Federico Sirianni e il suo disco della maturità, “Il Santo”
A quattro anni di distanza dal suo “Nella prossima vita” (Incipit Records - 2012), il cantautore genovese ma oramai torinese d’adozione Federico Sirianni, pubblica un nuovo lavoro discografico dal titolo “Il Santo”, dal cui ascolto emerge subito come sia più che mai il disco della maturità. Un disco che nasce da lontano, da quella canzone “Ascoltami Signore” che gli ha anche appena fruttato la menzione speciale, all’interno del Premio “Musica contro le mafie” da parte del Club Tenco. Con lui s’è parlato di “Il Santo” ma anche di molto altro …
La prima cosa a colpirmi di un disco, spesso, è l'immagine in copertina. In passato tu hai sempre realizzato copertine con fotografie che ti ritraevano. Questa volta no, "Il Santo" si presenta agli occhi dei possibili fruitori attraverso un disegno, molto originale, in bianco e nero. Come mai questa scelta così particolare? Perché proprio questo disegno e soprattutto perché un titolo così, "Il Santo", che sembra essere quasi in antitesi con il mondo attuale, quasi volutamente fuori luogo e fuori dal tempo, per un disco, invece, che è intriso di quotidianità?
C'è talmente tanto di me in questo disco che mettere una mia foto in copertina mi sarebbe parso fin eccessivo. Il mio amico Riccardo Cecchetti, illustratore straordinario, collaboratore di Frigidaire, quando ha ascoltato la canzone "Il Santo" mi ha fatto vedere quel disegno, un Buster Keaton in equilibrio precario sull'albero di un'imbarcazione. Ho subito pensato che fosse l'immagine giusta per la copertina del disco. Il Santo è il protagonista del disco, una figura che mi è vicina da qualche tempo, che mi ha fatto poco gentilmente capire che comincio ad avere più passato che futuro, che mi ha aiutato a modificare la scala delle priorità, che mi ha portato a incontrare parti di me che non conoscevo o non volevo conoscere, che mi ha fatto scendere in abissi profondi lasciandomi un po' nel buio da solo, per poi riportarmi a galla a respirare aria nuova.
"Il Santo", però, non è solo il titolo di questo tuo nuovo disco, ma lo è anche di uno dei più bei brani, non tanto del disco ma in assoluto, che abbia mai avuto modo di ascoltare. Rileggendone il testo, anche scomponendolo in tante piccole frasi, ognuna avrebbe un valore intrinseco di grandissimo spessore, ne cito solo una "Benedetta la complicità che unisce le persone". Com'è nato questo brano, chi è davvero il Santo oggi?
Intanto grazie per le belle parole. Non vorrei apparire blasfemo ma “Il Santo” è veramente una di quelle canzoni che arrivano dall'alto, che non sai come sia accaduto, ma, a un certo punto, te la trovi scritta sulla pagina del computer che fino a pochi minuti prima era immacolata. È una canzone che ognuno dovrebbe viversi o interpretare come desidera, posso solo dire che il primo pensiero che ho avuto mettendoci mano è che bisognerebbe cercare di trovare quel poco di bellezza anche dove bellezza apparentemente non c'è. E per trovarla bisognerebbe sporcarci le mani, frugando nell’immondizia che trabocca da queste gigantesche discariche che ci circondano. E si trova, se la cerchi, si trova. E quando la trovi, custodiscila come qualcosa di veramente prezioso.
Voglio essere un po' blasfemo anch'io e, volutamente, accosto quel capolavoro che è la canzone "Il Santo" che apre alla grande il disco, con il divertissement che, invece, chiude allegramente il disco, la canzone "Mia madre sta su Facebook", che canti in compagnia del grande trasformista Arturo Brachetti. Lo spessore di questo pezzo è indubbiamente diverso, ma non del tutto scontato, non è che questo vivere “social” sia poi una delle cause per cui non si è più capaci di percepire quella bellezza di cui parlavi?
