Paolo Saporiti: Intervista del 18/04/2008

Pubblicato il: 18/04/2008


Come ti ho gia scritto non ho ancora avuto il piacere di ascoltare Just it Happen dunque le domande che ti farò saranno riferite in generale a te come persona/artista e a The Restless Fall.
Innanzitutto perché hai scelto di cantare in Inglese?

Ho sempre ritenuto l’inglese l’unica lingua possibile, la Madrelingua del genere, quello che amo ascoltare ed abitare almeno, padrona indiscussa delle mie emozioni e della mia pancia. Non vedo altre lingue in grado di reggere il confronto nella canzone, e non le ho mai viste, e mai le vedrò probabilmente. È una questione estetica e d’orecchio, di cuore, tutta mia, ma in fin dei conti condivisibile, credo. No?
Emozioni Pure. Suoni. Grida, pianti. Amore.
Fin da piccolo ho ascoltato i grandi della musica americana ed inglese e non ho mai avuto né cercato riferimenti in Italia, anche perché ho sempre sottostimato i prodotti discografici italiani (salvo De Andrè), sulla scia degli ascolti di mio padre, del passato.
Ed ho usato la parola prodotto non a caso, non so se mi verrebbe mai in mente di usare questo termine, trattando dei lavori d’oltreoceano o d’oltremanica che sia.. ma forse questa è soltanto un po’ di idolatria adolescenziale.
C’è un qualche cosa comunque, in Italia, che mi costringe a pensare che qui si tratti veramente di prodotti e non di creazioni (non a caso con la casa discografica abbiamo deciso di tuffarci a capofitto in imprese grafiche di alto livello, per fare la differenza sempre e comunque. Il cd è arte e comprarlo originale vuol dire anche avere un quadro in più in casa. Un’opera fatta e finita. Chiaro che se si lavora, già in fase di produzione, come se il packaging fosse soltanto un di più o una spesa inutile.. ). I suoni, le parole, la ricerca, tutto mi costringe a ricavarne una sensazione di piccolo, di raffazzonato e di “giocattolino”, come se tutto uscisse sempre da casa mia, e mai da uno studio di professionisti giustamente retribuiti, nel senso buono di tutti i termini che ho usato. Qui, in Italia, anche nelle produzioni maggiori, è come se poi si dovesse chiedere scusa a qualcuno per quel che si è fatto, e questo è quel che si ottiene sempre alla fine dei conti, la rinuncia ad osare. Ogni volta devo giustificarmi per come vedo il mondo ma Arte vuol dire questo, avere un’opinione chiara, manifesta, politica direi, se non fosse stata tanto svilita, della vita, dell’umanità, delle persone, dell’uomo, di noi stessi. Perché questo è quello che faccio spesso, mi condanno da solo. Ogni volta che qualcuno prova a fare qualcosa di più qui, viene tacciato di copiare gli americani, di somigliare a qualcuno, con nomi e riferimenti sempre più che precisi, che vanno a mettere in difficoltà l’opera, non per aiutare a comprendere, per stimolare alla ricerca. Come a dire, “Somigli a questo, non vale la pena ascoltarti!” piuttosto che “Somiglia a questo.. Bene, ascoltate anche questi allora, cari lettori..” con bramosia, per stimolare alla crescita. Invece no. Io vorrei contribuire a dare vita ad una nuova visione. E cioè, che fare musica, è fare musica con tutto il corpo e tutto l’impegno possibile, un lavoro per eccellenza. In una delle ultime recensioni a “Just let it happen…” qualcuno dice che sfido gli Americani sul loro campo, salvo la pelle e me ne torno a casa.. insomma, così dovrebbe essere, sfidare sullo stesso campo, non provare ogni volta a scopiazzare le loro realizzazioni portando alcune piccole idee nel nostro piccolo mondo perché non si può osare a valicare le Alpi a piedi nudi e restare lì ad abitare con loro, aprendo uno studio e facendosi rispettare.
Non credi? Così è inevitabile arrivare sempre dopo!

Immagino che dar vita ad un album composto interamente da voce e chitarra acustica rappresenti un qualcosa di assolutamente intimo,un rapporto a due tra te e la musica.Da cosa è nata la voglia di cimentarsi in un lavoro da solista?

