Nichelodeon: Intervista del 05/03/2015

Pubblicato il: 05/03/2015


In questa intervista a Claudio Milano potrete trovare delle risposte molto interessanti, tra critica e riflessione, ritratto di un artista vero e diretto, che non ha paura di risultare scomodo o antipatico.

FP: Ciao Claudio, la nostra precedente intervista risale al 2008, al tempo di “Cinemanemico”. Vediamo di ripercorrere quanto è successo da allora, se ci riusciamo!
“Il gioco del silenzio” proseguiva il percorso iniziale. Come lo vedi ora quel lavoro, a distanza di qualche anno?

CM: Un bel lavoro ma, un po' dispersivo. Troppe improvvisazioni sono state gestite con uno spirito radicale, tipico di quel periodo (El Gallo Rojo, Improvvisatore Involontario, Setola di Maiale), ma senza avere adeguata misura, il dialogo degli strumenti, si sovrappone, a tratti e in qualche caso è pure preso da eccessiva “fame”, pur mantenendo una tensione emotiva alta. Laddove si è trovato un buon equilibrio (Fiaba, Malamore e la Luna, Ciò che Rimane, Il Giardino degli Altri) il risultato è stato davvero notevole. Altri brani hanno incontrato una dimensione migliore, dopo (Claustrofilia, Apnea), o l'avevano già avuta prima (Fame, Amanti in Guerra), ma son comunque stati resi in esecuzioni buone. Due sono rimasti insopportabili e li ho abbandonati in fretta (Ombre Cinesi, Se). Un pezzo, ancora deve trovare il vestito giusto (Lana di Vetro). Inutile dire, che all'epoca, ci sembrava tutto una gran cosa e in tanti, l'hanno pensata allo stesso modo. Non c'è una sola persona, tra chi vi ha preso parte, che spenderebbe però, mezza parola positiva per quel lavoro, oggi, ergendo a capolavori, suoi dischi fatti in mezzo pomeriggio, dopo un paio di canne e una sbronza. L'importante è che quei dischi siano “suoi”, non condivisi con altri, spirito di un'epoca pesantemente onanista. Il Gioco del Silenzio, invece, resta un buon disco, per quanto io sia consapevole di aver fatto di meglio dopo, Bath Salts, Adython e Ukiyoe, su tutti.

Non è affatto vero Fabrizio però, che Il Gioco del Silenzio, proseguiva un percorso iniziale, probabilmente, ascolti poco jazz. Tralasciando i miei dischi solisti precedenti, L'urlo Rubato e La Stanza Suona ciò che non Vedo, che non conosci, Cinemanemico somigliava a un bimbo fasciato, circondato da una tempesta di monsoni. Quell'idea di live cameristico, con spartito alla mano e neanche mezza divagazione, ma con folate di elettronica psichedelica, avant e kraut attorno, era assai affascinante, ma il perfetto opposto della resa del disco in studio che l'ha seguito. E' come dire che Black is the Color cantata da Nina Simone è la stessa cosa di quella cantata da Patty Waters, giusto per fare un esempio, abbastanza “popular”. Venendo da studi classici, etnici e d'improvvisazione sui generis, mi son divertito per qualche anno, nel trovare forme radicalmente diverse a melodie da me scritte, come a dire che in Italia siamo una massa di dementi. Perché? Perché “autore” viene considerato chi scrive una melodia, quando la musica è suono e dunque, principalmente “arrangiamento”. Se ci si mette in mezzo dell'improvvisazione, un brano può divenire un semplice pretesto (anche il concetto di standard, altrove, è divenuto superato, perché delle melodie, si è perso il tabù di conservarne gli intervalli in modo rigido). I miei dischi presi come “pop”, o “rock”, oltre a risultare insopportabili, ridicoli, non hanno senso.

FP: Ah ah... Comunque per quanto riguarda il jazz, ho iniziato ad ascoltarlo seriamente da 2/3 anni e al momento mi sto dedicando ai classici, niente di contemporaneo... Per il discorso del proseguimento intendevo che in ogni caso, malgrado i cambi di formazione, si sentiva la continuazione di un certo progetto...