Non saprei. Ad esempio io non tornerei a quando non c'erano i social. Per gente che fa il mio mestiere Zuckerberg & C. sono piovuti come una manna dal cielo. La possibilità di raggiungere ovunque e in tempo reale i tuoi appassionati o i tuoi potenziali ascoltatori è un privilegio straordinario. Negli ultimi dieci anni il mio pubblico si è decuplicato e, credo, dipenda anche da questo fattore. Poi i social sono un oceano solcato da tante imbarcazioni diverse e abitato da infinite varietà di pesci, alcuni più rassicuranti altri più pericolosi. Tra questi trovi anche chi non vorresti mai incontrare sul tuo cammino, ma alla fine basta evitarli. “Mia madre sta su Facebook” è un gioco che alleggerisce i contenuti di tutto il disco, prova a farti sorridere e suggerisce una visione un poco critica, ma soprattutto ironica della comunicazione contemporanea.
La mia voleva essere, ovviamente, una provocazione ... Vorrei piuttosto spostare il discorso su un altro dei punti alti del disco, per non usare ancora una volta la parola capolavoro e che comunque non sarebbe fuori luogo, mi riferisco alla preghiera laico-religiosa "Ascoltami o Signore". Non voglio aggiungere nulla di mio, ma lasciare la parola a te, perché possa dirci com'è nata questa preghiera rivolta a tutti coloro che soffrono e perché abbia pensato proprio alla splendida voce di Giua per questo brano.
Credo sia stato il primo nato di questo disco. Ho cercato di affrontare una serie di situazioni e condizioni esistenziali particolarmente dure, difficili, contraddittorie, non utilizzando lo stilema della canzone di protesta ma quello della preghiera, o forse di un'invettiva in forma di preghiera. Mi ha ispirato il libro di Jodorowski “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” e, quando ho scritto la strofa sul femminicidio, ho subito pensato che la voce di Giua, una cara amica, un'artista straordinaria, avrebbe saputo darle quel passo in più di dolore e disincanto, in un episodio di cronaca così orribilmente banale, comune e tragico.
Credo ci sia riuscita perfettamente, ma quella di Giua non è l'unica presenza femminile nel disco, troviamo, infatti, anche la voce e soprattutto l'arpa di Cecilia in "L'iguana sulla scala" e quella, quasi nera, di Giulietta Passera in "L'ultimo blues dell'umanità". Due contributi preziosi per due brani musicalmente e strutturalmente molto diversi fra loro, il primo più onirico-personale, il secondo più biblico-escatologico, in cui hai cantato anche versi di “Last blues to be read some day” di Cesare Pavese. Si vola sempre molto alti, non credi?
Le voci femminili hanno decisamente impreziosito le canzoni di cui parli. Sono tra l'altro tutte molto differenti, così come sono differenti le storie e le intenzioni di questi brani. Per “L'iguana sulle scale” ho subito pensato a Cecilia, arpista e interprete straordinaria; le ho chiesto di interpretarla con il suo strumento e la sua voce in maniera totalmente libera, tant'è vero che nella prima versione il ritornello era in minore, mentre lei lo ha aperto portandolo in maggiore e funziona benissimo. A Giulietta, che è un altro potentissimo talento vocale, ho chiesto un'intenzione quasi voodoo, alla Dr.John per intenderci. Quanto a Pavese, era da tanto tempo che volevo riprendere il suo blues e metterlo in musica. Spero di non aver fatto troppi danni.
Direi proprio di no, anzi, credo che Pavese avrebbe gradito questa tua interpretazione. Restando a queste atmosfere polverose d'oltre oceano, al blues, c'è un'altra canzone cinematograficamente poderosa, mi riferisco a "Il campo dei miracoli" che sarebbe potuta essere stata scritta da Tom Waits. Pensa un po' che il tuo modo di cantare qui mi ricorda Davide Van De Sfroos e la sua "I ann selvadegh del Francu" ("Franks Wild Years" di Tom Waits). E' stata ispirata da qualche storia letta o è pura visionarietà?
