Luigi Mariano
Asincrono
Un invito a meditare senza paura di annoiarsi.
Anche se la copertina del disco d’esordio ci mostra un giovanotto con la giacca a celare parzialmente una t-shirt con il viso di Diabolik, l’impressione che se ne riceve è quella del bravo ragazzo che non riesce a essere assolutamente sincronizzato con lo scorrere rapido del tempo della quotidianità, non a caso ha con sé un orologio da parete che ha una doppia scala delle ore e doppie lancette, però mai sovrapposte e sincrone.
Questa situazione di disagio con il mondo circostante è d’altronde confermata dal brano introduttivo “Il giorno no”, in cui con grande ironia, descrive le disavventure di un personaggio ritratto in una delle sue tante classiche giornate no, cantando così “Oggi sei stato un po’ Fantozzi e un po’ Paperino / ma domani, domani … / sarai Gastone”. A far da seconda voce c’è il bravo Piji.
Il suo modo di creare canzone, s’intuisce subito, si rifà piuttosto apertamente al teatro-canzone creato da Giorgio Gaber e le canzoni sono un po’ una carrellata di personaggi narrati si con leggerezza, ma anche con molta acutezza. Non c’è mai banalità, c’è semmai un apparente disimpegno, che maschera in realtà anche certi atti di denuncia piuttosto diretti, come nel caso di “Solo su un’isola deserta” in cui emerge tutto il suo senso d’isolamento e disorientamento rispetto a una società in cui non si ritrova “stasera mi rileggerò le parole che scrivevo / i progetti in cui credevo / qualche cosa dentro smuoverò. / Ma cosa devo raccontare a mia madre, per Natale / se ogni onesto resta al palo / se ogni ladro prende il volo?”.
Su questo filone di denuncia d’ingiustizie e soprusi, è collocabile anche il brano “RAI libera” una scanzonata canzone su quella che forse resterà per sempre un’utopia, cioè una televisione di stato libera da qualunque ingerenza politica. Se il tono è divertito, non lo è certo il linguaggio adottato ”Ma basta perdinci! Siam proprio malconci! / Dobbiamo reagire, è assurdo subire! / Andiamo all’assalto a muso duro: / mettiamoli al muro”.
Più riflessiva e malinconica ma ancora improntata al sociale è “Cos’avrebbe detto Giorgio”, dove Giorgio è ovviamente Gaber e in cui Luigi si chiede appunto cosa avrebbe detto Gaber di alcune situazioni sociali e politiche di questi giorni e il tutto senza tanti giri di parole “Cosa avrebbe detto Giorgio della mafia che cammina con le scarpe del ministro sopra il ponte di Messina / Mussolini è in Campidoglio che fa il saluto romano / Presidente del Consiglio don Bernardo Provenzano”.
Non c’è, però solo denuncia e sociale in questo disco di Luigi, c’è spazio anche per il sorriso, seppure a denti stretti, di “Canzone di rottura”, in cui compaiono anche le voci di Nicco Verrienti e Giulia Led e in cui canta “Meno tasse a tutti, promettiamo noi / posti di lavoro, se ci voterai / saremo vicini, a voi cittadini, ed agli operai / fidatevi un po’ di noi, che siamo qua per voi”. Si tratta ancora di politica? C’è poco da ridere? Beh, che farci, il ragazzo ha un po’ il vizio di guardarsi sempre intorno e allora come restare indifferenti a tanta ipocrisia?
Bisogna arrivare a “Il singhiozzo”, canzone molto teatrale e gaberiana perché finalmente ci si lasci andare a più di un sorriso, il soggetto è una tragicomica disavventura da palco, il dover cantare una canzone d’amore avendo all’improvviso un attacco insistente di singhiozzo.
Sarebbe forse tutta da ridere anche l’elettrica “Il negazionista”, un lungo elenco di episodi storici e teoremi presentati come fosse frutto della fantasia e perciò negato dal protagonista, se in realtà non fossero atrocità e ingiustizie che ancora gridano vendetta. Ovvio che dall’ascolto non possono che derivare semmai sentimenti come rabbia e impotenza.
Al versante più intimista dell’autore, appartengono invece le canzoni “Questo tempo che ho”, “Non ti chiamerò” e “Intimità”.
La prima si muove lenta e in essa i secondi di un’esistenza sembrano quasi distillati a uno a uno “Luce che attraversa il pulviscolo / piano lo rivolta, sfiorandolo: / sono i tormenti atavici che tornano a un tratto così”.
“Non ti chiamerò” è forse la canzone d’amore più classica delle tre e proprio per questo meno interessante, molto più intensa è invece “Intimità” che chiude bene il disco e in cui è invece descritto con schiettezza ma anche estrema naturalezza un intenso rapporto amoroso “Con la testa mi avvicino / e il mio naso s’inabissa / e m’inebrio e bevo vino / odor di femmina e melassa”.
