Ruben
Il lavoro più duro
Un prodotto artigianale, forse per questo ancor più sincero
La copertina del nuovo disco di Ruben non cede certo alla moda attuale fatta di foto patinate, perfette in ogni dettaglio, frutto di abusati ritocchi con Photoshop, ma ritrae invece lo stesso Ruben in un bianconero dai grigi molto morbidi, il volto che non cela il passare degli anni, una barba non fatta, quasi a voler sottolineare, anche visivamente, quel versetto della Genesi che è riportato all’interno della copertina del disco:
“Mangerai il pane con il sudore del tuo volto” (Genesi 19)
Già, perché “Il lavoro più duro”, quinto disco in studio del cantautore veronese Ruben, è un concept album sul tema del lavoro, scritto in un lungo arco temporale, un progetto che parte da lontano e che ora approda finalmente al pubblico. E’ stato presentato alla stampa, non a caso, proprio il 1° maggio scorso, Festa dei Lavoratori.
Trattare del tema del lavoro e trattarne in un disco a tema, non sarebbero probabilmente sufficienti a farne un unicum, se non entrassero in gioco alcune particolarità, prima fra tutte il fatto di aver voluto registrare il tutto in analogico, cercando così un suono il più naturale possibile e utilizzando solo strumenti acustici (una novità assoluta per Ruben).
Altra particolarità è che i mestieri trattati nel disco non sono visti attraverso gli occhi dell’autore, ma attraverso le parole stesse dei protagonisti che narrano in prima persona la propria esistenza.
Alla fine dell’ascolto il titolo del disco “Il lavoro più duro”, che nasce come un’affermazione sembra trasformarsi inevitabilmente nella domanda “Qual è il lavoro più duro?”.
Il disco si apre con “Killer (un assassino a pagamento)” storia di un uomo cosciente del proprio ruolo “I guanti in pelle pelle vera / E con la pelle io vivo” ma anche del proprio punto debole “Ho qualcosa dentro al petto / Un congegno ormai disfatto / Qualche volta fa un dispetto e salta il battito / Un giorno o l’altro poi, di brutto / si fermerà per quanto basta / ed allora addio Carletto / finirò come gli altri in quella fossa”.
Arriva “Prega per me (un prete)”, in soli 1'52” di mestizia e nella preghiera finale “Prega per me questa notte / Io solo in questo tormento / La luce ora spengo, mi coglie un momento / di nero sconforto per me” sembra emergere tutto quel vuoto di fede che caratterizza il film “Luci d’inverno”, capolavoro di Bergman. Il violino di Michele Gazich è, come sempre, superbo.
E’ a suon di rock, sorretto dai fiati e con tanto di coretti, quasi a voler stridere con il vero dramma della società odierna, ossia l’assenza di lavoro, che in “Disoccupato” emerge tutta la disillusione di chi un lavoro non lo riesce proprio a ottenere “Lo vuoi, il lavoro ce l’hai / Sono stanco di sentire le cazzate oramai”.
“Anche questo è andato (un impresario di pompe funebri)” è un bellissimo pezzo country-folk, in cui non manca certo l’ironia “Ma chi mi dà il lavoro / non manca mai la sua ora / La committente, in fondo, / è persona seria!”.
“A.R. (pubbliche relazioni) ” resta sotto il minuto di durata e in questo brevissimo minutaggio direi che riesce a ripetere all’ossessione il nulla, proprio come di nulla è fatta quest’attività così tanto diffusa oggi. Concisa quanto geniale.
Quasi epica, sin dal titolo, “Vinceremo! (un avvocato)” è un’altra delle canzoni più riuscite, sarà forse perché in parte autobiografica, giacché Ruben nella vita è un avvocato? Anche qui direi che l’autoironia non manchi “E poi faremo un gran casino / fra tante carte bravo è chi qualcosa ci capisce! / E quello che era bianco sarà nero in un momento” così come quando alla fine il protagonista ammette “Sono il re del Foro / Sono il re del Diritto / Un uomo dritto / Chiami pure, son qua!”.