CM: Dopo Il Gioco del Silenzio, lo sai (te li ho inviati tutti), c'è stato un disco su liriche di KasjaNoova (artista belga), per voce, sax ed elettronica, con Stefano Ferrian, Alfonso Santimone, Attila Faravelli e prefazione di Arrington De Dionyso degli Old Time Relijun (che ha partecipato anche ad alcuni live); un disco di istant composing, “Aurelia Aurita”, con il quintetto RADIATA (con Cecilia Quinteros, Vito Galante, Luca Pissavini e Ferrian); un live elettrico e asciuttissimo dei NichelOdeon, “NO”, in free downloading; un doppio disco di canzone d'autore cameristica, quasi liturgica, a nome NichelOdeon, “Bath Salts” e un altro, di avanguardia spinta, ma esuberante, con connotazioni ambient, a nome InSonar, “L'Enfant et le Ménure”. Questi due doppi, con un collettivo complessivo di 82 musicisti e artisti, da 5 continenti, più di qualche leggenda inclusa (Trey Gunn, Pat Mastelotto, Elliott Sharp, Nik Turner, Dana Colley, Dieter Moebius, Ralph Carney, Paolo Tofani, Vincenzo Zitello, Walter Calloni..); tantissimi “mostri” underground (Othon e Tomasini, Fabrizio Modonese Palumbo, Sebastiano De Gennaro, Nate Wooley, Burkhard Stangl, Valerio Cosi, Paolo Carelli dei Pholas Dactylus, Richard A Ingram, Graham Clark dei Gong...); gente “pop”, come Ivan Cattaneo; dal mondo della classica (gli scaligeri Laura Catrani, Giorgio Tiboni, Beppe Cacciola, ma anche Erica Scherl, Michael Thieke, Viviane Houle, il celebre sopranista Angelo Manzotti, i compositori elettronici Elio Martusciello e Stefano Delle Monache); dell'etnica (il fondatore degli Huun-Huur-Tu, Albert Kuvezin); dieci tra i più grandi thereministi e suonatori di Onde Martenot (Thomas Bloch, già con Radiohead e Blur); attori (Ivano La Rosa, Valentina Illuminati); artisti visivi (Effe Luciani, Berlikete, Arend Wanderlust).

Purtroppo però, mancava Arisa, è stato quello il danno!... Mannaggia il ciuccio! Gli altri, han lavorato ai dischi per il piacere di farlo (a parte qualche minimo contributo, qua e là, per studi d'incisione, qualora proprio indispensabile), lei avrebbe voluto soldi... ma si che avrebbe aggiunto un tocco di, vera, classe!

Dopo sono usciti anche due collector's item (questi non li hai avuti, o forse, te li ho mandati in free downloading), “Musica Cruda” dei NichelOdeon, composto da un live per arpa classica e voce, più delle cover a cappella, in chiave assai drammatica; “Neve Sporca” di InSonar, con inediti, alternative take, live.

Ci sono stati concerti con nomi importanti, più o meno conosciuti, (Ares Tavolazzi, Walter Calloni, Paolo Tofani, Tony Pagliuca, Arrington De Dionyso, Alfonso Santimone, Valerio Cosi), installazioni a Milano, Berlino, Zurigo, una colonna sonora per Marc Vincent Kalinka (poi, parte di L'Enfant et le Ménure), presente alla Biennale di Venezia nel 2011, con la splendida opera, “My Personal Holy Family”, Marc, è un genio vero; partecipazioni a un numero imprecisato di dischi; una devastante ma istruttiva, vita da artista da strada, tra nord e sud d'Italia.

Direi “due puzzette, insomma”, non fosse che per il rispetto di mezzo mondo, tirato in mezzo al mio, non è mai troppo bello sminuire il proprio percorso, quando qualche centinaio di persone ne ha preso parte, con dedizione.

FP: Perchè ad un certo punto del tuo percorso artistico hai tirato fuori la sigla “InSonar”?

CM: E' stato indispensabile, perché il progetto non era solo mio, ma mio e di Marco Tuppo (Raven Sad, Liir Bu Fer, Nema Niko). Nei miei progetti i brani parton tutti da me, qui, son partiti, quasi tutti, da bozze di Marco, che si è sviluppate assieme, finché lui non ha perso il controllo della cosa ed è andato in panico, dicendomi “tu sei matto, io volevo fare un EP con due accordi e tu ne hai tirato fuori Guerra e Pace, tieni pure i file e la sigla e vade retro!”. In realtà si lavora ancora assieme, di tanto in tanto.

Diciamo che se NichelOdeon è un diario intimo, che tanto punta al racconto autobiografico, in chiave drammaturgica, InSonar è un cantiere di estremismi sonici e vocali, che comunque, non mirano a risultare sgradevoli, alla maniera di Pharmakon, o Diamanda Galas, per citare due nomi. E' un lavoro sulla ricerca timbrica e formale ad ampissimo raggio. Preferisco lanciare petali di fiori sul pubblico, piuttosto che budella d'animali alla Einsturzende. Del resto, c'è già chi, quotidianamente, mette in rete filmati raccapriccianti, minacciando di scarabocchiare la Cappella Sistina con bandiere e pennarelli neri, o lanciando petardi nelle fontane del Bernini. A che ci serve, oggi, salire sul palco e dire “Io sono l'Anticristo”? Io sono il Fantasma Formaggino e così mi sento a mio agio.

FP: In un periodo davvero transitorio per la musica, in cui le nuove leve sono abituate ad ascoltare brani alla rinfusa in streaming e sono quindi poco abituate ad ascoltare un album per intero, tu hai fatto uscire con il nome di entrambe le sigle NichelOdeon e InSonar un cofanetto “L’Enfant et le Ménure” / “Bath Salts” con ben 4 cd!
Perchè questa scelta, che potrebbe essere considerata “suicida” da un punto di vista “commerciale”?

