Francesca Romana
Lo specchio
Specchio delle mie brame, chi è la più brava del reame?
Avevo definito “Vermiglio”, il disco d’esordio di Francesca Romana, singolare e pieno di fascino e mi verrebbe voglia di riutilizzare la stessa definizione per questo suo secondo disco, perché ancora una volta ha saputo sorprendere chi come me già la conosce, riuscendo ad essere allo stesso tempo diversa ma egualmente se non maggiormente seducente.
Questa nuova fatica “Lo specchio” può ben dirsi un’ideale continuazione del viaggio nell’universo femminile iniziato con “Vermiglio” e ruota intorno all’immagine dello specchio, strumento femminile per eccellenza, perché simbolo di vanità ma anche di continua ricerca del proprio io.
Ci sono alcune analogie con il precedente lavoro, basta scorrere la track list in cui balza all’occhio “Canzone blu” che richiama nel titolo il brano “Canzone verde” presente nel precedente disco, qui però l’atmosfera è totalmente diversa, se là c’era un senso di speranza che contrastava nettamente con il precedente brano sanguigno e vibrante, qui prevalgono toni più crepuscolari sospesi tra l’incanto e il desiderio di sognare “Le luci erano tutte accese, / La musica dolcissima, struggente e / La gente a migliaia sorrideva e cantava, / La luna aveva un’aria strana / Come una donna isterica, che cerca i suoi amanti ovunque”, un sogno difficile da realizzare ma impossibile da abbandonare “Anche se qualcuno ha spento tutte le luci, zittito le voci / Calato il sipario, nascosto la luna”, il sogno è di un futuro nella musica, nonostante ci sia chi si ostina a dire “non devi sognare, perché poi chi sogna si va ad ammalare”.
Ci sono però anche aspetti che differenziano i due lavori in maniera netta, se là ad esempio si cominciava con un brano piuttosto soffuso, qui l’incipit è più diretto, immediato, “Il tuo nome e il veleno” è una bellissima canzone d’amore in bilico tra malinconico romanticismo “Guardo lontano oltre il vetro che mi divide dal vento / Sporco di luna, sulla finestra / Conchiglia sedotta dal mare in tempesta / Sto diventando un riflesso d’argento / Mentre respiro il momento / Mentre respiro per te soltanto” e l’amara realtà “Perché il tuo nome è un veleno / Stringe la gola e fa male / Il tuo nome è un veleno / Che prima o poi fa morire / Come il liquore malato i cui ti piace annegare”. E’ il racconto dell’ultimo disperato amore, probabilmente consumato in una stanza d’albergo, per un uomo perso dentro i fumi dell’alcool. Anche qui è presente il tema dello specchio “Spalle allo specchio e il profilo che il chiaroscuro concede / Ma tu cerchi il fianco che l’occhio non vede”. Il brano è stato tra i vincitori del Festival Musicultura del 2010 e non a caso.
Procediamo oltre, ecco subito un altro brano molto interessante, “Giovanna la pazza” che descrive tutto il dolore, la sofferenza provata dalla giovane data in sposa all’arciduca Filippo d’Asburgo, ripetutamente tradita sin da subito sotto gli occhi di tutti, ma tremendamente innamorata “E innamorata non vedi gli specchi per le allodole” e poi fatta passare per pazza, morirà dopo essere rimasta rinchiusa per ben quarantasei anni. Musicalmente il pezzo è ridente e stride con il testo intriso di sofferenza accentuando così il senso di estraneazione “No, Madame, non è che puoi riprenderti le lacrime / son libere libellule che volano dagli occhi neri ai tuoi pensieri”. Come tante donne della storia, la protagonista è vittima assoluta.
Molto ritmata, virante al rock, “Io e Biancaneve” ci mette sotto gli occhi, la trasfigurazione di Biancaneve, protagonista di una delle più famose fiabe dei fratelli Grimm e vittima del morso letale di una bella mela rossa, in Eva, un'altra figura femminile conosciuta da tutti e dal cui morso di mela deriveranno le sorti dell’intero genere umano. Non sempre però bene e male sono così facilmente distinguibili “Poi dalle vene nasce il serpente, sento il veleno controcorrente / Striscia, si muove, si svela, / cercando la strega, ridendo mi piega / il mio volto è uno specchio, l’inganno, la mela / prima ero Bianca, ora son Eva!”.
“L’estranea”, canzone pervasa da distorsioni, ma anche da abbandoni a melodiche aperture, è forse la canzone più emblematica di questo disco, troviamo l’immagine reale e l’altra riflessa, proiezione di sé ma non per questo pienamente coincidente e accettata dalla nostra coscienza “Voglio vedere me stessa tutte le volte che mi guardo riflessa / dalla parte opposta come se ci fosse un’altra risposta / Ogni posa è una mossa studiata e anche stavolta mi sento sbagliata ancora troppo storta e ritrovo l’estranea”, è l’eterno tema della ricerca dell’io. Davvero bella e poetica l’immagine finale “mi cade di mano la chiave, c’è una pozzanghera mi lascio guardare / e mentre la chiave non trova la mano, l’immagine parla mi dice partiamo”.
Pura poesia è invece la successiva “Il poeta”, una canzone con una musicalità struggente e dedicata a quei poeti che attraverso i loro versi sanno ingannare tutti, proprio come uno specchio deformante “Poeta sei un poeta nel silenzio / Di un mondo troppo stanco e cambi il senso / Poesie che come gli uomini tradiscono la verità” ma, in fondo, la canzone usa lo stesso strumento poetico e quando la voce di Francesca si solleva in volo, salendo di tonalità e cantando “Dimmelo ancora, anche stasera / Che morirai per quel punto di blu / Che ha il cielo alle sette di sera”, penso che quel punto di blu non trovi corrispondenza con nessuno dei freddi codici REL della scala colorimetrica e, anzi, forse non esiste proprio però, io vorrei tanto poterne condividere la visione.
