Eternit: Intervista del 16/10/2016

Pubblicato il: 16/10/2016


Questo è il vostro primo album. Ci raccontate qualcosa riguardo la sua realizzazione? Sia dal punto di vista artistico, che tecnico.

Sì è il nostro primo lavoro come Eternit, avevamo fatto già altre cose insieme, come Orchestra Dei Sassi, anche se la formazione era diversa. Questo però è stato un lavoro più complesso e potremmo dire maturo. Abbiamo lavorato molto alla composizione e ancora di più alla fase di arrangiamento e preproduzione. Questo perché avevamo tante idee e abbiamo speso un bel po’ di tempo a decidere quali scegliere. Speriamo siano le migliori! A livello artistico c’è da dire che componiamo insieme, soprattutto la parte melodica e strumentale… le canzoni sono nate per lo più in lunghe sessioni in sala prove, partendo da improvvisazioni o mood collettivi che venivano fuori mentre ci lasciavamo suonare. Poi ci siamo resi conto di cosa parlavano le canzoni, abbiamo discusso e costruito le tematiche, poi ultimato i testi. Raramente si è verificato il processo inverso; insomma si è partiti per lo più dalle emozioni, dai suoni e dalle note, poi ci si è messo quel tanto di intelletto a trovar le parole giuste per spiegare le istanze del cuore. Sul piano tecnico abbiamo utilizzato per lo più strumenti analogici - sicuramente chi ascolta noterà un certo gusto per la musica “old style” - all’interno dei quali poi trovano posto soluzioni più elettroniche. La matrice è rock, ma siamo contaminati e contaminanti, come il fibrocemento.

Di dove siete? Com'è la situazione dalle vostre parti riguardo al suonare dal vivo?

Siamo stabilizzati a Roma, anche se ci sono pure presenze più esotiche al nostro interno (Francesco ed Emanuele sono di Roma ma Stefano è abruzzese, Davide calabrese). Boh, a Roma tradizionalmente si combatte e si soffre per creare una scena di musica dal vivo. In realtà ci sono tanti musicisti, tanti locali che aprono e chiudono velocemente, c’è tanta attività ma poca cultura del live come intrattenimento. I romani non vanno molto a vedere i concerti, e se lo fanno si lasciano per lo più trasportare da qualche moda del momento. Per fortuna in questi ultimi tempi i musicisti si stanno dando da fare e l’ambiente sembra un po’ più vivo. Anche se la mentalità è ancora abbastanza chiusa per essere Roma una capitale europea della cultura.

Nel brano "Il buio" date la sensazione di essere pessimisti sul futuro, malgrado la vostra giovane età: "Io guardo al mondo con lo sgomento di chi sa già che niente mai cambierà". E' un momento chiuso all'interno della canzone, oppure è un sentimento generale?

Ma non è che noi siamo pessimisti sul futuro, è il futuro che è pessimista su di noi. Intanto non è vero che siamo così giovani, la nostra media anni è sui 30! Poi possiamo dire che ogni canzone di questo album incarna un personaggio, ed il personaggio de Il Buio è forse un po’ impaurito dal mondo esterno, ma c’è anche della fierezza nel suo ritirarsi in se stesso, nel suo mondo notturno. Non è un manifesto del nostro modo di stare al mondo, è piuttosto uno stato emotivo che ci ha attraversato, ma che conoscono bene quelli che hanno forti passioni, gli artisti se vogliamo, ma anche gli innamorati, o quelli che hanno in testa qualche idea difficile da realizzare. Quelli che sognano ad occhi aperti, quelli che sentono di dover custodire qualcosa di delicato, qualcosa che è sempre in bilico fra il bisogno di intimità e il bisogno di condivisione. Il protagonista de Il Buio ha trovato nella notte un mondo che lo accoglie, che lo coccola, un posto dove rifugiarsi ma che è anche un’anticamera di una trasformazione, una stanza segreta dove aver cura delle proprie piccole o grandi magie.

Nella successiva "Figli di" sembra di capire che di fronte ad un cambiamento impossibile, l'unica soluzione per non piombare nella depressione, sia lasciarsi dietro i problemi e cercare di divertirsi il più possibile.

