Alberto Patrucco
Chi non la pensa come noi
Chi non la pensa come noi: convince ma non del tutto…
Georges Brassens è le sue canzoni. Parole e musica.
Parole che emozionano, singolare impasto tra lingua e gergo, quasi sempre venate da una sottile ironia. Musica che cattura. Canzoni che il tempo non ha scalfito. Parole che suonano e musica che parla.
Brassens, uomo e autore libero di grande umanità. Il poeta, il musicista che ha impresso una svolta profonda al grande mondo della canzone. E, senza volerlo, al mio piccolo mondo. (Alberto Patrucco)
Il mondo sarà anche più triste da quando lui è morto, ma la canzone è più allegra da quando lui è nato (Alessio Lega)
Ho voluto citare questi due pensieri, il primo dello stesso Alberto Patrucco e riportato per intero nel libretto che accompagna questo suo progetto su Georges Brassens, il secondo del cantautore Alessio Lega tratto dalla sua raccolta di saggi “Canta che non ti passa” perché in fondo rappresentano due autorevoli opinioni, sebbene abbiano sfumature diverse, sull’opera musicale di Brassens, che è stata oggetto di tantissime reinterpretazioni tanto che i dischi di altri artisti dedicati a lui sono senza dubbio di più dei dischi dello stesso Brassens, sebbene la sua vita sia stata caratterizzata da una produzione molto vasta.
Patrucco nelle sue parole sottolinea come i testi di Brassens siano venati da una sottile ironia e come queste canzoni siano parole che suonano e musica che parla, che a parte ricordarmi molto i contiani versi “ci sono sguardi che si toccano e mani che si guardano” penso racchiuda in sé una precisa dichiarazione di intenti.
Ma ciò che era nelle intenzioni del fantasista milanese, abituato a calcare le scene dei cabaret, è stato effettivamente realizzato?
Sospendo per il momento il giudizio e passo invece all’oggetto del contendere, quella dozzina di canzoni nate dalla penna di Georges Brassens in un arco temporale che va dal 1956 al 1982 e tradotte per l’occasione in italiano dallo stesso Patrucco, con il contributo del maestro Sergio Secondiano Sacchi.
Il disco si apre con la title-track “Chi non la pensa come noi” swing accelerato con il banjo di Lino Patruno a tirare il gruppo, per uno dei brani più lievi di tutto il lavoro, pezzo lieve, ma non morbido dedicato al nugolo di tuttologi di cui è pieno il mondo, basta guardare un po’ la televisione di oggi, ecco il ritornello che ben evidenzia i toni usati “Signori miei, onestamente è giusto ammetterlo / per dir che non si è intelligenti, occorre esserlo. / Signori miei, onestamente è giusto ammetterlo per dire che non si è intelligenti, occorre esserlo”.
Segue un gioiello della penna irriverente di Brassens, quel bellissimo brano che è “Don Giovanni”, dedicata a quell’eroe e santo dell’amore che è la figura del Don Giovanni, scritta nel 1976, racchiude versi dissacranti e pungenti come questi “Gloria alla suora che al monco infreddolito / scaldò con la sua mano il pene intirizzito / E gloria a Don Giovanni che un dì volle vedere / quel culo bisognoso usato solo per sedere”.
Incredibilmente moderna, sebbene scritta nel 1956 è “I rampanti” introdotta solennemente dalla fisarmonica di Gianni Coscia che precede gli ancora attuali versi “Gli apprezzati rampanti, pieni di soldi e di arie / vanno a caccia affamati di femmine varie / i rampanti non amano, pagano / fiutano, annusano come cani indagano…”.
Più datato, almeno musicalmente, è il brano “La falsaria”, uno slow d’altri tempi che narra in modo fiabesco di un incontro d’amore tra il protagonista ed una grande falsaria in cui tutto ciò che fa da sfondo alla vicenda è “autenticamente” falso, davvero surreale e grandioso il finale “Nell’occasione il buon Cupido / si comportò in modo infido / da vero falso testimone / e anche venere, maledizione! / Ma passerei da finto tonto / se omettessi nel racconto / che se non latro, devo a loro un’ora di autentico ristoro”.
