Claudio Lolli
Lovesongs
Lovesongs: disco raffinato, ma rarefatto e chiuso nel passato…
“Provate a immaginare un ragazzo, verso la fine degli anni ’60 che non riesce a dormire. (Non ci riuscirà mai…). Cosa può fare? Una delle prime radioline portatili, una cuffietta improbabile e ascolta. Tutta la notte. Ma nessuno trasmette. Suoni in onde corte che vanno e vengono, lingue incomprensibili; verso le sei di mattina, finalmente, le trombe di Radio Tirana. Ma è troppo tardi, bisogna alzarsi e andare a scuola. Frequenze. Provate ad immaginare, solo qualche anno dopo, lo stesso ragazzo, un po’ cresciuto, con la stessa radio ed una cuffia un po’ migliore che, girando la magica rotellina della sintonia trova un mondo che trasmette, che ha voglia di trasmettere: mille radio libere, Radio Alice, che sembra parlino di lui e che lo chiamino, lo invitino a parlare ad altri. Una iniezione straordinaria di energia. Oggi niente di tutto ciò, oggi l’inferno. Nelle ultime malebolge Dante metteva i seminatori di zizzania, i fomentatori di odio, i dispensatori di disamore. Sintonizzatevi su “Radio Padania Libera” e capirete benissimo, se ancora non lo avete capito, cos’è l’odio moderno, contemporaneo, cos’è la nostra colonna sonora infame. Frequenze.
Allora ci vogliono degli anticorpi e questo disco, sostanzialmente antileghista e passionale, vuole essere proprio questo: un anticorpo politico-erotico contro il normale odio oggi diffuso tra gli esseri umani, di qualsiasi razza, sesso, colore. Sarà banale, evangelico, ecumenico ed ingenuo ma forse parlare d’amore oggi può avere una valenza eversiva: l’amore oggi è merce preziosa e rara e noi vogliamo esserne i rapinatori, per donarlo ai poveri e ricattare i ricchi. Con amore, lovensongs. Perché le frequenze sono soprattutto le frequenze del cuore…”.
E’ questa la premessa intitolata “Frequenze”, inserita nel sobrio libretto di Lovesongs e qui riportata per intero perché rappresenta senza ombra di dubbio il dettato programmatico di questo nuovo disco di Claudio Lolli che vede l’artista bolognese collaborare nuovamente con Paolo Capodacqua alle chitarre cui si aggiunge, in questa occasione, Nicola Alesini (di chiara estrazione jazz) ai fiati (sax e clarinettino) oltre che alle morigerate elettroniche.
“Lovesongs” è dunque un disco di canzoni d’amore concepito come un antidoto al diffuso odio verso chi è in qualche modo diverso da noi e fin qui il discorso regge alla perfezione, non è il concetto a scricchiolare semmai il metodo con cui è affrontato il discorso ad essere in parte contraddittorio.
Mi spiego meglio, se il problema del nostro essere oggi è questa assenza di amore o comunque di attenzione verso chi ha bisogno, perché esprimere questa esigenza d’amore facendo ricorso a canzoni del passato, tutte le canzoni del disco sono, infatti, tratte da suoi dischi del periodo 1971-1987, anziché scrivere nuove canzoni che meglio esprimano il contesto attuale?
E’ vero che l’amore è universale e senza tempo, però trovo l’operazione un po’ anacronistica.
Non voglio qui entrare nel merito delle scelte effettuate per arrivare a queste otto canzoni, al perché aver inserito una canzone ed averne escluso un’altra, semplicemente per il fatto di non conoscere bene il Lolli del passato perciò non posso neppure far raffronti tra le versioni attuali e quelle originali perché mi definisco un Lolliano dell’ultima ora, però posso dire che manca un capolavoro come “Bisogno orizzontale” del suo recente “La scoperta dell’America”, il disco che mi ha fatto innamorare di Claudio Lolli.
Una cosa però che posso affermare è che rispetto a quello splendido disco, avverto in “Lovesongs” come un senso di monotonia, i tappeti sonori disegnati con abile maestria da Paolo Capodacqua (la coppia è ormai più che affiatata) con l’apporto qui fondamentale di Nicola Alesini sono in sé stupendi e raffinati, però ho come l’impressione che alla fine rendano troppo uniforme e piatto l’intero lavoro.