Anche “Il solito giro di blues”, un classico blues, si muove su terreni molto personali, è una canzone introversa in cui tutto sembra in preda alla noia “Il solito giro col solito mood / col solito riff e il solito groove”, fino al finale che rimanda a Rino Gaetano “Ma il cielo è sempre più bluesss”.
Da quest’ascolto random o meglio tematico, sono state volutamente escluse due canzoni, la title-track “Asincrono” e “Edoardo”.
“Asincrono” è un brano che oltre a dare il titolo all’intero lavoro, sintetizza alla perfezione il perché di questo disco che è stato pensato sin dal lontano 1996 e che per svariate vicende ha visto la luce solo nel 2010, un parto difficile dunque, ma alla fine penso che l’attesa sia stata ampiamente ripagata.
Il disco, infatti, seppure con qualche pecca veniale qua e là, come a volte il derivare troppo dal padre artistico Gaber o qualche piccola ingenuità è di buona fattura e unisce in sé più di un pregio: la godibilità dell’ascolto, lo stimolo continuo alla riflessione e, aspetto non da poco, una pregevole dose di coraggio da parte dell’autore capace, a tratti, di denunce per niente velate, dette senza peli sulla lingua.
Resta, infine, la canzone “Edoardo” che è forse la più bella in assoluto e gli è valsa proprio in questi mesi estivi il Premio Bindi “Miglior testo” 2011.
E’ stata relegata a fine recensione perché non vorrei mai che il lettore pensasse che il disco sia stato preso in considerazione solo a valle del premio ricevuto proprio grazie ad essa.
“Edoardo” è e resta una gran bella canzone, dedicata a Edoardo Agnelli, il cui corpo fu trovato senza vita il 15 novembre 2000 in fondo a un viadotto della Torino-Savona. E’ impressionate leggere la lettera scritta da Edoardo alla sorella Margherita più di venti anni prima di quel fatale giorno, uno scritto in cui traspare tutto il senso di “disagio simile alla paura” nel pensarsi in futuro alla guida dell’impero Fiat, al posto del padre Gianni, incapace di esserne epigono. E’ ancor più toccante poi sentire la voce di Luigi cantare “Volo / inabissandomi / tra muri d’aria e cielo / e nel silenzio troverò complicità / io la volevo da te, papà”.
Qualche lacrima fa già capolino tra occhio e guancia, è giunta l’ora di chiudere, il pianto di un uomo è fatto “asincrono” rispetto a un mondo di duri.
Luigi Mariano
Asincrono
Genre: Cantautorale
Tracks:
- 1) Il giorno no
- 2) Il negazionista
- 3) Questo tempo che ho
- 4) Solo su un’isola deserta
- 5) Il singhiozzo
- 6) RAI libera!
- 7) Edoardo
- 8) Asincrono
- 9) Non ti chiamerò
- 10) Il solito giro di blues
- 11) Cos’avrebbe detto Giorgio?
- 12) Canzone di rottura
- 13) Intimità
Renseignements pris à partir du disque
Luigi Mariano: voce, chitarra acustica, armonica, cori
Alberto Lombardi: tutte le chitarre (elettriche, acustiche e classiche), tastiera e programmazioni, basso elettrico (1, 3, 9), rhodes (1), percussioni, cori.
Marco Rovinelli: batteria
Pier Paolo Ranieri: basso elettrico (2, 4, 5, 8, 10)
Gianni Donnigio Donvito: basso elettrico (7, 11, 12)
Michele Amadori: pianoforte (7, 9, 10, 11), rhodes (3, 4)
Carmine Fanigliulo: viola (3, 9, 11)
Piji: recitato (1), seconda voce (1), cori
Francesco Spaggiari: seconda voce (2), cori
Marilena Catapano: seconda voce (3, 13), cori (3, 13)
Gabriele Ortenzi “Areamag”: seconda voce (4), cori
Chiara Morucci: seconda voce (8), cori
Daniele Sarno: seconda voce (10)
Nicco Verrienti: seconda voce (12)
Giulia Led: voce personaggio femminile (12)
Testi e musiche: Luigi Mariano
Produzione artistica: Alberto Lombardi
Arrangiamenti: Alberto Lombardi (con la partecipazione di Luigi Mariano)
Registrato, mixato e masterizzato da Alberto Lombardi presso il “New Belair Studio” di Albano Laziale (RM) tra gennaio e aprile 2010
Foto: Francesco Maria Zinno (a teatro), Barbara Perillo (in esterna) e Gianni Donvito (in studio)
Grafica: AbacDigitalStudio