ManzOni
… Si aspetta l’inverno…
Arrivati alla terza uscita discografica ancora autoprodotta dopo l’intermezzo affidato alla Garrincha Dischi, i Manzoni non perdono l’occasione per rinverdire tutta la loro sottile poesia fatta di attenzione e racconto itinerante di tutte le zone grigie dell’essere umano.
La musica spesso e volentieri sa regalare delle splendide favole e per i Manzoni di Gigi Tenca non è tempo per stare a gustarsi l’ottimo esordio fatto da due altrettanti successi di pubblico e critica. Chioggia non è proprio un luogo di provenienza cool per fare musica, cosiddetta indie, nel profondo nord-est. Né i suoi componenti sono così giovanotti per spacciarsi come una “New big thing” della musica italiana. Anzi! Il loro leader è un ragazzetto di oltre cinquantanni, ma un po’ tutti i componenti over trenta hanno fatto lunga gavetta in altre band. Ispirato e compatto, questo nuova produzione del quintetto veneziano, conferma le belle impressioni dei dischi precedenti, ma con la prerogativa di dare alle stampe un vero e proprio concept album sul tempo che scorre e che passa inesorabilmente. Questo lavoro è un po’ tutto post: post-rock, post-narrativo, post-sociale. E’ innegabile una certa affiliazione a due mostri sacri dell’indie italiano come i CSI (soprattutto nella cornice evocativa di “Linea Gotica”) e i Massimo Volume. Ma Gigi Tenca (vocalist e autore dei testi) non è né Giovanni Lindo Ferretti, né Emidio Clementi. Non è ammaliante come il primo, né schivo come il secondo. Ha il suo stile fatto di sarcasmo proletario e saggezza popolare; il tutto condito da una dote consistente di classe e misura, a volte un po’ ruspante.
Dal punto di vista musicale e dell’intensità della narrazione il disco si distingue per il suo marchio di fabbrica fatto d’indagine sociologica e antropologica da un lato e da un tappeto sonoro fatto di continue sovrapposizioni rumoristiche dall’altro. … Si aspetta l’inverno … è un disco in bianco e nero senza compromessi, dove aleggia comunque in qualche angolo lo spirito di Nick Cave e la vocazione impenitente a tornire canzoni con una certa familiarità e umanità come si fa solamente con i vicini o tra allegri emarginati. E così che alla furia mitigata di Manca il ritorno e Com’è si alternano il sottile sarcasmo contro le abitudini e il perbenismo borghese in Il suono di un bacio e Un bel discorso.
Il disco si apre invece con Lento un pezzo simbolicamente rappresentativo di tutto l’album con la sua cadenza ripetitiva, disturbata e noiosa, un piccolo gioiello sul tempo e l’apatia della società. A seguire un brano quasi nostalgico dall’incedere in progressione, molto metropolitano. Un fuoco interiore che lascia segno di sé anche nella finale (inverno) una luce invernale sparsa su una vita formicolante, che emoziona e si emoziona lasciando spazio solo alla musica e al singhiozzo di molteplice interpretazione. Poesia pura.
Che dire ancora: definire questo lavoro l’album della maturità sembra un gioco beffardo per una band che rischia solo d’invecchiare per ragioni anagrafiche; ma in realtà è il giusto compendio per un’opera che ha dalla sua il carattere dell’evoluzione rasente alla perfezione.
ManzOni
… Si aspetta l’inverno…
Género: Sperimentale , Cantautorale , Rock