C’è poi “Quegli imbecilli nati in quel posto”, un brano in stile popolare, un vero e proprio inno scagliato da Brassens contro tutti quelli che si vantano “stupidamente” dei propri natali e che utilizza versi taglienti come questi, “Mio Dio, sarebbe amena la terra che ci doni / sprovvista della gente più bella del reame / col suo bel marchio DOC, la razza dei coglioni / immersa nel terreno a guisa di letame. / Dio mio, che bella vita senza questa presenza /se non avessi creato i tifosi del posto… / Cosa che forse prova la tua inesistenza”.
Il testo di “Stanze per uno svaligiatore”, pezzo musicalmente tetro e lento, introdotto e poi condotto da harmonium e violoncello, quasi fosse un mesto requiem, è come una sarcastica lettera aperta allo sconosciuto autore di un furto nella casa del protagonista, ecco la chiosa finale “Post scrittum. Se il furto è il tuo vero talento / salta nei ricchi affari che il bel mondo protegge / avrai stima e rispetto, vivrai in quel firmamento / di ladri così in alto che stan sopra la legge”, che si stesse rivolgendo alla nostra classe politica?
Ancora una volta è la fisarmonica di Gianni Coscia ad aprire il dolce brano “Babbo Natale e la fanciulla”, una moderna e poetica favola, moderna perché è ancora attuale la figura di questo “Babbo Natale”, uomo pieno di soldi e ricchezze, capace di conquistare con il proprio “fascino” ogni donna ma attenti perché il testo chiosa così “Non ti appartiene il tuo passato di libertà e di freschezze / ti hanno coperto di carezze”, c’è sempre il rovescio della medaglia, le vicende di questi giorni e di sempre insegnano.
Lieve e sobrio è “Cupido” brano sull’amore non corrisposto “Per sedurre non basta esser capace / serve poi che anche il cielo sia con te / io non ho avuto fortuna e mi dispiace”, suonato in perfetto stile Django Reinhardt vede la presenza di Tommaso Conte (figlio di Giorgio Conte) alla chitarra solista ed è un piacere per le orecchie.
Pieno di ironia è il successivo brano “Ventinove volte su trenta”, musicalmente molto piacevole e ballabile ha un testo che parla delle abitudini sessuali della donna che sarebbe da riportare per intero, perché sa mettere in ridicolo tanti convinti eroi tra le lenzuola, non lo faccio ed invito chi legge a cercarlo, ne vale la pena.
E’ ancora l’ironia a brancate quella profferta nel brano “Il vecchio”, che parla della fine di vecchio in un tristo ospedale, cui sono negate nell’ordine lo swing di un’orchestrina jazz, il delizioso nettare di bacco e compiacenti donnine pronte a donargli se stesse per chiudere il tutto con un finale al fulmicotone “Quando saremo vecchi / nel covo dei bacucchi / figli di Maria, addio! / Non suore ma mignotte / vuole l’ultima notte / e che fumano, perdio! / E che fumano, perdio!”.
Non è da meno in termini di ironia il pezzo seguente “All’ombra dei mariti”, una sottile ballata in cui il protagonista è un esperto amante abituato a passare da un’adultera all’altra, ma ha pur sempre le proprie regole ed esigenze, ma qualcosa ora è successo perché, pur stanco di un’avventura, non vuole lasciarla, benché a sua volta lo tradisca, ormai è diventato amico intimo del marito e gli dispiace recargli offesa e così chiude afflitto dicendo “Rimango e quando lei, con piglio generoso / concede al nuovo amante amplessi porcini / e lui è andato a pesca e la tata è di riposo / son io, povero me, che bado ai bambini”.
A chiudere è “Supplica per essere sepolto in spiaggia”, un brano che incede lento e maestoso, un bellissimo testamento scritto da Brassens nel lontano 1996 in cui chiede di essere sepolto in una spiaggia, in cui non manca la sua solita ironia “E’ una spiaggia che io ho preso, a quindici anni appena / quando godere soli più che un piacere è pena / la prima cotta assassina / e fu da una sirena, una ninfa del mare / che alla prima lezione appresi un po’ ad amare / e a mandar giù la prima spina”.
E’ giunto il momento di concludere e rispondere alla domanda che è sorta dopo ripetuti ascolti del disco: secondo me non tutto è girato per il meglio, è forse venuta a mancare soprattutto quella ironia cui accenna nel suo commento e cui ho fatto riferimento più volte nello scrivere dei testi delle canzoni, Patrucco ha in questo disco almeno una voce scura e piuttosto granitica, da cui trapela poco quella velata ironia cui accenna, tanto meno quella allegria di cui parla Alessio, ci sarebbe voluta un po’ di quella ironia lieve e sorniona di cui è maestro Giorgio Conte o di quella sincera ed appassionata di un Luca Ghielmetti?