Anche dopo alcuni ascolti, soprattutto per chi come me le canzoni non le conosceva già dal passato, complice forse anche il modo di cantare di Claudio Lolli che ormai non canta più, ma si limita a recitare i propri testi, le canzoni si compenetrano l’una nell’altra ed è difficile a fine ascolto distinguerle l’una dall’altra con chiarezza.
E’ un vero peccato perché a livello di testi queste canzoni di Lolli restano, anche a distanza di anni, vere e proprie poesie di indubbio valore letterario e non solo.
Prendiamo ad esempio versi come questi “perché è lo stesso delle strade, piazze, / viali e tanti bar malfamati, / in cui ci siamo presi, persi, un cui ci / siamo spaventati, ci siamo amati, / per tempi lunghi, per città per storia, / vocazione, abbracci e per saluti / per una cosa che non sarà vita / ma neanche solo dieci minuti…” tratti da “Aspirine”, penso che rappresentino con straordinaria efficacia la precarietà dell’amore, caratteristica comune ad ogni età e ad ogni epoca.
Ma anche questi versi “Quello che mi resta dei tuoi giorni è la triste sicurezza / che non mi è mai importato nulla di chi di noi avesse torto. / Quello che mi resta dei tuoi giorni è solo il senso d’esser morto” che chiudono “Quello che mi resta” esprimono con drammaticità il senso di non ritorno di un amore purtroppo finito.
Magnifica è anche “Non aprire” con questi versi pieni di amarezza “Non mi sono mai conosciuta, diceva, e scommetto che non mi conoscerò, non saprei mai rigirarmi nei miei angoli ottusi, nei miei angoli acuti, / io preferisco i mesi agli anni, le ore ai giorni, i secondi ai minuti” in cui penso possano riconoscersi tanti di noi, sempre più spesso legati ai momenti che non ai progetti a lungo termine, in un mordi e fuggi, in una sorta di take e way dell’amore.
Come dimenticare poi “Dita”, il cui testo sarebbe da riportare integralmente, forse la migliore in assoluto dell’intero lotto, tra l’altro anche la più recente tra tutte essendo datata1987.
Facendo quindi un bilancio del disco, potrei dire che dispiace soprattutto il fatto che Claudio Lolli non abbia colto l’occasione per fare un “vero” nuovo disco, limitandosi invece a rifare se stesso, con un disco di “cover d’autore”, un disco raffinato bisogna pur dargliene atto però, senza avere il coraggio di tracciare un suo nuovo personalissimo linguaggio dell’amore, inoltre ribadisco il fatto che anche musicalmente, rispetto al suo precedente lavoro “La scoperta dell’America”, si avverte un senso di eccessiva rarefazione.
Peccato, chissà quanto ancora dovremo aspettare un nuovo disco di inediti... forza Claudio aspetteremo fiduciosi.
p.s. mi sto ancora chiedendo perché nel libretto non vi sia traccia del testo di “Notte americana”, vedrò di farmelo spiegare dallo stesso Lolli…
Claudio Lolli
Lovesongs
Genere: Cantautorale
Brani:
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1)
La pioggia prima o poi da Claudio Lolli, 1988
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2)
Aspirine da Claudio Lolli, 1988
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3)
Donna di fiume da Canzoni di rabbia, 1975
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4)
Dita da Intermittenze del cuore, 1997
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5)
Quello che mi resta da Aspettando Godot, 1972
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6)
Notte americana da Antipatici antipodi, 1983
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7)
Non aprire mai da Extranei, 1980
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8)
La giacca da Un uomo in crisi, 1973
Informazioni tratte dal disco
Nicola Alesini: sax soprano, sax tenore, clarinettino popolare, loops elettronici, sintetizzatore
Paolo Capodacqua: chitarre
Giuseppe Morgante: contrabbasso in “Non aprire mai”
Testi e musica di Claudio Lolli
Produzione artistica e arrangiamenti di Nicola Alesini e Paolo Capodacqua
Registrato da Bruce Morrison presso il “Piccolo Auditorium di Storie di note” (Canale di Orvieto)
Mixato da Bruce Morrison e Nicola Di Già presso il “Noise studio” (Roma)
Masterizzato da Fabrizio De Carolis presso il”Reference Mastering Studio” (Roma)
Supporto tecnico Pro Tools di Francesca Bianco SMAP Italia (Roma)
Foto di copertina e libretto di Enzo Eric Toccaceli (eccetto pag. 2 di Franco Vassia)
Progetto grafico di Franco Vassia (Studio Imago)
Produzione esecutiva: Ilaria Caneva e Rambaldo degli Azzoni per Storie di note