'A67: Intervista del 17/01/2009

Pubblicato il: 17/01/2009


Napoli 2009 – La Harlem italiana

Napoli grande fucina d’arte. Napoli ventre, Napoli infusione di talenti, Napoli territorio d’anima e d’inventiva. Napoli grande, sempre.
Napoli mi dà l’impressione, coi suoi mille respiri, di non mollare mai. E soprattutto uno, tra quei mille respiri, varca da sempre la soglia dei confini geografici abbracciando il mondo intero; lo avvolge, cosicchè quel respiro diviene libero sulle bocche e sui sorrisi di mille volti dai lineamenti diversi: d’Africa, delle Americhe, della Vecchia Europa, dell’Oriente. Un respiro fatto di note musicali, perché la musica, si sa, da sempre viaggia senza passaporto, come aveva ben definito Eugenio Finardi.
E questa grande forza, la musica napoletana, non si consuma solo nella tradizionale canzone degli anni che furono, ma continua, rinnovata ed arricchita, oggi, nel 2009.
A farne un esempio calzante trovo gli ‘A67. Gruppo di ragazzi semplici al quale ho rivolto qualche domanda dopo averli sentiti suonare presso l’auditorium di una scuola.

“Ho trovato questa definizione sul vostro genere musicale: crossover mediterraneo. Cosa rappresentano queste due parole?”

Crossover significa incrocio tra più generi; ecco che, nel nostro caso, l’incrocio avviene fra rock, rap, funk, ritmiche reggae e chitarre metal…
L’aggettivo “mediterraneo“ è assolutamente appropriato in quanto identificativo della nostra origine: mediterraneo… se ci si riflette sopra, è una parola bellissima: medi – terraneo che significa: “in mezzo alle terre”… inoltre per mediterranea si intende una composita cultura, fatta di oriente ed occidente fuso assieme: è la culla di un mondo in cui le caratteristiche di diversi popoli sono “mischiate” con segni e simboli assolutamente originali ed antichi. Mediterraneo, certo, e a rafforzare questo aggettivo c’è la scelta di cantare in lingua napoletana: una lingua ricca di vocaboli e costruzioni verbali, di suoni e accenti molto particolari, un lingua si direbbe già musicale, plasmata dai venti delle culture vicine e accattivata dalle grande dominazioni storiche albergate in questa terra. E’ una lingua già modulata e strutturata in note e scale fantastiche. Il napoletano è un vero e proprio idioma caratteristico: basta ascoltare qualcuno che grida dalla finestra o per la strada…. così come caratteristico è il sound al quale ci rifacciamo che è fondamentalmente il “Naples Power” degli anni Settanta di band come Napoli Centrale.

“Ho ascoltato i lavori precedenti a SUBURB, il vostro ultimo album uscito a maggio del 2008. La musica si è arricchita, personalizzata e ha coniugato note di fratellanza stringendo collaborazioni oltreconfine: come nasce l’idea di Suburb?”

“Suburb” è un concept album dedicato alle periferie del Mondo.
Volevamo sviscerare cosa significa “stare alla periferia”, una tematica sociale che ci sta molto a cuore. Siamo convinti che le periferie del mondo alla fine si somiglino fra loro, sia per condizioni che per condizionamenti. Sono una sorta di territori di confine, tormentati, spesso dimenticati dal resto della città, dove cresce di tutto: disagio e inventiva…
Ovviamente sarebbe stato riduttivo e presuntuoso raccontare le periferie del mondo da soli, quindi abbiamo cercato oltre confine band che fossero in qualche modo alter ego degli ‘A67, alter ego nella commistione musicale fra rock e folk, nell’ attenzione al sociale, ma anche per età, e le abbiamo trovate nelle due grandi democrazie emergenti mondiali, cioè il Brasile con il rapper Calixto e l’India con gli Avial.
Poi abbiamo rivolto lo sguardo a due città che in qualche modo sono, come Napoli, crogiuoli storici del Mediterraneo e quindi il nostro baricentro: Marsiglia con i Dupain e Istanbul con i Kara Gunes.
Il nostro suono, che si è asciugato acquistando in solidità e personalità in questi ultimi tre anni, ha raggiunto in questo modo un arricchimento prezioso con altre lingue e strumenti. Non poteva mancare il contributo, fra i numerosi ospiti italiani, anche di talenti straordinari ed esperti come quello di Mauro Pagani e Mario Arcari, due dei “pionieri” della contaminazione musicale.

“La capacità di coagulare espressioni diverse nel sangue della vostra musica ha coinvolto anche arterie come la letteratura o il teatro, mettendo in pratica una grande necessità di voler raccontare. La musica non bastava?”

Non c’è nulla di più stimolante del confronto! E se questo avviene con altri codici artistici, che ben venga! Siamo stati sempre aperti al nuovo, ci diverte e crediamo sia una condizione fondamentale per rinnovarsi e sentirsi vivi. Questo riguarda, come abbiamo detto, la musica nei suoi diversi generi e interpreti, ma anche l’intersezione con la letteratura e il teatro. Prova ne sono, oltre ai nostri dischi, i due spettacoli “Alien’azione” (2006, nelle comunità di accoglienza con diversi ospiti) e il nuovo “Generazione Suburbe” scritto con Giancarlo De Cataldo.