Forse il troppo rispetto per la materia trattata ha ingessato un po’ la sua interpretazione, soffocando la sua innata comicità anticonformista, peccato perché i presupposti per realizzare un ottimo disco c’erano tutti, anche se questo disco d’esordio si lascia comunque apprezzare.
Alberto Patrucco
Chi non la pensa come noi
Genre: Cantautorale
Tracks:
-
1)
Chi non la pensa come noi (03:12) Ceux qui ne pensent pas comme nous
-
2)
Don Giovanni (03:23) Don Juan
-
3)
I rampanti (03:20) Les croquants
-
4)
La falsaria (05:33) Histoire de faussaire
-
5)
Quegli imbecilli nati in un posto (03:29) La ballade des gens qui sont nes quelque part
-
6)
Stanze per uno svaligiatore (05:27) Stances à un cambrioleur
-
7)
Babbo natale e la fanciulla (03:51) Le père noël et la petite fille
-
8)
Cupido (04:08) Cupidon s’en fout
-
9)
Ventinove volte su trenta (03:59) Quatre-vingt-quinze pour cent
-
10)
Il vecchio (04:09) L’ancêtre
-
11)
All’ombra dei mariti (06:15) A l’ombre des maris
-
12)
Supplica per essere sepolto in spiaggia (08:01) Supplique pour être enterré à la plage de sète
Renseignements pris à partir du disque
Ellade Bandini: batteria (1, 2, 4, 5, 7, 9, 10, 11)
Sergio Bassanini: chitarra elettrica (1, 10), clarinetto (2, 4, 5, 8), oboe (12)
Daniele Caldarini: pianoforte (1, 2, 4, 6, 7, 9, 10, 12), tastiere (2, 4, 6, 9, 10, 11, 12), harmonium (6), programmazione (6), organo Hammond (10), clavicembalo (11), chordette (11)
Roberto Novati: contrabbasso (1)
Lino Patruno: banjo (1)
Francesco Gaffuri: basso elettrico (2, 9, 11, 12), contrabbasso elettrico (9)
Giulio Rusconi: chitarra elettrica (2, 11), chitarra slide (9)
Luca Schiavo: chitarra acustica (2, 3, 4, 7, 9, 11, 12), chitarra (10), bouzouki (11), chitarra classica (12)
Andrea Balgera: contrabbasso (3, 4, 6, 10, 11)
Gianni Coscia: fisarmonica (3, 7, 9)
Mimmo Locasciulli: pianoforte (3)
Evelyne Parouty: voce (4)
Roberto Rossi: trombone (4, 5)
Maura Susanna: voce (4)
Giovanni Maria Block: ottavino (5)
Lorenzo Contaldo: fagotto (5, 11)
Francesco Porta: basso tuba (5)
Gabriele Rocchetti: corno (5)
Antonio Feliciano Silva: scacciapensieri semi-acustico (5)
Juan Carlos Flaco Biondini: chitarra elettrica (6)
Joe Damiani: stick (6), percussioni (12)
Claudio Giacomazzi: violoncello (6, 12)
Angapiemage Persico: violino (6, 8, 12), mandola (11), mandolino (11), violino pizzicato (11)
Mauro Pagani: violino (7)
Peppe Voltarelli: chitarra elettrica (7), fisarmonica (12)
Giorgio Conte: chitarra ritmica (8)
Tommaso Conte: chitarra solista (8)
Michele Staino: contrabbasso (8)
Marco Gerosa: trombone (11)
Joan Isaac: harmonium (11)
Sergio Secondiano Sacchi: chitarra elettrica “acusticizzata” (11)
Anne Marie Turcotte: pianoforte (11)
Massimo Vettorato: sassofono (11)
Fabrizio Consoli: chitarra 12 corde (12), bouzouki (12), chitarra portighese (12)
Fabio Testoni: chitarra acustica (12)
Arrangiamenti e direzione musicale: Daniele Caldarini e Sergio Secondiano Sacchi
Produzione artistica: Sergio Secondiano Sacchi
Produzione esecutiva: Alberi S.a.s.
Mixato alle Officine Meccaniche di Milano da Taketo Gohara
Masterizzato al Nautilus di Milano da Giovanni Versari