Eugenio Bennato: Intervista del 24/02/2016

Pubblicato il: 24/02/2016


Il 29 gennaio 2016, prodotta da Taranta Power / iCompany e distribuita da iWORLD, è uscita “Canzoni di Contrabbando, la prima antologia di Eugenio Bennato, un artista che si è sempre riferito a un linguaggio stilistico e a un circuito alternativo rispetto ai modelli della musica leggera. Il disco raccoglie 13 brani che vanno da "Brigante se more" fino all'ultima composizione del musicista napoletano che s’intitola "Mon père et ma mère", unico inedito della raccolta.

Direi, se sei d’accordo, di partire dalla copertina del disco, semplicemente nera, con solo il titolo “Canzoni di Contrabbando” e l’autore “Eugenio Bennato”. Nulla che, dal punto di vista di puro marketing, possa fare da specchietto per le allodole, da forte richiamo. Perché hai voluto dare questo titolo alla tua prima antologia?

Perché quest’antologia è un percorso sui vari steps della mia carriera. Nonostante raccolga brani scritti in anni molto lontani fra loro, c’è un elemento comune a queste canzoni, si sono mosse vivendo in una dimensione completamente diversa da quella ufficiale. Faccio un esempio, se “Brigante se more”, che è del 1980, è diventato un inno cantato da milioni di ragazzi, tutto questo è avvenuto al di fuori dell’ambito discografico, dei canali convenzionali.

Tramite una sorta di passaparola?

Si, è stato come un passaparola, un percorso parallelo, alternativo, di contrabbando e, questo, vale anche per altre canzoni come ad esempio “Che mediterraneo sia” o “Sponda sud”. Tutti questi brani, che comunque hanno avuto nel tempo un riscontro forte a livello di visualizzazioni su web e di popolarità, si sono mossi su percorsi alternativi, proprio come quelli dei contrabbandieri.

Quest’antologia, nasce solo dal desiderio di fare il punto della situazione sulla tua lunga carriera artistica o per accogliere l’inedito “Mon père et ma mère”?

L’inedito, fa parte di una serie di canzoni che sto scrivendo e che usciranno fra un po’, nel frattempo, però è nata l’esigenza di quest’antologia, sia per dare unità a un percorso musicale che è disperso in vari album distribuiti negli anni e magari di difficile reperibilità, sia per dare una risposta, soprattutto all’estero, a chi mi chiedeva e ancora mi chiede una raccolta dei miei principali successi. Ecco allora che l’editore mi ha proposto di remixare alcuni brani del passato o addirittura risuonarli e ricantarli, dando loro una veste più unificata, anche se poi, a dire il vero, appartengono già a uno stile che è sempre mio e inconfondibile.
L’inedito “Mon père et ma mère”, invece, l’ho scritto qualche mese fa e si riferisce all’attualità, anzi a un’attualità sempre più pressante, il tema è quello dell’immigrazione dagli altri sud del mondo.

Com’è nata questa canzone?

E’ nata, come sempre, da un incontro che si fa per strada, on the road. Io ho avuto il privilegio di una carriera fatta di tante tournée internazionali e, in una di queste ultime, in Africa, alla fine del concerto si è avvicinato un ragazzo che mi ha detto due versi molto intriganti “Mon père et ma mère / se sont connus dans la galère“. Questa rima dice “mio padre e mia madre si sono conosciuti in una galera”, che poi non è vero o meglio, in francese, “dans la galère” significa più in generale in una situazione estrema e non proprio precisamente in galera, però l’immagine l’ho trovata molto forte, anche perché la storia di quel ragazzo è quella di un ragazzo come tanti, che dal Camerun è partito ed ha attraversato avventurosamente il Sahara, per arrivare in vista del Mediterraneo, il limite più invalicabile per loro.

E’ quindi da questo fortuito incontro, che è nato questo bellissimo brano?

Da questo e dal clima musicale che io vivo in prima persona quando andiamo in giro per il mondo a fare concerti, perché sono sempre concerti che non hanno un rapporto di divismo tra chi suona e chi ascolta, c’è semmai uno scambio e il riconoscimento, soprattutto nell’africa nera, delle affinità dei ritmi del nostro sud con i loro ritmi.