Sì questo pezzo è ironico ed amaro sulla ricerca forsennata di spensieratezza che raffigura. Questo inno, “la festa non deve finire”, deve essere preso con le molle, perché, come molte cose in questo album, non si schiera pro o contro, ma si limita a disegnare una scena. In questo quadro abbiamo dei giovani non più tanto giovani che continuano a cazzeggiare, perché se lo possono permettere? (probabilmente no), perché non hanno alternative? perché non hanno idee? perché sono abituati così? boh cazzi loro. Il punto è che la dimensione della festa si impone come l’unica situazione veramente degna di essere vissuta, una condizione a cui tutto tende, che sembra dar senso alle cose, quando invece di per sé è effimera, priva di obiettivi. Il gioco è bello quando dura poco, quindi non la facciamo troppo lunga, anche noi siamo un po’ festaioli, ma come direbbe il nostro diretto antenato Orazio (ci dobbiamo ricordare di metterlo fra le influenze alla prossima domanda), est modus in rebus.

Musicalmente in "Figli di", ci troviamo di fronte ad un connubio rock, pop. Quali sono i vostri maestri?

I nostri maestri sono Pink Floyd, Genesis, Muse, Sigur Ros, Beatles e un tanti altri, il prog italiano, ma anche i Prodigy, Frank Zappa, Queen, Lucio Dalla, De Andrè, Battisti, Beethoven, Sistem of a Down, la lista è pressoché infinita. A volte ci definiscono progressive, però ad esempio l’uso che facciamo dei tempi dispari è sempre finalizzato alla melodia, non è mai dimostrativo o autoriferito, o almeno così ci pare. Poi se ci accolliamo ditecelo, e nel prossimo album sarà solo cassa dritta e pezzi da 2’59’’

Riguardo al vostro nome, ho consultato il nostro sito: lo sapevate che esisteva già un gruppo omonimo? :-)

Boh sì forse…ci sono anche loro comunque.
Magari quando ci faranno causa potremmo trasformare il nome in qualcosa di più fresco, tipo Peppermit o più forte tipo Enervit… ma prima dobbiamo diventare famosi come Albano.

Ci dite qualcosa su CoMusic, la scuola di musica che gestite a Roma?

CoMusic è più che una scuola, è una casa di musica, abbiamo un approccio orientato alla musica di insieme più che all’accademismo, cerchiamo di andare incontro alle trasformazioni di queste nuove generazioni, che hanno un imprinting molto diverso dalle trascorse, anche le più recenti. Cerchiamo di capire come costruire insieme a loro (i nostri giovani allievi) un modo di avere a che fare con la musica che sia attuale, interessante e produttivo, sempre tenendo conto del fatto che la musica è innanzitutto un mezzo utile a se stessi, una risorsa senza eguali per gestire la sfera emozionale, espressiva e comunicativa. Una ricchezza di cui abbiamo la fortuna di farci promotori, visto che non è scontato poter fare delle proprie passioni un lavoro con cui sostentarsi.

Avrete vissuto il cambiamento musicale ancora in atto, riguardo alla distribuzione della musica...  Quali sono le vostre riflessioni ed esperienze a riguardo? Come vedete il futuro?

Il futuro è bello nella misura in cui lo puoi condizionare, e in questo momento forse si sta ancora combattendo per un mondo musicale simile a quello in cui siamo cresciuti, in cui ti vai a comprare l’album del tuo artista, te lo ascolti tutto, magari lo presti a qualche amico e poi ti ricorderai il periodo di vita rimasto legato, appiccicato a quelle canzoni, a quella atmosfera… ma sapete bene di cosa stiamo parlando. Forse non sarà più così, molto probabilmente. Figli Di è definitivamente un album nato e costruito con quello spirito; è quasi un concept, ad ogni modo è un album old style. Non sappiamo cosa faremo come Eternit in futuro, ora vogliamo portare in giro live questo album - la nostra formazione live si è ampliata e rafforzata, presto avrete nostre notizie a riguardo! - perché amiamo suonare live. Questa è una cosa che non crediamo si perderà mai, l’esperienza della musica live, anche se cambia il modo di fruire e distribuire la musica registrata.  Sicuramente c’è un futuro in cui sempre più persone suoneranno e faranno musica, ma questa è una buona cosa perché la musica fa stare bene, non è detto che la piramidalità del sistema a cui siamo abituati sia l’unica possibilità. Bisogna essere disposti a cambiare e a investire nella attività musicale in nuove forme. Nella storia si sono sempre susseguite epoche ricordate come d’oro ad altre ricordate come medioevi: probabilmente l’epoca d’oro del rock è passata. Possiamo pure provare a metterci una pietra sopra, ma non è detto che non si rimetta a rotolare da un momento all’altro.  

 

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