CM: Commerciale? E chi cazzo li vende i dischi oggi? Avrai mica confuso un mio album con quello di Nek? Pensa al nome di un creativo che tu ritieni davvero valido, in qualsiasi campo artistico. Ora, rifletti su cosa sarebbe stato il suo percorso se avesse assecondato, la gente di cui parli. Evidentemente, consideri il mio percorso di livello medio, o meno (alla stregua dei classici “emergenti”, che alla fine ti accorgi che a settant'anni non erano emersi, perché erano affogati a venti e non ci si era accorti del fetore che mandavano) e forse così è, del resto, non è forse il successo di pubblico a decretare il valore di un creativo? …. Beh, sfascerei allora, una ad una, le copie dei Van Gogh delle vostre case, i cd di Bach e Gesualdo Da Venosa, di Tim Buckley, perché in due, ricordano che, al massimo del loro percorso, questi, tra tanti, eran considerati “cacche”, o non considerati proprio. Le “nuove leve”, non sono affatto peggio delle vecchie, anzi. Se le vecchie leve, non avessero sentito musica alla stregua di un mezzo che li attraversava, mentre si facevano un acido, una canna, quegli uomini/donne, non sarebbero passati ad ascoltare i Negramaro, oggi. Questo testimonia, che anche nei periodi ('66-2000, a fasi alterne), in cui i termini “avanguardia”, “movimenti culturali”, hanno avuto un senso e la gente andava ad ascoltare Frank Zappa, Soft Machine, Tim Buckley, King Crimson, Eno, Van Der Graaf, Nico, The Residents, John Zorn, Miles, Univers Zero, Diamanda Galas, Bad Seeds, Area, CCCP, Sylvian, Radiohead, Sigur Ros, Scott Walker, Bark Psychosis, Talk Talk... non ha capito un cazzo di quello che stava sentendo. Andava di moda, era alternativo, come andava di moda nei '70 fare brani da mezz'ora e dopo 10 minuti, i musicisti potevano essere a casa, tanto nessuno era più con un neurone a posto, soprattutto chi si presentava ai concerti, non per ascoltare, ma per rumoreggiare e far si che fossero interrotti, per ragioni “politiche”, quali “la musica deve essere gratis e gli artisti devono campare d'aria!”, ora che possono scaricare IL MONDO, si perdono appresso a Lana Del Rey. Belle teste di cazzo, ma non c'è da sorprendersi, eran tutti figli d'industriali, che giocavano a fare i ribelli. Non c'è e non c'è mai stata cultura musicale, se non per chi se l'è costruita attraverso la conoscenza e non solo dei dischi, ma del suono, delle strutture, dei modi, delle armonie, dei percorsi, per chi HA STUDIATO. Onestamente diresti mai che è “bello” un'opera di Picasso, di Bacon, di Schwitters, di Burri, di Cattelan, Goya, il cesso di Duchamp e la cacca in scatola di Manzoni, se non ne valutassi cosa c'è dietro a questi percorsi? Ma anche no. Botticelli, Raffaello, i preraffaeliti han fatto cose “belle”, che anche un bambino riconoscerebbe come tali. Una mia ex inquilina, quando ascoltava quello che passava, a basso volume dal mio stereo, mi chiedeva di spegnere, perché la musica che “facevo io”, la disturbava. Si trattava, in realtà, alternativamente, di Stockhausen, Ligeti, Penderecki, Zorn, Nono, Berio, Tom Cora, Romitelli, tra i miei ascolti più frequenti del periodo. Per lei, bastava una dissonanza, perché tutta la musica del mondo fosse stata scritta da me e dunque, “non valeva, perché non era riconosciuta come valida”. Nei '60 lei si sfasciava di canne ad ascoltare i Pink Floyd e partecipava ai raduni al Lambro, adesso rivela che Dario Baldan Bembo ha scritto la canzone più bella di sempre, “L'Amico è”. Nulla è cambiato nella ricezione, semplicemente, complice la mancanza di rispetto per le arti, è diventato impossibile vivere di musica artisticamente, da creativo, così come lo è, per qualsiasi percorso vicino alle arti, se non per qualche fortunello figlio di papà e tutto si è omologato, perché, la musica è oggi sottofondo a nevrosi e dunque “non deve” coinvolgere. La gente non ha capito una cosa essenziale, che non è lei, oggi ad “usare la musica”, come vorrebbe, volgarmente, “ma che è la musica che sta usando tutti”, volgarmente.

FP: Oltre che suonare, hai iniziato a collaborare anche con alcune riviste di musica online (tra cui estatica) in qualità di recensore. E’ un desiderio che hai sempre avuto quello di dire la tua su alcuni lavori altrui?

