Il momento è propizio: il pubblico pop e fuori ha fame di nostalgia, la musica atmosferico-chic e il synthpop sono sottoculture ricche e fiorenti, e una carriera consolidata offre la possibilità di sperimentare. Il risultato è un ritorno di forma che bilancia passato e futuro, e che non solo restituisce a un gruppo mai dimenticato la sua maestà, ma si colloca senza fatica in una corrente (giustamente) amata.
Ci si può chiedere come suona la voce di Tracey Thorn, dopo dieci anni di inattività – per scoprire un timbro da donna vissuta, rauco, aristocratico. Non si produce in eccessi vocali, perché non servono. È un momento di raccoglimento, in cui due persone che tornano a fare quello che un tempo amavano particolarmente in uno spazio – quello lontano dalla serie A – che permette loro di esprimersi al meglio e riscoprire una passione. Ci si può domandare quali siano le tematiche di fondo, avendo appurato che la band non era interessata ad esplorare l’attualità: e si scoprirebbe che la risposta è, naturalmente, di sé stessi e di chi conoscono.
Tracey Thorn e Ben Watt avevano anticipato un album non solo moderno, ma anche eccentrico e divertente, sperimentale, realizzato durame il tempo libero della pandemia di Coronavirus (alla quale tuttavia non sono dedicate tracce nel dettaglio). L’elemento sperimentale, tuttavia, è poco marcato in Fuse. È un album tranquillo, di atmosfere e midtempo che si crogiolano nella tradizione del synthpop, come l’hanno inventata tra i primi proprio gli Everything But The Girl. Si potrebbe descrivere come il ritorno a una vecchia casa di famiglia, dopo tanti anni di chiusura. Si aprono le finestre, si scuote via la polvere, si lascia prendere aria alle stanze e si tira fuori qualche vecchio ricordo della propria giovinezza sorridendo ai tempi in cui era successo. Non si sente il bisogno di tornare ai vecchi tempi, perché si ha la consapevolezza che il passato non ritorna, ma si può ricordare perché si amava vivere là e cosa si è costruito al suo interno.
La lentezza di Fuse è il suo difetto principale: l’album non sembra mai sollevarsi del tutto e presenta vari momenti morti in cui il solo supporto del synth non riesce a mantenere a galla l’atmosfera. Momenti come la nebulosa Lost rallentano il flusso dell’album perdendosi in espressioni di synthpop scontate e poco saporite, risultando filler struttura di Fuse, i suoi punti di forza, sta nelle ballad. Non sono solo il formato che meglio si adatta alla particolare voce di Thorn, completandone il timbro in un’atmosfera accogliente. Sono, soprattutto, le più adatte ai contenuti proposti dall’album e dalla sua idea – esplorare il mondo che li circonda e le loro relazioni. Spiccano soprattutto Running A Red Light, Nothing Left To Lose e la riflessiva Karaoke, in cui l’incontro di tipi umani à la Piano Man di Billy Joel combina nel modo più efficace nostalgia e tempi correnti.
Fuse è un album solido, che non reinventa il synthpop perché non serve – gli Everything But The Girl l’hanno già fatto, e vogliono divertirsi come loro sanno fare. Rimane un lavoro funzionale, ben fatto, da due esperti che non avevano nulla da aggiungere a un genere ormai consolidato, e un ascolto ben meritevole.
Everything But The Girl
Fuse
Genere: Pop
Brani:
- 1) Nothing Left to Lose
- 2) Run a Red Light
- 3) Caution to the Wind
- 4) When You Mess Up
- 5) Time and Time Again
- 6) No One Knows We're Dancing
- 7) Lost
- 8) Forever
- 9) Interior Space
- 10) Karaoke