Lenta e compassata a dispetto del titolo, in “Ridere (un comico)” è rappresentato forse quello che è a tutti gli effetti, il lavoro più duro in questo frangente “Lo so ben io / che il mestiere più duro è il mio / che una bella risata è difficile da fare scoppiare / ma è come una ciliegia da mangiare / e una tira l’altra”.
Sono dei fiati brillanti e tirati, a introdurci in “Ti racconterò (un insegnate di lettere)”, in cui coppie di personaggi storici come ad esempio Dante Alighieri / Beatrice Portinari e Paride / Elena si mescolano a Dodi Al-Fayed / Diana Spencer e Yoko Ono / John Lennon, sarà forse per questo che mi viene in mente l’istituto sperimentale “Marylin Monroe” del film “Bianca” di Nanni Moretti. Anche qui, in fondo, c’è il senso d’impotenza di un insegnate davanti alla volontà di chiudersi in se stessi degli alunni, ma soprattutto c’è l’inefficacia di una trasmissione del sapere vuota e meccanica “Ma non posso fare a meno di dirti che / diecimila anni fa mi hanno detto che / sono cose che hanno una loro funzione / Per cui ti sciroppi pure questa lezione”.
“L’ozio (intermezzo)” non aggiunge molto ma è proprio ciò cui porta l’ozio.
Si apre e si chiude con un vociare di popolo, la bella e toccante “Primo maggio (un sindacalista)”, una ballata che si dipana lentamente, in cui gli archi dominano fino al sopraggiungere di quel senso di disillusione che si fa largo nel finale “Se qualcosa ti resta / E’ un senso di noia / Un senso di irrealtà”.
E’ il momento di uno scatenato rock’n’roll, stile anni ’50, si tratta di “Bucato (una casalinga)”, il contesto sembra allegro e spensierato ma in realtà cela un dramma di quelli sempre più frequenti nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani locali “Ho mollato il lavoro / Ho rifiutato un impiego / Mi alzo presto alla mattina, vado a letto alle tre / Ma tu mi dici sempre che non hai bisogno di me / Ho comprato una sega / Ti ho tagliato la testa / mentre guardavi sul divano la partita / L’ho messa nel bucato e domani la ritrovo pulita”.
“Mammolo (un camionista)” è invece un rock on the road, che ci parla di un’esistenza spesso solitaria “Ho il poster di Selen che mi tiene compagnia” ma fatta anche di fatiche estenuanti fino a una simbiosi definitiva con il proprio mezzo di trasporto “Non mi fermo mai un momento (chi si frema è perduto) / La strada è un sentimento, ma a volte è un imbuto / ma quando è finita ma finita veramente / Sarò tranquillo io / All’altro mondo ci arrivo sul mio camion io”.
Dopo un pezzo rock, ci voleva proprio un brano lento e compassato come “Contratto a termine (un precario)”, in cui lavoro e vita si fondono nella precarietà della vita stessa, direi che il violino di Gazich rende quasi solenne questo breve ma intenso pezzo. Bello.
Non è ancora finita, chiude il tutto “Lucciola (una prostituta)”, una dolcissima ballata voce e chitarra, eseguita in solitaria da Ruben, sul mestiere più vecchio del mondo. Difficile forse dire qualcosa di nuovo sul tema ma quel verso “Tutti quanti, nessuno escluso / Neanche te” sembra non assolvere nessuno o per lo meno porta alla mente quel verso evangelico pieno di pietas “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Giovanni 8, 7).
Come definire quindi questo disco?
La nuova fatica di Ruben ha tutto il sapore genuino dei prodotti artigianali, vi sono raccolte 14 tracce che ci parlano di 13 lavori diversi, sono canzoni scritte e cantate con cuore e sincerità, non vi sono effetti speciali e non ce n’è neppure bisogno perché i suoi personaggi ci parlano in prima persona confidandoci la propria natura, se ne esce emozionati e toccati.