Che è un po’ il discorso che hai portato avanti anche in “Che Mediterraneo sia”, cui si aggiunge una mescolanza di lingue e dialetti.

Si, lì c’è la koinè mediterranea, che porta le nostre filastrocche popolari a confronto con le grandi sonorità arabe, un filone che in qualche modo ho inaugurato io in Italia e che ora, vedo, è seguito da molti. Il rap arabo, ad esempio, che allora era abbastanza sconosciuto, è stato come veicolato da “Che il Mediterraneo sia”.

Possiamo perciò dire che la musica è uno strumento per avvicinare culture diverse? Un po’ come il sedersi a tavola e condividere le proprie usanze?

Si, io penso che la musica sia il veicolo più forte di dialogo, l’ho proprio vissuto in prima persona. Nella mia formazione, soprattutto negli ultimi anni, c’è stata sempre una grande apertura. Ad esempio, anche quando feci Sanremo nel 2008, cantando “Grande Sud”, portai sul palco dell’Ariston una voce araba come quella del marocchino Mohammed Ezzaime El Alaoui, così come anche quelle di Zaina Chabane dal Mozambico e di Esha Mbotizafi dal Madagascar, delle testimonianze di altre latitudini dentro un ritmo di Taranta. Credo che la musica possa davvero veicolare il dialogo tra popoli, anche quando questo è impedito da frontiere o da conflitti.

Hai prima accennato a un discorso di voci. In quest’antologia troviamo quella, inconfondibile, di Petra Montecorvino, che duetta con te in “Brigante se more”.

Beh, la sua è senza dubbio la voce più nera, più black del nostro sud, in lei c’è un’intensità espressiva che appartiene a Napoli, ma soprattutto a quelle situazioni, a volte davvero spiazzanti di Napoli, che si ritrovano nella sua cultura sommersa.

Sempre restando alle voci femminili che compaiono nel disco, c’è anche quella di tua figlia Eugenia, presente in “Mon père et ma mère”.

Si, mia figlia Eugenia, che tra l’altro vive in Marocco, frequentando una scuola in cui vive in prima persona questa multiculturalità, lei europea la sua compagna di banco araba. Eugenia, quando ha sentito questo brano, ha voluto subito partecipare e l’ha fatto in maniera molto spontanea, fanciullesca, non da prima della classe ma da ex scugnizza napoletana che si trova a vivere in un paese di cultura diversa.

Ascoltando i vari brani che compongono quest’antologia, la parola che torna più frequentemente è sicuramente sud. Soprattutto in due canzoni, “Il sorriso di Michela” e “Ninco Nanco”, hai voluto affrontare di petto un tema a te caro, la questione meridionale.

La mia scelta è sempre stata quella della scoperta. Inizialmente una scoperta di tipo musicale con la Nuova Compagnia di Canto Popolare prima, con Musicanova poi, lo scoprire l’esistenza di un linguaggio popolare che apparteneva al sud d’Italia, presente anche al nord devo dire, ma certamente più appariscente in regioni come la Puglia, nei paesi vesuviani o in Salento. Questo linguaggio, ha poi preso vigore nel movimento Taranta Power, il cui successo è sotto gli occhi di tutti tranne che dei media televisivi che continuano a battere altre strade. Nelle feste, nei Festival, la World Music è sempre presente, com’è presente questo sud che è il nostro sud. Questa curiosità, che negli anni mi ha spinto a conoscere dei grandi maestri che mi erano totalmente sconosciuti, va di pari passo con la scoperta di una storia, quella della questione meridionale, che ha avuto un contraccolpo forte proprio nella musica, riscoprendo personaggi che hanno combattuto, che sono stati completamente annullati dalla storiografia. Michela de Cesare e Ninco Nanco (Giuseppe Nicola Summa), sono solo due esempi. Devo dire però, che già il fatto che nel paese di Michelina de Cesare, che è un paese dell’alto Casertano (Mignano Monte Lungo), il Sindaco stia ora preparando una statua per questa brigantessa, è segno di una coscienza nuova, diversa rispetto alla retorica risorgimentale. Il Risorgimento è stato uno scontro frontale tra culture in cui, come sempre, vince il più forte che poi, inevitabilmente, finisce per annullare il linguaggio del più debole. I Briganti erano personaggi che sono stati demonizzati per 150 anni, però avevano qualcosa da dire ed io cerco di raccontarlo in queste ballate sulla questione meridionale.