Sebbene si dipani a tratti, quasi come una filastrocca “Storia clandestina” è un’altra canzone capace di ferire il cuore dell’ascoltatore con quei versi che, a poco a poco, si concatenano e sono in grado di affondare come una lama dentro la coscienza di tanti, perché ci raccontano di un’altra vittima, una donna costretta a vivere una situazione amorosa clandestina, vittima della propria passione e di una vita trascorsa nell’inutile attesa di cambiamenti fortemente desiderati, che però non arriveranno mai. Ritengo meravigliosa questa immagine “Tanto già lo so che quando mi risveglierò, / sentirò le spine sul cuscino e il freddo dal camino / avvolgerà le sedie e il tavolo e anche me che aspetto te/ che aspetto …”.
“Il lago” è un brano giocato sulle corde della nostalgia, protagonista è proprio il lago visto come “specchio nero, grigio inferno” capace di custodire per sempre le belle immagini del proprio passato, un passato che, ovviamente, non potrà più tornare. Penso che Davide Van De Sfroos condividerebbe le immagini di questa canzone ed io, che ho vissuto le estati della mia infanzia proprio sulla sponda occidentale del lago di Como, non posso che riconoscermi.
Sebbene veda la collaborazione di Pacifico, la successiva “Contro il mio sguardo” sembra essere un po’ un episodio minore o per lo meno interlocutorio dopo brani dalla forte personalità come quelli ascoltati fin qua. E’ una ballata molto fluida ma secondo me non brilla certo per originalità.
Si torna invece sugli scudi con la successiva “Mad Maria”, dedicata ad uno dei personaggi femminili più famosi e controversi della storia, ossia quella Maria Maddalena che rischiò di essere lapidata come prostituta e che Gesù amò e salvò. E’ il brano più rock dell’intero disco ed è un canto sempre in bilico tra sacro e profano “Aspetta Maria Maddalena, pentirsi non ridà l’onore / aspetta, offrirgli la tua consumata verginità non basterà / E un fuoco in seno ti agita, tra le ginocchia stringi la sua umanità”. Ancora una volta è descritta una figura di donna che ama e ama intensamente, ma che non è però libera di farlo apertamente. Uno dei vertici del disco.
Si chiude introspettivamente il disco, perché “Il demone” è un brano molto affascinante, in cui la figura femminile cerca di guardare dentro se stessa e da questo sguardo emergono mostri “E lascia uscire i mostri verdi che sbattono sui muri / Legati al filo di un prestigiatore” ed un intero universo poetico “Quanta poesia intravedo dentro quel buco nero / mentre mi dici che sei vecchio, ma non per me / preso dall’infinito, perso nell’infinito / quanta poesia intravedo dentro!”, ma l’amore non sempre è sempre razionale “Forse non quello che vuoi da me / Ma forse un demone mi preme verso te”. Alla stesura di parte del testo ha collaborato Cristiano De Andrè.
Una pausa e poi c’è ancora spazio per la dolcissima musica di un pianoforte che ci addentra, quasi fossimo Alice nel paese delle meraviglie, in un mondo apparentemente fiabesco ma non per questo meno angosciante “A chi fosse appartenuta non si sa, comunque la casa si chiamava così, numero cinquanta, nella casa numero cinquanta c’erano finestre che si rifiutavano di essere finestre, le porte erano assediate dalle urla, un’oscura presenza straziava le pareti e rivolgeva al cielo imprecazioni, la principessa si ostinava nel desiderio di vivere umanamente ma si addormentava senza più sognare …” perché si sa che, a volte, guardare attraverso lo specchio il proprio passato, ciò che è stato e, soprattutto, ciò che non è stato e mai più potrà essere, può far molto male.
Francesca Romana, giovane cantautrice, dotata di una voce molto duttile e particolare, con “Lo specchio” si conferma sicuramente come una delle più interessanti cantautrici italiane di questi anni, artista capace di scrivere canzoni che, più dei tanti riconoscimenti ricevuti, le rendono merito, in cui riesce a descrivere l’universo femminile senza la paura di mettersi a nudo, rivendicando però sempre la libertà di decidere autonomamente il proprio destino di donna.
Francesca Romana
Lo specchio
Brani:
- 1) Il tuo nome e il veleno
- 2) Giovanna la pazza
- 3) Canzone blu
- 4) Io e Biancaneve
- 5) L’estranea
- 6) Il poeta
- 7) Storia clandestina
- 8) Il lago
- 9) Contro il mio sguardo
- 10) Mad Maria
- 11) Il demone
Informazioni tratte dal disco
Francesca Romana Perrotta: voce, pianoforte ne “Il demone” e “Il maestro”, chitarra acustica-flanger ne “Il tuo nome e il veleno”
Massimo Marches: chitarre acustiche ed elettriche, chitarra dobro, mandolino
Cristian Bonato: tastiere, programmazioni e pianoforte ne “Il lago”
Francesco Cardelli: basso e chitarra elettrica ne “Il demone”
Tomaso Graziani: batteria
Orchestra Sinfonica Ungherese: archi ne “L’estranea” e “Il demone”
Arrangiato da: F. Romana Perrotta, C. Bonato, M. Marches
Registrato da C. Bonato al Teatro “Corte” di Coriano (RN) e al “Numeri Recordings” di Cavallino (RN)
Mix e Masteting di C. Bonato
Una produzione di Max Monti e Mauro Pilato
Foto di Margherita Cenni scattate a Villa Adanti, Lucrezia (PU)
Progetto grafico di Riccardo Cardelli