CM: Scrivere di musica, equivale a rimanerne informati, cosa che credo sia essenziale per ogni musicista degno di tale nome. Non lo faccio per raccontare dei miei punti di vista, a quello provvede già la mia scrittura dei testi e il mio “fare musica”. E' uno sprone alla scoperta continua, ad informarsi su ciò che è, è stato e dunque, aiuta, con adeguata fame/necessità di dire, a proiettarsi avanti, altrove. La pratica della scrittura musicale da parte di musicisti è antica, le prime avanguardie del '900, in materia hanno creato veri e propri dialoghi epistolari che han fatto storia (La corrispondenza fra Kandinskij e Schönberg, ad esempio). Alcuni sono stati teorici di “genere”, Michael Nyman, per fare un nome, ma oggi come ieri, è un sistema come un altro per sentirsi nel vivo di una passione/ricerca. Critica, intesa come lettura dell'evento musica e suono, vanno spesso di pari passo e quando non lo fanno, prima o poi si cercano. Rossano Lo Mele dei Perturbazione, è a capo del Magazine Rumore (Vittore Baroni, tra i fondatori della rivista, è, invece, parte dei Le Forbici di Manitù), Diego Palazzo e Piergiorgio Pardo degli Egokid, sono firme storiche di Blow up., Julian Cope ha una sua testata musicale on line, i membri del Kronos Quartet, scrivono recensioni, come Glen Hall (che tante volte ha recensito i miei lavori), storico jazzista e collaboratore di Gil Evans.

FP: Secondo te un musicista nel recensire un disco può avere una marcia in più e cogliere delle situazioni tecniche che sfuggono ad altri tipi di ascoltatori? Oppure l’ascolto deve rimanere su un altro livello?

CM: Faresti riparare i muri pericolanti della tua casa, ad un designer? Magari potrebbe progettarne la forma, ma potresti trovarti sotto un mucchio di macerie il giorno dopo, se si mettesse a fare il muratore. Ecco, a fronte di una critica delle arti visive, ancora abbastanza solida e ad altre cinematografiche, del mondo della danza, dell'architettura, che perdono colpi seriamente, pur con dovute baruffe, la musica è tra le macerie più totali. Quelle del gusto che si erige a critica, che invece, dovrebbe essere lettura impersonale e figlia della consapevolezza storica di una produzione. Ma... si aspettano le prime recensioni da quotati siti e magazine internazionali, pilotati dalle label (The Wire, Uncut, l'edizione americana di Rolling Stone...) e ci si adegua alla “legge del momento”, bei pecoroni! Un gregge, a seguito del Dio denaro. Tanto son solo canzonette, no? Gliel'avreste detto a Frank Zappa? Glielo chiedete oggi a Eno, Hammill, Wyatt, Cave, Walker? Ah, ma dimenticavo che in Italia c'è chi ascolta la musica per i soli testi... come a leggere un romanzo per le illustrazioni. Siamo una caricatura, che merita d'essere spazzata via dalla storia e subito, in un baleno. Ci penseranno quelli dell'IS, ad aprire una scatoletta di Piero Manzoni, con su scritto “contiene infinito” e a trovarci dentro quel che c'è: NIENTE.

FP: Ci parli un po’ delle tue sperimentazioni vocali?

CM: Mi interessa il rito, inteso nell'idea primordiale di evocazione di deità, spiriti, subconscio. Una forma di elevazione, di preghiera, di ricerca del sé, nel rapporto col tutto. E' una ricerca che vivo, tanto in forma di denuncia/urlo/bestemmia, che di alleanza/sublimazione, dell'orrore in contemplazione. Per fare questo, bisogna imparare ad ascoltarsi, ad avere percezione del sé, corporeo ed emotivo, a saperlo incanalare. Bisogna saper rischiare, dare un occhio al movimento fonatorio di sperimentatori, riconosciuti come tali (Patton, Galas, Meredith Monk, Minton, Stratos, Mc Ferrin, De Leo, Attila Csihar, Sumac...) e non (cito solo Tim Buckley, Peter Hammill e Giuni Russo, ma la lista sarebbe infinita) e introiettarlo, poi, provare. Il suono, è prima d'ogni cosa una questione “mentale”, poi si impara a gestirlo nel rispetto della propria fisiologia e dei limiti che tutti abbiamo e che vanno rispettati, perché se ben compresi, poi diventano i migliori alleati. Ho avuto dei maestri, nel canto lirico (Vittorio De Siati), nel canto legato al teatro (Nino Tagliareni), nel Metodo Funzionale e Improvvisazione (Carola Caruso), Bevoice/Voicecraft (Anna Garaffa), Circle Songs (Albert Hera), Canto Armonico (Tran Quang Hai, Abhishek Michele Budai). Da solo ho studiato suoni di flauto e fischio. Ma son tecniche, l'anima è un'altra cosa, genera il timbro, assieme alla conformazione corporea, lo modella, permette di “dare”, non solo di prendere dalla gente, attraverso manifestazioni circensi. Io non sono uno sperimentatore della tecnica, sono un ricercatore di colori e modalità espressive, tecnicamente chiunque è più bravo di me, magari non Jovanotti, ma chiunque altro, tra i “figliocci di Maria e Cecchetto”, lo è.