Guarda, la mia concezione di musica è questa da sempre, da solista, acustica. Il gruppo, se ti riferisci in qualche modo a quello, (i Don Quibòl) è nato sulla scia dell’entusiasmo di un rapporto d’amicizia, umano, bellissimo, non per volontà. Io sono un cantautore e ho sempre sognato il mio nome tra i grandi della parete ideale di un negozio di dischi con la chitarra in pugno, non tra i gruppi. Ora ho capito che per iniziare a donare la tua musica è già un buon inizio fare sì che qualcuno la abiti in partenza e ti aiuti a regalarla. Insieme.
Non ho mai puntato ad altro se non alla figura del cantautorato, sempre e comunque. Bruce Cockburn, John Martyn, David Crosby, Stephen Stills, James Taylor, Joni Mitchell, Jackson Brown, insomma, il top della musica mondiale per me. Van Morrison, Tim Buckley, Nick Drake.
La mia musica nasce dal rapporto tra me, la chitarra e sempre di più dalla presenza, se ne ho la fortuna, di qualcuno presente nella mia stanza. Se no mi riferisco a quel qualcuno che non c’è o che non c’è più. Manovra che però, non sempre funziona.
Agli inizi, una delle ragioni per cui ho lasciato casa dei miei era che dovevo chiudere la porta della stanza per poter suonare e non disturbare, quando se ascolti la mia musica, ti vien da dire.. “a quei volumi? Disturbare? Mmmnnhhh..” eppure è stato così e ora lo è con i vicini. È incredibile questo mondo. Non è mai finita.
Io amo il suono della chitarra e le emozioni che mi suscitano aiutano a far uscire le emozioni che ho dentro di me, anche un pianoforte, un violoncello, una tromba ci riescono e pian piano…

Penso che la tua musica sia molto ‘fotografica’ , riporta facilmente alla mente immagini poetiche e dunque la mia domanda è: Ti piace la fotografia? Cosa ne pensi come forma espressiva?

Mio padre mi chiamava “Poeta” da piccolo. Durante i concerti mi ritrovo spesso a dire “Questa nasce da quest’immagine…” o “Immaginate di essere questo bambino, seduto in camera sua che..” e parto.. Ed in effetti è proprio così, come dici tu, immagini, mentali, fotografiche.. Tutto nasce da immagini, la mia mente lavora così. Credo che sia un difetto di forma della mia testa che diventa un pregio in alcune circostanze. Io vivo tutto un po’ spezzettato, non ricordo un film, soltanto immagini, scampoli, brandelli, che poi trasformo con le mia immaginazione, tanto da non sapere più chi ha detto o fatto qualcosa e soprattutto cosa ma.. E pensare che non uso droghe.. La mia testa lavora così naturalmente. Ho imparato dopo a mettere insieme i processi, per parlare con gli altri. Ecco, credo che il percorso che fa o è costretto a fare l’uomo, in media, maturando, è esattamente l’opposto di quello che la creatività chiederebbe, ovvero rimanere delle “Menti giovani”, aperte, quasi indietro nello sviluppo, come se mancassero dei nessi, delle capacità che poi si vanno a sopperire con proprie invenzioni, creazioni (le canzoni, i quadri, o quant’altro). Fare arte vuol dire farlo coscientemente. Ci si mette il mondo a posto come si vuole. Lo si ordina e dis-ordina a proprio piacimento. Va da se che se si crede di poter avere delle regole rigide, fisse, uguali per tutti e sempre le stesse…
Io non conosco la musica per esempio. Sono un autodidatta, nella vita in genere.
La fotografia, l’ho amata da piccolo, mi piaceva scattare e scegliere quali pezzettini del mondo mostrare. Faccio lo stesso con la musica e lascio quella parte specifica a mio fratello o a chi per esso.

Come nascono i tuoi pezzi?Tendi a lavorare molto su ognuno di questi, modellandoli per dargli la forma più congeniale o viene tutto molto spontaneo e diretto?