Né l'una né l'altra. È un racconto profondamente personale che faccio fatica a spiegare meglio di quanto possano dire le parole del testo. È la cronaca di una mattina di febbraio, il giorno dopo San Valentino, livida, triste e molto consapevole, in cui ho chiuso un lungo e importante capitolo della mia esistenza senza sapere cosa avrei trovato fuori. C'è sicuramente una narrazione un po' visionaria ma non mi sono inventato nulla.
A volte la realtà supera la fantasia ma credo sia la sensibilità di chi scrive a rendere poetica la vita reale e, soprattutto, a spingere a viverla fino in fondo, nonostante tutto ... quanto conta la maturità nel riuscire a scrivere una canzone così?
Maturità, vissuto, consapevolezza… Dieci anni fa scrivevo e raccontavo diversamente, com'è giusto che fosse. Più si invecchia più è necessario essere credibili in quello che si fa, soprattutto in un mestiere come il mio. Spero tra dieci anni, se ci sarò ancora e se ancora continuerò a scrivere, di farlo in modo ulteriormente diverso da come scrivo adesso. Se no sarebbe un problema.
Beh, giusta riflessione, d'altronde come avresti potuto scrivere, magari anche solo dieci anni fa, una canzone come "L'amore in fondo", in cui ti metti decisamente a nudo con versi come "E io come metto a posto tutto questo / Ho cent’anni sulle spalle se solo lo capissi / Ma tu corri, vivi, cresci e trova amore / Che l’amore mio va a fondo come il Cristo degli abissi", credo di sapere a chi siano rivolti però vorrei fossi tu a chiarire tutto ...
Ora non è necessario fare nomi e cognomi, però anche le storie d'amore a venti o trent'anni le vivi e le racconti in un modo diverso da quando ti rendi conto, come ti dicevo prima, di avere più passato che futuro. E' una canzone d'amore dolorosa e consapevole, ho cercato di essere sincero e credibile raccontando un sentimento forte, un amore importante e il senso di mutilazione che una determinata assenza può infliggere.
Riletta in questa chiave, allora, "Con te" potrebbe esserne il seguito, il naturale sbocco del dolore cantato in "L'amore in fondo"? O almeno mi sembra di percepire così quei versi pieni di attese "E fare a pezzi la tristezza con te / Viaggiare senza destinazione con te / Essere un uomo migliore con te / Essere molto, molto meglio di me" ... o dico male? Sai che, ripensandoci, forse hai fatto proprio bene a scegliere un disegno come copertina, altrimenti avresti dovuto mostrarti nudo. Credo, infatti, che mai come in queste canzoni tu abbia messo a nudo tutto te stesso ...
Non sarebbe stata, in effetti, una buona idea di marketing, rendo di più vestito… Raccontare le canzoni mi riesce difficile, anche perché mi sembra di togliere qualcosa a chi le ascolta; mi piace che ognuno le interpreti a seconda della sua sensibilità, del suo momento emotivo, della sua storia quello che io, in un mio particolare momento emotivo, ho tirato fuori. Per cui, se per te la canzone "Con te" rappresenta il seguito de "L'amore in fondo" facciamo che sia così, anche se magari, chi lo sa, "Con te" potrebbe essere stato l'inizio e "L'amore in fondo" la fine.
Hai ragione, in fondo questo è anche il bello della musica. Allora, se sei d’accordo, anche per non dire proprio tutto tutto di questo lavoro, lasciamo da parte un attimo il disco. In parallelo alla tournée legata alla promozione di questo nuovo disco stai ancora realizzando date del NoGenovaTour, che ti ha visto per mesi condividere il palco con Max Manfredi? Com'è nata questa idea e come l'hai vissuta? E' fuori luogo pensare per il futuro magari un disco scritto a quattro mani, magari un disco di canzoni natalizie, visto che il Natale, come la neve sono ormai dei punti fermi nella tua produzione discografica ...