FP: Sei soddisfatto di “Ukiyoe”? Qual’è il percorso che ha portato alla sua realizzazione?

CM: Si, molto, mi spiace, di non aver potuto procedere ad una ristampa col singolo, nato dopo, ma non ci sono stati soldi e non ce ne saranno, le copie, sono ormai quasi finite, ce n'erano appena un centinaio destinate per la vendita, il resto era programmato per collaboratori e giornalisti/musicisti e pseudo tutto.

E' nato per volere di Francesco Paladino, regista del gustoso DVD allegato, una sorta di psicodramma burlone, surreale e poetico, non certo destinato alle masse, Warhol o Jarman, l'avrebbero apprezzato. Lui s'è impegnato a stampare le copie, io ad occuparmi della rassegna stampa. Ognuno, pur rimanendo in stretto contatto con l'altro, ha provveduto alla realizzazione di suoni, liriche, immagini. Io ho lavorato per sei mesi, giorno e notte, alla stesura di arrangiamenti vocali e strumentali, liriche, abbozzi di immagini a definire mappe concettual/emotive. Ho contattato nel frattempo un numero corposo di musicisti/compositori (e questa volta ho percepito, in maniera frustrante, la fatica, anche la noia, di chi dice “che rientro, anche solo d'immagine, avrò da questo?”), a cui ho affidato il compito di realizzare una loro visione dell'arrangiamento dei pezzi, integrale o parziale. In studio di registrazione, s'è provveduto, come in un flusso di maree, assegnando ad ogni canale, un contributo pre-mixato, a cristallizzare, un'unica forma, fatta di presenze, assenze, compresenze di diverse soluzioni, di fatto partorite a distanza. Qualcosa è stato invece realizzato come istant composing. L'intera sezione Into the Waves, dalla lunga e “idealmente” tripartita, MA(r)LE, è nata appresso ad una mia partitura per fisarmonica, da cui si è sviluppata un'improvvisazione, per voce e strumento a mantice. Un lavoro che si espresso su più piani percettivi e interattivi, dalla partitura scritta ed eseguita, all'improvvisazione in tempo reale, singola o di gruppo, al lavoro di post-produzione, in cui lo studio di registrazione, è stato impiegato come “strumento a sé”, tanto che posso considerare, senza ombra di dubbio, Paolo Siconolfi e Mimmo Frioli (anche batterista dei Karma in Auge), come artefici principali del lavoro, assieme a me, nel ruolo di sound designer.

FP: All’interno dell’ultimo lavoro c’è anche, per la prima volta, un dvd. Sei quindi interessato a sviluppare ulteriormente il connubio tra immagini e suono?

CM: E qui toppi di bestia. Il Gioco del Silenzio era uscito in contemporanea ad un dvd, con il quale costituiva progetto unico, a partire dalle grafiche e quel dvd era Come sta Annie? Twin Peaks 20th Anniversary Show. Prima c'era stato pure Cinemanemico DVD, stampato in copia unica e lagato a Cinemanemico, ma in rete con una valanga di estratti (praticamente tutto e tu ne hai pubblicati due su Estatica). Comunque no, non me ne frega niente, io voglio cantare. Stop. Quando sono uscito dall'Accademia di Brera, l'ho fatto presentando un'opera d'arte totale e negli anni ho sviluppato questa cosa in maniera seria, coinvolgendo nei miei lavori visual artists, attori, registi, scultori, danzatori, dj. D'altro canto, per anni io ho lavorato come autore di musiche per spettacoli teatrali, performance di teatro-danza, installazioni, cortometraggi. Ukiyoe, non fa differenza. In questo caso mi sono occupato anche del progetto grafico-pittorico ed ogni copia è dipinta a mano in superficie. E' la dichiarazione di un progetto “autentico”, non studiato a tavolino per essere venduto, ma neanche per avere “successo”. Un ritorno ad un'idea assai artigianale, romantica, della creatività. Sta di fatto che però a me di dipingere, progettare video, sceneggiature, non me ne importa nulla al momento, come detto, vorrei fare concerti, ma la mia musica non è ben accetta nei luoghi di fruizione al pubblico, siano essi una bettola o un festival. In alternativa, sarebbe bello pensare ad una vita vissuta come “opera d'arte”, ma Fragagnano, in provincia di Taranto, dove vivo al momento, è un paese che ha fatto dell'ignoranza e dell'abbandono, virtù. Ogni differenza è vista come pericolo, a meno che non si accetti di essere dei “soggetti da esser presi di mira”. La gente qui è conosciuta e nominata, per difetti, o quelli che grossolanamente possono essere reputati tali, che diventano soprannomi e dunque, il modo per passare il tempo, è prendere di mira qualcuno per farsi due grasse e vigliacche risate, qui la gente la si prende alle spalle, tra un tiro di cocaina e una bottiglia di Raffo, scolata in un sorso. Per essere stimati, se non si è cretini, bisogna far finta di esserlo, per integrarsi a dovere. Dunque, vegeto e coltivo odio a dovere, sperando che un'esplosione di un barattolo di marmellata andato a male, sommerga tutti i miei compaesani.