Tendenzialmente improvviso e metto a posto successivamente. A volte tutto accade nel giro di cinque minuti. A volte una settimana. A volte un anno. A volte tre. Quel giro ti rimane in mente e poi finalmente capisci perché lo ha fatto. Escono le parole e la canzone è finita.
Amo coinvolgere gli altri in questo processo ora come ora. Con Francesca funziona così(violoncello), anche se ogni tanto è difficile farmi capire. Penso che se qualcuno dovesse assistere a questo spettacolo penserebbe ad una scimmia (io) che prova a comunicare con un essere umano (lei), che ha un linguaggio chiaro, un vocabolario certo (la teoria musicale), che il primo non conosce e non sa usare, e che prova a passare attraverso simboli, segni, nuove convenzioni, nuove monete, emozioni, rabbia, i pensieri e le sue intuizioni.
Nel giro di poco tempo però, con me, ci si riesce, ce la si fa. Basta accettarmi per quello che sono e non rompermi troppo le palle, criticandomi, o volendomi cambiare. Ogni tanto vorrei essere capito ed accettato, come tutti, ecco tutto. Fortunatamente, come uomo e musicista, capita sempre di più.

Una curiosità personale. Sono rimasto molto colpito dalla canzone ‘Indeed’ e dalla particolare registrazione della voce: come ti è venuta in mente?

Da un errore. Vedi, la cosa più bella è questa, quella di cui parlavo prima in qualche modo..
Se ci limitiamo alle regole, al “come si fa” è finita, la creatività si spegne.
Se invece, incontriamo le persone giuste (e anche questo è un talento creativo da non sottovalutare, che va coltivato!..), persone che scelgono percorsi simili ai nostri, che si lasciano aperte il più possibile, le cose accadono da sole, basta essere lì, pronti ad accoglierle. Non a caso il titolo del nuovo EP è “Just let it happen..”. è una fiolosofia di vita che non ha nulla a che fare però col lascia che succeda sbattendotene le palle, anzi.. lascia che succeda, dopo esserti fatto un culo così, per essere libero e sincero, pronto a lasciar succedere. Creativi.
Abbiamo (Io e Christian Alati) disposto i microfoni in modo dilazionato nello spazio di casa mia e quindi, ogni tanto, puoi sentire, prima il microfono davanti alla mia bocca, poi quello nell’altra stanza, in salone, poi, dopo magari, quello a 5 metri da me, e poi ancora quello davanti alla cassa della chitarra.. il tutto sfruttando al meglio errori e virtù della mia voce o della mia interpretazione.
Amo le possibilità, le doppie interpretazioni, i doppi significati e il contributo che gli altri possono dare nell’intimità del proprio ascolto.

Ultima domanda: In un intervista hai riposto che per te la musica è “È la mia cura, il mio mondo, il mio respiro. È il mio modo di stare ed esistere e ovunque vada mi porto cd, cuffie e chitarre e ricostruisco il mio nido. Amo guidare perché c’è lo stereo e i dischi da ascoltare che mi isolano dall’esterno”. Quali sono le cose nel mondo d’oggi che più non condividi e che ti portano ad una sorta di isolamento da una parte e creazione di un Tuo nido dall’altra?

Ora come ora, e mi da molto fastidio che uno dei miei cavalli di battaglia sia stato adottato ed usato ad hoc da qualcun altro, è la mancanza di meritocrazia, di rispetto e di attenzione. Di ascolto. Trovo che la mediocrità sia diventata un simbolo di questa società. Ogni tanto mi piacerebbe poter parlare con un uomo del passato e poter chiedere se anche lì le cose vanno tanto male ma..
Ho paura che la risposta sarebbe un “Sì, è uguale anche qui.”
Quindi non ci torno nel passato e cerco di fare del mio meglio qui, che in molti momenti ha voluto dire, cado in depressione, e che spesso coincide con i difetti della giusta ma tanto vituperata Gavetta. Cioè, il non poter ancora dire quel che si pensa nei termini e nei modi in cui uno vorrebbe tanto.
La musica mi protegge e io proteggo lei.
Oggi ho il grosso vantaggio che, lavorandoci sopra per anni, sono diventato meno ossessivo, non ho paura di perdermi o perderla in maniera definitiva. Ovvero, conosco i miei limiti e confini, anche senza la chitarra davanti o le cuffie in testa.

Grazie ancora per tua disponibilità

Grazie a te

Paolo Saporiti
Paolo Saporiti
Paolo Saporiti