Sergej Sergeevič Prokof'ev
Three War Sonatas (Vladimir Ashkenazy)
Dirò un'eresia, ma, partendo da un'assurdo, una retroflessione di significato, su "riff rock" sembrano create queste invenzioni, realizzate in piena epoca di maturità artistica, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, che vedranno Prokofiev, tra i compositori più vicini a Stravinskij, anche per l'interesse che la critica mondiale e parigina in primis, gli avrebbe riservato. Un intellettuale che volle instaurare dialoghi e confronti diretti, con i più grandi esponenti culturali della sua epoca. ma che dalla sua nazione fu prima amato e poi, volgarmente ingiuriato, proprio nel periodo in cui queste composizioni ebbero ad essere concepite e che furono, tra l'altro, testimoni di una serie di attacchi cardiaci, a cui il compositore e pianista, dovette far fronte. L'uso di intervalli dissonanti e altamente atonali (diafonici? Ottofonici? Esatonali?), in queste tre Sonate (le più nobili, a mio modesto avviso), pronti ad aprirsi ad eleganti armonizzazioni jazzistiche (Primo Movimento Sonata #6) conducono l'ascoltatore a dialoghi/racconti (Prokofiev, fu tra i primi compositori, ad interessarsi di scrittura musicale per cinema), di violento impatto ritmico, altamente nevrotico, di un parossismo tecnico tra i più alti mai concepiti, che Ashkenazy, rende furia autentica. Della stessa Sonata #6, il Secondo Movimento, appare assai ben più giocoso, nonostante armonizzazioni trascoloranti che non rifuggono da un solido sostegno ritmico. Il Terzo Movimento, come di tradizione classica, si apre con ben più marcata furia, che non esclude però brillantezza, sempre pronta a rinnovarsi ad una foga che non è solo compositiva, ma notoriamente anche marchio caratteriale dell' ex enfant terrible.
Fui introdotto alla Sonata #7 (quella che più amo e che più mi ha segnato), da un nastro senza alcun titolo, portato con sè dalla Russia, dal regista Marc Vincent Kalinka, che mi commissionò, il giorno prima di andare in scena con una rilettura di Les Bonnes di Genet, una sonatina per pianoforte e fiati (poi sul mio primo album, col titolo Movimento #1). L'incanto che trassi dall'ascolto della Sonata del compositore russo, fu tale da portarmi all'ideazione di una composizione post-moderna che univa contrappunto bachiano a scrittura prossima all'atonale (cacofonica, nell'irruenza della scrittura per sax baritono). Solo una cosa dimenticai.....quando mi ritrovai su un palco, mi resi conto di non essere in grado di eseguirla (cosa, fortunatamente, poi superata) ... con le conseguenze immaginabili, di una prima disastrosa (con me, gli allora giovani talenti, Lorenzo Marangon, Manuela Tadini e Barbara Tonon). Nella Sonata 7, in questione, l'isteria di una successione rapidissima di temi diversi, su stessa struttura ritmica, fa del Primo Movimento (mia autentica ossessione), qualcosa di inconcepibile, che ancora una volta, si affaccia ad armonizzazioni jazz, che aprono ad aperture melodiche di gran levità, quasi impalpabile, per poi tornare, in maniera progressiva, ad una densità materico-armonica ancora più corrusca e ritmicamente solida, che intesse varianti sul primissimo tema d'apertura. I ribattuti valgono un'intera sezione percussiva, tra le mani di Ashkenazy, che allo stesso modo, alterna ad essi, pianissimo purissimi, in un solo batter di ciglia, così come richiesto da partitura. Il Movimento Secondo, sembra non avvicinare armonizzazioni ma ruotarvi attorno, facendo del tardo romanticismo, invenzione jazz e nuova scrittura classica, che progressivamente, nella successione di microfrasi, sembra quasi avvicinare la musica seriale. Il Vivace finale, non disdegna in alcun modo, esuberanza armonica maggiore, ostacolata da dissonanze, che sembrano volerla turbare ad ogni modo, creando semplicemente geometrie che collidono con fragore. Geniale.
Il Tardo Romanticismo del Tempo Primo della Sonata #8, ancora una volta, inganna il tessuto armonico, costruendone uno “a sè”, identificativo, tra la partitura della mano destra e sinistra, a viaggiare su sentieri che raramente s'incontrano davvero e che regala un senso di ascesi misterica (sembra di essere spettatori di una partitura per organo), assai elevata, anche quando il virtuosismo avvicina un dolore più irruento e meno contrito. Una “bellezza stravagante” (cit. Ivano Fossati), che sembra nascere dall'incontro con Debussy, ma l'Andante, tra le dita di Ashkenazy, diventa Allegro, con irruenza ritmica e tonale, tale da avvicinare Bela Bartok. Si assiste ad un recital di una potenza che lascia senza fiato, conturbante moto dello spirito, dove scrittura ed espressione diventano cosa sola. Capolavoro ASSOLUTO. Il finale del tempo, prepara, nella sua mestizia, al breve secondo tempo (nonostante la chiusura diventi un "precipitato" parossistico), anche questo un Andante (creando dunque una frattura decisa con la classica tripartizione di alternanza di tempi). Qui la scrittura si fa oggettivamente tradizionalista e non lascia trasparire alcuna traccia dello spirito del compositore, cosa che non accade, evidentemente, nel virtuoso finale, un Vivace con continue modulazioni tonali, ritmicamente assai sostenuto.
Notevoli invenzioni di scrittura e interessantissima prova esecutiva, che solo nelle armonizzazioni più ombrose, si allontana dalla tradizione russo-contemporanea, per diventare "precursore", cosa che nell'analisi delle tre Sonate in questione, è una costante.
AMORE PURO, che ferite e grazia mi ha donato, come unica promessa eterna, ma che nessuna redenzione, mi ha reso.
Vladimir Ashkenazy plays Prokofiev Piano Sonata no. 6 - live 1962 Vladimir Ashkenazy - Prokofiev - Sonata per piano N.7 in B-Flat Major, Op.83 Sergei Prokofiev - Piano Sonata No. 8
Sergej Sergeevič Prokof'ev
Three War Sonatas (Vladimir Ashkenazy)
Genere: Classica
Brani:
- 1) Piano Sonata No.6, Op.82
- 2) Piano Sonata No.7 in B flat, Op.83
- 3) Piano Sonata No.8 in B flat, Op.84