FP: Eh eh, la memoria quindi mi ha giocato un brutto tiro per quanto riguarda le tue uscite video...

Ci parli del collettivo di artisti che ruota oggi intorno ai tuoi progetti?

CM: Non ce n'è uno. Originariamente, NichelOdeon ha voluto essere una band. C'ho provato prima con Zago e Fasoli degli Yugen, più, un sintesista che mi ha chiesto di non essere associato alla band in dichiarazioni future, in quanto divenuto “uomo reggae” e che dunque, chiamerò “L'Innominabile”. Il futuro di un progetto lo vedi subito, nella risposta ai concerti da parte di addetti al settore, amici, confidenti. E' risultato chiaro, che il percorso di quella formazione avrebbe portato pochi frutti, in quanto a riscontri e tutti se ne sono allontanati, per dedicarsi a qualcosa di proprio. E' andata alla stessa maniera con la formazione che ha generato Il Gioco del Silenzio, NO e che ha preso parte a L'Enfant et le Ménure (in buona misura, pure a Bath Salts). Se non arrivano prospettive economiche, ognuno pensa ai suoi, di progetti. Penso sia normale. Oggi NichelOdeon/InSonar, teoricamente siamo io, l'arpista Raoul Moretti, la violinista Erica Scherl e qualche miriade di collaboratori/sostenitori della causa. Si tratta di un collettivo multidisciplinare. Di fatto però, chiamano solo me, per due esibizioni a cappella l'anno, con 30 euro di compenso e io mi son rotto le balle di incidere e di fare lo “sperimentatore di turno”, magari anche sotto la bandiera di qualche tributo a Demetrio Stratos. Stratos il suo tributo se l'è dato da solo, remando contro tutti e producendo qualcosa d'eccezionale. Non ha bisogno certo che il Claudio Milano di turno, vada a cantare in una serata a suo nome. Che chiamino qualcun altro a tappar buchi tra i loro 3 gruppi indie della serata, che il giorno dopo distingui solo, nel ricordo, per l'acconciatura. Un tempo i musicisti avevano groupie a carico, oggi sono loro stessi, groupie della loro musica, della loro immagine e della loro memoria. Puttane di bassa leva e senza neanche particolare poesia bohemienne, perché borghesi e noiosamente identiche.

FP: Com’è cambiato il mondo musicale, da quando hai iniziato, ad oggi?

CM: Ho iniziato a cantare musica popolare napoletana e canzoni tra le due guerre, a 3 anni, dopo che mia sorella (che ora ascolta Madonna e techno, da sottofondo alla sua ora di fitness) mi aveva fatto salire su un palco per cantare Heroes di Bowie. A 12 scrivevo canzoni (alcuni di quei temi, figurano nei dischi pubblicati in anni recenti) e cantavo in cover band dal repertorio assortito (non esisteva ancora la legge dei cloni, nella stessa sera si suonavano Velvet e Floyd, Purple, Straits e Alice in Chains). Si andava ovunque ci venisse offerto qualche soldo. All'epoca le etichette avevano un ruolo nella produzione. Investivano economicamente, per l'incisione, per rassegna stampa e booking. Oggi questo non accade più. Ogni disco è un'autoproduzione al quale una label fornisce un marchio, in cambio di metà delle copie, la cui stampa è a carico dell'autore, come qualsiasi spesa. A volte viene richiesta la cessione dei diritti d'autore. Cosa si dà in cambio? Uno o più distributori, la garanzia di un paio di recensioni, punto. In breve: un numero di catalogo (perché la parola “autoproduzione”, in Italia, è sinonimo di “demo”, per chi scrive di musica). Non solo, quando ero diciassettenne il termine avanguardia aveva un senso, i ragazzi erano affamati di underground, si compravano i dischi e la stampa aveva un ruolo autentico nella loro diffusione. Si cercava la “personalità”. Oggi si muove tutto verso l'omologazione. Nulla è epocale, creato per lasciare un segno, tutto è mestiere. Ci sono però eccezioni e andrebbero beatificate. Si parlasse di queste nei telegiornali, la nostra vita acquisirebbe tutto un altro sapore, saremmo più felici, sicuri di noi stessi e fiduciosi nell'avvenire.

FP: Sembra che si assista ad una frammentazione sempre maggiore delle uscite musicali. Molte proposte, meno persone che emergono. E’ una mia sensazione?