Questione meridionale che non si vuole però contrapporre a una questione “settentrionale”, com’è invece posta da qualche personaggio più o meno discutibile del nostro panorama politico o sbaglio?

Si, si, ci tengo a precisare che, ovviamente, noi siamo fieri di quell’abbattimento di frontiere che è stata l’unità d’Italia e sicuramente le smanie secessionistiche le lasciamo ad altri. E’ invece importante riscoprire, come diceva Pier Paolo Pasolini, l’Italia dei reietti, perché le differenze da regione a regione sono la vera forza della nostra cultura, della nostra poesia, della nostra storia, soprattutto in un’epoca di globalizzazione che tende a far perdere le proprie identità. Già Taranta Power, che è un movimento artistico, culturale, fatto soprattutto di giovani, è una risposta alla globalizzazione, all’appiattimento di tutto il pianeta su linguaggi imposti dalle multinazionali. Un suono di chitarra battente, una voce ruvida di una regione del sud o del nord, è la risposta a questa tendenza all’appiattimento su modelli unici, il cosiddetto pensiero unico.

Una delle canzoni del disco, che già mi piaceva molto nella versione originale apparsa su disco del 2005, è “Lucia e la luna”. Si tratta in realtà di un canto tradizionale?

“Lucia e la luna” è una canzone la cui melodia è, in effetti, un canto tradizionale di Monte Sant’Angelo che aveva però un testo banale, addirittura di contenuto religioso, che aveva anche un prosieguo che andava a distogliere dall’armonia semplice della strofa. Ho quindi scritto un nuovo testo e l’ho voluto dedicare a questa città, a un Gargano in cui ci sono ormai migliaia di giovani che si sono riappropriati delle loro tradizioni, il che rende questi personaggi, attraverso la World Music, internazionali. La canzone, racconta di Lucia che ritorna al suo paese e della luna che dice al mondo intero che questa ragazza ha tre ricchezze, la prima è il nome, così particolare e in qualche modo ormai anticonvenzionale, la seconda è il possedere la tecnica della Taranta e la terza, come in tutti i canti popolari, rimane un po’ ambigua, però io la identifico nella propria cultura, nella propria identità. Ecco perché ho dedicato il brano all’identità di questo Gargano, paragonabile a una ragazza che oggi esiste e, ne esistono a migliaia, che riscopre le sue tre ricchezze.

A inizio intervista, hai accennato al fatto che l’inedito “Mon père et ma mère“ farà parte di un tuo nuovo lavoro discografico, mi puoi già raccontare qualcosa?

Guarda, c’è sempre, almeno per me, un mistero nelle nuove cose che vado a scrivere, perché seguo sempre un qualcosa d’istintivo che ha poco di pianificabile, di razionale. Sono storie che riguardano la realtà di oggi, la mia realtà di oggi, gli incontri, il riscontro con un pubblico che è molto cosciente. Ho già pronti cinque o sei brani, diciamo che siamo a buon punto, però preferirei parlarne quando usciranno, concentrando piuttosto l’attenzione sul presente, il tour che seguirà l’uscita di quest’antologia, per questo invito chi ama la mia musica a tenere sott’occhio le date dei concerti.

 

Tour “Canzoni di contrabbando”

04.03.16 | NAPOLI - Città della Scienza

05.03.16 | LATINA - Monte San Biagio

12.03.16 | SEGRATE (MI) - Rassegna "Benvenuti al Sud"

27.04.16 | PERUGIA - Bad King

 

Eugenio Bennato
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