“Le scuole, i teatri, le manifestazioni di solidarietà: sono questi gli ambiti preferiti per rappresentare la vostra musica?”

Siamo attenti alle tematiche sociali come avrai capito, e di conseguenza anche agli ambienti in grado di accoglierle o che operano già con tale sensibilizzazione. In realtà non crediamo esista un luogo in particolare, ecco che ovunque potrebbe nascere uno sfondo adatto, uno sfondo che raccolga piuttosto una sincerità, una voglia e una determinazione nel fare ciascuno la proprio parte innanzitutto come essere umano e cittadino. Il nostro mestiere è fare musica: tramite essa comunicare con la bellezza delle note. La musica ha uno speciale dialogo soprattutto con le generazioni più giovani, quelle proiettate verso un futuro da migliorare e la storia ‘A67 è strettamente legata ad un modo, se vogliamo definirlo, più “aperto e duttile” di pensarla e realizzarla.

“Panorama musicale partenopeo: sceneggiata, neomelodica, sempervivum come Pino Daniele, James Senese, gruppi dalla vita breve come 99 Posse o Almamegretta: il terreno produce generi musicali propri, come è accaduto per il Jazz o per l’hip-hop? Napoli può essere paragonata secondo voi alla Harlem italiana?”

Per certi aspetti sì e per altri sicuramente no. A Napoli esistono anche fenomeni a sé come quello dei neomelodici che però hanno difficilmente varcato le soglie regionali. Certamente Napoli è una delle zone italiane con maggiore tradizione musicale e vitalità; un background importante e una quotidianità che non possono non influenzare ogni musicista napoletano e la peculiarità partenopea ha varcato i confini fino ad essere conosciuta in tutto il mondo.
“Dalle canzoni emerge la condizione sociale della vostra città, gli strumenti riproducono in maniera esatta l’ambientazione difficile, la durezza della vita, le sirene, le urla dalle strade, rafforzati dalla lingua napoletana cantata. Quali sono gli aspetti più significativi che volete comunicare?”
La nostra è la volontà di comunicare a trecentosessanta gradi. Non abbiamo mai posto limiti alla creazione. Siamo nati proprio in un ambiente difficile, provenendo da Scampia, e questo ci ha sicuramente influenzati . Il nostro primo album è una sorta di riflesso condizionato della realtà che viviamo, con le difficoltà, i momenti di rassegnazione, i luoghi comuni, la voglia di lottare, la quotidianità del vivere, la morsa stretta dei problemi che divengono cemento, parte dei palazzi e dei vicoli e delle strade nostre, la camorra e l’atteggiamento mentale che ne deriva, mentre “Suburb” cerca di abbattere anche i muri mentali per andare oltre, in tutti i sensi, trattando a livello globale il problema delle periferie e toccando in generale l’emarginazione sia psicologica che materiale.

“Ritenete che il Sud si debba riscattare con le proprie forze dalla sudditanza alle mafie?”

Crediamo sia fondamentale prendere coscienza della propria realtà. Il cambiamento può avvenire solo quando si è consci di avere un problema, e in questo la musica - strumento privilegiato di comunicazione - può servire tantissimo. Ed è il motivo che ci ha spinto ad esempio a creare il progetto di educazione alla legalità “Voglie parlà!”, con il quale abbiamo affrontato l’argomento assieme agli studenti direttamente fra i banchi di scuola, in Campania e al Sud ma non solo. Il fenomeno delle mafie è un problema complesso; basti pensare che un terzo della potenza economica italiana è data dalle tre maggiori organizzazioni criminali: mafia, ndrangheta e camorra. Oltre ad abbattere quella che potrebbe essere definita la sovrastruttura di un sistema dilagante che è quello mafioso, bisognerebbe spezzare proprio le maglie di questa economia, colpire i cosiddetti “colletti bianchi”, dato che le organizzazioni criminali riciclano i propri capitali in imprese ed investimenti legali.

Ascoltare la musica degli ‘A67 è prendere un mezzo – un pullmann o un aereo – e arrivare nel cuore di Napoli. Capirla veramente, farsi toccare dalle mani ghiacciate di una dura realtà, ma anche farsi strattonare, tirare per un braccio a riconoscere la grande capacità di questi ragazzi.
Ascoltare la musica degli ‘A67 è tenere gli occhi spalancati su un disagio che non si può ignorare, perché le vittime di Gaza o delle Torri Gemelle, non valgono di più di qualsiasi altra persona alla quale è stata negata la vita.
Ascoltare la musica degli ‘A67 significa riconoscere il diritto a vivere onestamente, ad avere una possibilità nella propria terra d’origine.
Ascoltare la musica degli ‘A67, rimanerne affascinati dalla bellezza delle note, significa sapere, sentire, appoggiare la voglia di vivere, capire che Napoli come Harlem, ci fa sentire la voce troppo spesso dimenticata, di un popolo, comunità del Mondo.

Si ringraziano gli ‘A67 e Giorgia Fazzini

'A67
Daniele Sanzone degli 'A67. Concerto 22 dic 2008 Miano (Foto di Matteo Alfano)
'A67
Matteo Alfano, Daniele Sanzone, Francesca Cenerelli