CM: In tempi di crisi culturale, si ricorre a certezze. Un famoso scrittore di musica italiano, noto per i suoi libri sul prog e su Battisti, mi ha detto che avrebbe pubblicato un pezzo su Ukiyoe, a patto che il nuovo disco di Bob Dylan che canta Sinatra fosse uscito a fine anno (pur sapendo che l'uscita del disco karaoke dell' ormai, ameno-strello, era prevista per Marzo), come a dire “ma chi cazzo sei tu, quando posso ascoltare le solite cose da 60 anni a questa parte?”. Un altro, noto per odiare Beatles e nomi altrettanto noti, mi ha detto che lo faceva “se gli regalavo una giornata di 36 ore” e che già una sua risposta, era un attestato di stima. La musica sta diventando un passatempo per figli di papà, se del resto i dischi non si comprano e non si fanno tournée, uno come fa a campare? Non solo, qui ritorna una questione vecchissima. Per far buona musica e durare a lungo creativamente, bisogna non solo aver qualcosa da dire, ma averne pure i mezzi tecnici, conoscenza, sviluppare costantemente ricerca, per non ripetersi ed emozionare sé stessi, prima degli altri. Uno che lavora 12 ore al giorno facendo il muratore, non diventerà mai Miles Davis, ma neanche David Byrne, così come Michelangelo avrebbe fatto una crosta, invece della Sistina ad aver fatto il panettiere di mestiere. Se uno lastrica strade con asfalto, non potrà mai fare il cantante lirico, tantomeno il sopranista. La genialità si consuma assai in fretta, se legata ad una sola intuizione, così come il mondo pop divulga. Oggi, ci vorrebbero dei nuovi Bach e Beethoven, gente che fa, quotidianamente, dell'arte una fusione tra scienza e artigianato, che genera, nuove estensioni nel pensiero, nella visione, nella percezione.

FP: E’ più difficile vivere di musica, rispetto ad un tempo?

CM: Dipende da come uno vuol viverci. Alio Die, ce la fa, a neanche cinquant'anni ha pubblicato 60 album ed è un italiano, chiedilo a lui, come fa. C'è meno spazio per fare le rockstar, certo, ma uno può sempre dedicarsi alla didattica, o se si rende conto di non aver niente di essenziale da dire, andare ad infoltire le orchestre delle balere. Va di moda il vintage e lo sarà sempre di più (tutti a far karaoke, Patton, Gabriel, la Nannini, Giusy Ferreri, Fiumani, Brian Wilson, Rita Pavone... e i critici applaudono in coro... che teneri!). E' più difficile, comunque, ma non è mai stato semplice, tanto più nell'eterna provincia del mondo che è l'Italia, dove si “prende l'arte e la si mette da parte”, crolla Pompei e speriamo crolli tutto, perché tanta bellezza donataci dai nostri nonni, non la meritiamo. Non sappiamo gestirla, sarebbe più onesto (rivedendo il blocco del TAR in materia) vendere opere e musei ad enti stranieri, garantendoci qualche introito nel terziario. Risaliremmo la china più in fretta, metteremmo uno sgambetto pauroso alle mafie (che sono e saranno la nostra rovina in eterno, perché scheletro della nostra cultura), fantascienza eh? Si, ovviamente, perché noi siamo mafiosi, tutti, quanto siamo razzisti e ipocriti, convinti che la nostra visione dell'etica, della logica, siano assolute, sempre pronti ad archiviare orrori personali, in qualità di “venialità”. L'Italia è sempre stata dipendente da altre nazioni, economicamente e culturalmente, ma ha saputo coltivare alcune delle menti più fervide del mondo, nel sapere fornire visioni “altre”, profondamente innovative, perché strutturate su una tradizione millenaria e “curiosa, fervida”. Il benessere economico ci ha fatto dimenticare il valore dei “bisogni reali”, incluso quello della creazione di valore (e l'arte E' valore). Prima di qualsiasi altro paese occidentale, abbiamo mostrato il lato “comico” della nostra parabola culturale (la Grecia, default a parte, ha mantenuto, più dignità di noi), dove tutto diviene accettabile e accettato, come nel trapasso dalla tragedia alla commedia greche, divenendo un paese barzelletta. Siamo ora, tutti in attesa di quella “Sottomissione”, evocata da Houellebecq, ad una furia dei paesi che non abbiamo neanche considerato nei nostri libri di storia, se non come “barbari” (dell'arte inclusa, ammesso che ne sia sopravvissuto qualcuno, di libri d'arte, con l'attuale riforma scolastica). Quei “barbari”, di bisogni reali e urgenti ne hanno, eccome. Mi fanno ridere quei coglioni che gridano al delitto per le statue (o copie di esse) distrutte per mano dell'IS. Ma quando mai le avete considerate quelle statue, al pari di quelle di un Bernini? Cosa ne sapete di quella cultura voi, se non attraverso un depliant di un viaggio esotico? Siete patetici. Se per ogni morto nelle case mediorientali, ce ne fosse uno in casa vostra, solo allora capireste. Intanto siete dei dissociati, viziati e banali. Tornando alla musica, in Italia, le band del Belpaese, hanno un emivita compreso tra uno e tre dischi. Si parte sempre con adeguate speranze e poi bisogna fare i conti con la realtà. C.S.I., Starfuckers, Deasonika, Butcher Mind Collapse, Disciplinatha, Scisma, per citare nomi importanti, son durati uno sputo, eppure eran tutti perfettamente inseriti nel proprio tempo e avevano attitudine anglofona. Figuriamoci che fine possono fare le band che non hanno pretese “trend”, quanto vuoi che durino? Li vogliamo santi questi musicisti? Vittime sacrificali? Chi cazzo te la fa fare a stare in piedi, se sai a priori che Blow up., Rockerilla, Rumore, t'incensano e al momento di dedicare una copertina, ci sbattono sopra Riccardo Sinigallia, Edda, Baustelle, Vasco Brondi e tutto quello che suona come dal 1990 ad oggi? Semplice! Come fai a mandare al Mi Ami o al MEI gente come i Deadburger Factory o Dalila Kayros? E' una fottuta lobby schiacciamusici, che ammazza tutto quello che di nuovo c'è, se non qualche adeguata mediazione (Bachi da Pietra docet, seppur grandi). L'Italia è un paese di centro-destra, lo è sempre stato, anche quando era travestito da popolo culturalmente sinistroide, non capiva un accidente di quanto promuoveva. Se Scott Walker, Diamanda Galas, Richard Dawson, fossero portati a suonare in un paesino del sud Italia, annunciati come provenienti dal paese accanto e non come dei nomi con una storia, sarebbero presi a sassate dopo il primo pezzo. Una band indie, basso, batteria e chitarra, sta alla musica odierna, come “Romagna Mia” a quella dei nostri genitori. La musica in mano agli italiani è come il vaccino per il cancro in mano a un morto.

