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Il palco si riempie di musicisti.
C’è di tutto: oltre ai vari archi (violini, contrabbasso, viola), anche una chitarra elettrica, un basso (sarà suonato in alternativa al contrabbasso in certe performance), la batteria e un percussionista con vari bonghi e djembé.
Si inizia con un assolo di chitarra elettrica, poi tutti attaccano a suonare, ma manca ancora lui: Ara Malikian.
Dopo poco entra sul palco, abbigliato con un paio di pantaloni pieni di zip e lacci, di cui uno agganciato a uno stivale (che li usi anche per fare gite di sci alpinismo?) e una giacchetta nera abbastanza sobria per il suo stile. In seguito la toglierà e si vedranno le sue braccia tatuatissime che spunteranno da un gilet a fiori scuri.
Inizia a suonare con una carica inaspettata anche per chi abbia già visto video e ascoltato i CD. E’ l’energia del live, che in questo caso trasfigura decisamente ogni aspettativa di chi non l’abbia mai sentito dal vivo.
La musica, frenetica, viene accompagnata da movimenti del corpo, salti, piroette, momenti in cui tra lui e uno degli altri due violinisti si inscena una danza con ispirazioni che definirei da Capoeira, e ci si rende subito conto che non è solo coreografia: anche i movimenti hanno un senso armonico nella composizione globale: il suono arriva in modi diversi a seconda di come sono orientati gli strumenti e i corpi dei suonatori.
L’acustica è perfetta, e il pubblico scoppia in un applauso a metà esecuzione, tanto è entusiasta.
Inaspettato, perlomeno per me, è il fatto che oltre ad essere un virtuoso del violino e un animale da palcoscenico mentre suona, Ara lo è pure nelle capacità cabarettistiche. In un italiano che afferma di aver imparato la mattina stessa (in questo caso, seppur con un pot pourri di italiano e spagnolo, si può dire che l’artista abbia anche incredibili capacità di apprendimento delle lingue straniere), racconta aneddoti creando una suspence comica non da poco, e facendo sorridere e a tratti ridere tutto il pubblico. Percorre la storia del suo violino, regalatogli dal nonno, che in realtà non lo ha mai suonato ma da cui gli è stata salvata la vita (durante il genocidio armeno, di cui parla in un altro stacco seguito da una performance dedicata e di grande impatto emotivo). Divertentissimi i racconti di quando per quattro anni, a causa di misunderstanding sul tedesco, avrebbe finto di essere un violinista ebreo, suonando a tantissimi matrimoni ebrei . Scritto così è come quando uno racconta una barzelletta e nessuno ride perché non ne è capace, ma sicuramente Ara sarebbe un barzellettiere d’eccellenza. Non mi è stato chiaro se inventi o sia vero che, vergognandosi con altri musicisti del suo violino non di marca, abbia inventato che fosse un Ravioli. Al pesto? No. Alfredo. Alfredo Ravioli, un virtuosissimo della costruzione del violini che, dopo averne fabbricati solo cinque preziosissimi esemplari, avrebbe seguito il suo sogno romantico di mettere su un allevamento di polli in Scandinavia. E’ seguita una performance che lui ha definito una sua composizione sulle uova sbattute. Sicuramente, se ne avesse in tasca, ne uscirebbe una frittata perfetta, considerati tutti i movimenti e le scivolate di ginocchia che fa come se avesse quindici anni mentre ne ha ben quarantanove!
La sua energia trascina il pubblico attraverso un itinerario non solo nella sua storia personale, ma anche qua e là per i generi musicali, spaziando dal rock (Led Zeppelin, David Bowie, la canzone di Pulp Fiction) ai balli popolari, alla musica classica (Vivaldi, Bach,…). Il tutto è suonato con lo stesso calore e coinvolgimento, e perfino una come me, analfabeta di ritorno sulla musica classica, si ritrova a confrontare l’interpretazione di Vivaldi e quella dei Led Zeppelin e stupirsi nel preferire la prima.
Che dire? Grande artista e grande gruppo di accompagnamento.
Da vedere assolutamente dal vivo.