Krzysztof Penderecki
Sacred Choral Works
Il peso dell'aria - l'estetica del SUBLIME
Si apre con lo "Stabat Mater" (1962), che illude con un'invocazione medievale iniziale, poi ripetuta come leitmotiv, su diversi registri, per precipitare in una progressiva somma di voci a creare sospensione spaziale più che atonale, per sistema misto.
Una musica fatta di geometrie che si muovono parallelamente, o appena laterali, a creare un senso di tensione altamente drammatico, che esplode nei pienissimi.
Uno spostamento di ingenti "masse di suono" quello di Penderecki.
Geometrie che non rinnegano lo spoken word, persino il grottesco vocale espressionista e drammatizzato (minuto terzo). Il tutto fino alla chiusura trionfale, in maggiore, con un "Gloria". Capolavoro assoluto ed esecuzione magistrale.
Il "Miserere" (1965), dalla "Passione Secondo Luca", si apre con un senso di dramma ancora più sottile. La scrittura si rivela capace di abbracciare antico ed estremamente moderno. Come sempre, le dinamiche, invece di ergersi, precipitano in fortissimo pari a cluster e qui vengono amplificate dall'impiego di un coro di voci bianche. Superba la chiusura, completamente sospesa nel nulla.
Impressionante il bordone, ad uso leitmotiv, creato dai bassi sul "In Pulverem Mortis" (1965), composizione capace di armonizzazioni davvero al limite dell'immaginabile. In questo caso, oltre a ribattuti pari a spoken words/avvertimenti (memento mori), compaiono glissando. Timor di Dio, è quanto si evince. Nella sezione conclusiva, un fortissimo con frasi tenute a lungo, è richiesto su ogni registro, prima di dissolversi in pulviscolo. Immenso.
"Sicut locutus est" (1973/1974), è sospensione pura, fatta da microcellule madrigalistiche che si rincorrono di pochi secondi l'una dall'altra.
Di tutt'altra fattura, l' "Agnus Dei" (1981), che trasuda senso di misericordia, con armonizzazioni, tutt'altro che di facile scrittura ma mai tendenti, se non nell'esploso centrale, al dramma dichiarato, quanto ad un senso di maggiore quiescenza. Grandissimo l'impegno richiesto ai tenori, ma tutti i registri sono messi a dura prova. La percezione che se ne ha, è quella di una partitura d'organo trasposta per voce umana (frequente l'impiego di semitoni e cromatismi, usati su registri diversi).
La dicotomia, tra canto gregoriano e scrittura moderna, torna in "Song to Cherubim" (1986), da un testo della liturgia ortodossa. Il brano è introdotto da voci femminili, prima dell'ingresso delle voci maschili e di quelle dei bassi, impiegate con un fare percussivo. Intorno al minuto secondo, la melodia si apre pienamente alla tradizione della scrittura Est-Europea, acquisendo dramma tonale di una bellezza celestiale. Ad abbracciare la sua tradizione, Penderecki, sembra trovare ancora più potenza espressiva. Come sempre, i bassi, hanno il ruolo di richiamare un senso di inquietudine massima, quasi ad uso percussivo (l'Alleluia conclusivo). Davvero Sconcertante.
In "Veni Creator" (1987), la sospensione armonica è anticipata da voci maschili e poi femminili, che si muovono quasi in maniera madrigalista, ma serpentinea e a tratti singhiozzante, ritmica, prima di aprirsi in esplosione, catarsi. E' brano più vicino alla tradizione contemporanea tout court, fra quelli citati. In particolare, il moto seriale circolare, che si viene a creare prima del minuto terzo, crea una sorta di sciame, che si inchioda su cluster di grande potenza. Le occasionali aperture in maggiore, lasciano sorpresi, in quanto capaci di interrompere il flusso atonale, per avvicinarsi ad un tardo romanticismo, condotto dalle voci femminili, che come nella tradizione antica, aspirano al cielo, mentre quelle maschili, alla terra tendono.
"Benedicamus Domine" (1992), anche a livello tonale, sembra la naturale prosecuzione del brano precedente. La scrittura allontana il contemporaneo per avvicinare la tradizione Medievale, salvo qualche armonizzazione. Si tratta difatti di un Salmo musicato in epoca antica e riarrangiato in modo magistrale. E' l'unico brano, fin qui che allontana ogni tipo di tentazione atonale. E' importante ricordare come la scrittura classica degli anni '90, tendesse ormai o al "recupero" di idiomi, oppure, nella migliore delle ipotesi, ad un totale annientamento di barriere tra modi e generi (senza risultare necessariamente post-moderna, col suo fare "esibito"). Ecco, Penderecki, pare aver trovato necessità di pace, in una scrittura estatica, certo, di maniera, ma non priva di personalità.
Stessa cosa dicasi per il conclusivo "Benedictus" (1992), per quanto, l'andamento ritmico, renda meno spirito ascensionale, ma più contemporaneità.
IMPRESCINDIBILI le composizioni che coprono il periodo tra gli anni '60 e gli '80, dunque.
Nel loro essere scarno, senza rete alcuna, foriere di “mistero dello spirito”, quanto di quello legato alla “creazione” (intesa anche come dono, che da Dio volge all'artista, a sua volta, “creatore”), queste tracce, magistralmente interpretate e condotte (in questo dischetto, c'è quasi l'integrale di Penderecki, per coro a cappella, poi completata da un'edizione successiva), appare più esplicito che non nella ricchezza della deflagrazione di "Trenodia per le Vittime di Hiroshima" e per la grandiosa Sinfonia n° 7, "Le Sette Porte di Gerusalemme".
Un lascito importante, che ha segnato il mio percorso, umano e di "artigiano della musica" in maniera irreversibile.
Krzysztof Penderecki
Sacred Choral Works
Genere: Classica
Brani:
- 1) Stabat Mater
- 2) Sicut Locutus Est From Magnificat
- 3) Agnus Dei
- 4) Song Of The Cherubim
- 5) Veni Creator
- 6) Benedicamus Domino
- 7) Benedictus
Informazioni tratte dal disco
Tapiola Chamber Choir diretto da Juha Kuivanen