FP: Ci puoi anticipare qualcosa dei tuoi progetti futuri?

CM: Credessi in Dio, mi chiuderei in un monastero. Ho da pensare a come procurarmi da mangiare, come un cane appoggiato al cassonetto dell'immondizia, magari facendo telemarketing in un call center dove chiamare te, per cercare di venderti qualcosa e prenderti in giro, con tutte quelle clausole scritte in corsivo e minuscolo, alla fine di un contratto. Clausole che nessuno legge e nessuno ti spiegherà e che ti porteranno a spendere cifre inaspettate, senza poter controbattere. Nei call center, tutti hanno altre aspettative dalla vita e guai a pronunciare mezza lamentela, c'ho lavorato 6 anni, in Doxa. La quasi totalità degli operatori telefonici però, ha un profilo culturale medio-basso, o ha grossi problemi di autostima. C'era un usciere cinquantenne, in Doxa, che millantava grandi capacità da musicista e scoraggiava tutti i giovani, me in primis. Tempo fa, son tornato coi miei dischi, non valgono un cazzo, ma è stato, comunque, un “fottiti idiota”. Poi dovrò pensare a come metter qualche soldo da parte per muovermi verso un posto che accetti di ricevere i miei stimoli, dandomene in cambio di suoi. Schiavo del denaro, come tutti, sto regalando momenti importanti della mia vita a un sistema cultural/provinciale, che vuol rimanere ignorante, violento e volgare e che purtroppo, giorno dopo giorno, sta ledendo la mia personalità nella sua struttura, costretta a difendersi, ma senza risultato. Le minoranze sono e rimangono, un brufolo della storia. Niente musica nuova per molto tempo, non mia. Solo partecipazioni a dischi di altri e date, laddove sarà possibile. Qualche free download, da regalare a quei quattro che mi seguono davvero, forse. Se la situazione non dovesse cambiare in fretta, farò in modo che la morte arrivi, sembrando “casuale”, non ha senso dare ai propri genitori la sofferenza della certezza di una morte cercata, come non ha senso però, fare l'eroe quando a nessuno gliene importa un accidente o, ruotare per inerzia, appresso ad un sistema che non approvo. Santé!

Link esterni:
Ukiyoe
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InSonar su Soundcloud
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Claudio Milano - reading - Taranto, 2014 (foto di Luigi Pignatelli)
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Arcore Street Festival - Rileggere la Beat Generation (Claudio Milano con Giulio Corini e Massimiliano Milesi)
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Claudio Milano (Adython Project c/o Maison Musique, Rivoli, 2012)
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NichelOdeon c/o Amigdala Theatre, Trezzo sull'Adda, 2010. Video by Charles Napier
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NichelOdeon/InSonar (Claudio Milano e Raoul Moretti) c/o Arci Pintupi, Verderio Inferiore, 2013
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NichelOdeon c/o Cinetratro Lux, Cantù, 2009 (con Manuela Tadini. Video di Charles Napier)
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Adython Project (Claudio Milano e Valerio Cosi) c/o Indigeni Art Fest, Fragagnano, 2013