Torniamo però alla domanda iniziale da cui eravamo partiti, qual è il lavoro più duro?
Io azzarderei quello del cantautore, un lavoro che è diventato più difficile che praticare uno sport estremo. C’è ancora qualcuno, oggi, che riesca a vivere dignitosamente della propria creatività artistica senza dover fare il produttore, il promoter, il distributore di se stesso più una serie di tante altre attività che nulla hanno a che vedere con la musica ma che servono a tirare alla fine del mese?
Buon ascolto e un plauso a Ruben che si è autoprodotto questo disco fuori da ogni logica di mercato e che spesso, ho notato, si spende per sostenere la musica dei colleghi, riporto in proposito un commento lasciatomi dall’amico Pippo Pollina sulla mia bacheca di Facebook, ritengo sia di stimolo per tutti:
“Sono certo che ci sono tanti bravi rappresentanti della buona canzone d'autore in Italia.Artisti che vuoi o non vuoi sono rimasti in patria. Tuttavia ci sono pochi utenti e i motivi sono tanti. Ma c'è anche poca solidarietà fra gli artisti stessi. Lo noto a ogni visita ( peraltro frequente ) che faccio in Italia. Io ho provato spesso ad aprire discussioni e cercare corrispondenze ma non ho trovato riscontri significativi. Gli interessi di bottega superano quelli generali e non ci si rende conto che, invece, è proprio il contesto che deve subire una profonda trasformazione. Solo grazie a quel cambiamento anche "la propria cosa" potrà trovare spazio all'interno di quel quadro generale”.
Ruben
Il lavoro più duro
Genre: Cantautorale
Tracks:
- 1) Killer (un assassino a pagamento)
- 2) Prega per me (un prete)
- 3) Disoccupato
- 4) Anche questo è andato (un impresario di pompe funebri)
- 5) p.r. (pubbliche relazioni)
- 6) Vinceremo! (un avvocato)
- 7) Ridere (un comico)
- 8) Ti racconterò (un insegnante di lettere)
- 9) L’ozio (intermezzo)
- 10) Primo maggio (un sindacalista)
- 11) Bucato (una casalinga)
- 12) Mammolo (un camionista)
- 13) Contratto a termine (un precario)
- 14) Lucciola (una puttana)
Renseignements pris à partir du disque
Ruben: voce, chitarra acustica
Bianca Caraman: violino (1, 7, 9, 10)
Marco Pennacchio: violoncello (1, 7, 10)
Carmelo Leotta: piano (1, 7, 10), contrabbasso (2, 3, 4, 6, 7, 8, 11, 13)
Michele Gazich: violino (2, 13)
Carlo Poddighe: armonium (2, 13), chitarra acustica (3, 8, 11, 12), mandolino (4), fisarmonica (4), seconda voce (4, 8, 10, 11, 12), batteria (4, 6, 8, 11), percussioni (4, 8), chitarra classica (6), piano (8)
Stefano Naclerio: sax tenore (3, 8)
Carlo Barbieri: sax alto (3, 8)
Paolo Malacarne: tromba (3, 8)
Andrea Poddighe: coro (3)
Isaia Mori: coro (3)
Cek Franceschetti: dobro (6)
Testi e musiche di Ruben (P. Coppolella)
Ideato e arrangiato da Ruben
Archi e piano su “Killer”, “Ridere” e “Primo maggio” arrangiati da Carmelo Leotta
Fiati su “Disoccupato” e “Ti racconterò” arrangiati da Carmelo Leotta
Riprese e missaggi effettuati da Andrea e Carlo Poddighe al Poddighe Studio di Brescia
Mastering realizzato da Luca Tacconi presso Sotto il Mare Recording Studios, Verona
Grafica a cura di Silvia Mirandola – silvia@studiomirandola.eu
Disegni di Fabrizio Mirandola
Foto di Giuliano Guarnieri
Prodotto da Ruben