Il NoGenovaTour va avanti, in un anno e mezzo abbiamo raggiunto quasi i cento concerti. L'idea è nata davanti a un ottimo pollo ai peperoni magistralmente cucinato da Max che, oltre a essere straordinario cantautore è anche cuoco sopraffino. La formula molto semplice, mettere insieme su palco i due cantautori viventi e attualmente più rappresentativi di Genova che condividono palco, storie e canzoni. Ci divertiamo e il pubblico si diverte, anche perché quell’aura di impegno e serietà che potrebbe suggerire un progetto di questo tipo, si sgretola fin dalla terza canzone e il concerto diventa un happening d'improvvisazione in cui ti può capitare di ascoltare una cover di Cohen o un'esegesi dei Pooh. Per quel che riguarda il disco, ci hai azzeccato, non sappiamo quando accadrà, ma ci piacerebbe far uscire un album di canzoni natalizie.
Lo so che i cantautori sono sempre un po' gelosi delle proprie canzoni, un po' come il contadino del suo vino, ma se un cantante maschile o femminile venisse da te e ti dicesse: “adoro il tuo modo di scrivere canzoni vorrei me ne donassi una”, quale concederesti e chi vorresti fosse questo tuo ipotetico estimatore? Lo so che vorresti strozzarmi ... ma non volevo chiederti in maniera diretta chi ammiri in maniera smisurata ...
Mi piacerebbe scrivere canzoni per alcune voci femminili, magari non mainstream, ma che amo molto: Giua innanzitutto, ma ti faccio i nomi di due giovani artiste romane che, secondo me hanno potenzialità notevoli, Gabriella Martinelli, che ha vinto il Bindi due anni fa ed è una bomba vera sul filo del teatro canzone e Mesa (Federica Messa) che ha capacità narrative molto originali e suggestive. Ci metto anche Cecilia e Carlot-ta, altri due talenti giovani e cristallini, che hanno un progetto insieme molto interessante e cantano quasi tutto in inglese o francese, mi piacerebbe scrivere qualcosa per loro in italiano.
Vedo che gli uomini li hai scartati a priori ... immagino sia una questione prettamente musicale ma allora ti frego in altra maniera. Ti chiamano in un premio dedicato alla canzone d'autore e ti chiedono di premiare un cantautore per quanto scritto in quest’ultimo anno solare, chi premieresti?
Il mio giovane amico Carlo Valente. Tra i cantautori contemporanei è uno dei pochi che, secondo me, scrive in maniera interessante. E comunque sto scrivendo un testo per il nuovo disco del mio amico/fratello Folco Orselli che stimo molto e cui voglio molto bene.
Sono giorni di Festival di Sanremo, non ti chiedo chi faresti vincere perché magari non hai visto nulla, ma se ti chiamassero in gara, ci andresti?
Non ho visto nulla, non per snobismo ma perché ho suonato tutte le sere. E, si, ci andrei certamente, ma non credo mi vogliano.
Ipotizzando che ti vogliano, come ti auto presenteresti al pubblico sanremese?
Beh pagano lautamente ottimi presentatori nazionalpopolari, lasciamoli fare il loro mestiere!
Va beh, ti sei avvalso della facoltà di non rispondere … allora aggiro l'ostacolo con un'ultima domanda. Un giovane per strada ti vede camminare con la chitarra in spalla e con, in mano, una scatola trasparente con alcune copie del tuo ultimo disco, incuriosito, ti si avvicina e ti chiede se sei un musicista e che tipo di disco stai portando in giro, cosa gli risponderesti?
Gli direi: guarda, faccio un mestiere strano, un mestiere bellissimo che fa sì che ogni giorno sia diverso da quello precedente; un mestiere che ti porta sul roof e improvvisamente ti sprofonda in cantina, un mestiere che ti mette a confronto con la sensazione del successo, il dolore sordo della solitudine, la necessità di una continua curiosità e ricerca faustiana ma senza quel Mefistofele che almeno qualcosa ti aveva promesso in cambio di una qualunque anima. Ecco, gli direi, sono questa cosa qua, come diceva Tom Waits, una leggenda che vive solo nella mia mente. Il disco per questa volta te lo regalo. Dio ti benedica.