Nicola "Setak" Pomponi: Intervista del 07/05/2020

Pubblicato il: 07/05/2020


Setak: “Blusanza” Zitta Zitte spunta un grande disco

Quasi un anno fa, di questi tempi, uscì un disco che mi colpì molto da subito, si trattava di “Blusanza” del chitarrista e cantautore abruzzese Nicola Pomponi, in arte Setak. Un titolo originale, un dialetto, quello abruzzese o meglio di Penne, poco utilizzato nell’ambito della canzone d’autore e undici tracce che per la qualità dei pezzi sarebbero potuti benissimo essere undici singoli. Un disco d’esordio di grande maturità. È passato ormai un anno, lo ascolto ancora con piacere e, grazie anche a questa quarantena, ho pensato bene di andare a disturbarlo per una chiacchierata.

Questa emergenza coronavirus, la conseguente quarantena impostaci, per molti è stata anche motivo di riflessione sulla propria vita, sulla propria attività. Tu, personalmente, sei reduce dal tuo primo disco Blusanza, se dovessi fare un primo bilancio di questo esordio discografico che conclusioni trarresti?

Si, devo ammettere che la quarantena è stata anche una preziosa occasione per riflettere. Riguardo al disco sono davvero felice di come sia stato accolto. Essendo un progetto con un percorso tutto suo, mi dispiace che si sia fermato tutto perché stavano succedendo cose importanti proprio in questo periodo. Non ci resta che prendere il buono da questa situazione (e di cose buone ce ne sono molte) ed avere molta pazienza.

Ecco, credo valga la pena di parlare un po' di questo tuo primo disco che appena ho avuto tra le mani mi ha colpito sia per il titolo quel Blusanza che è un neologismo che unisce il blues alla transumanza, sia per la copertina che ti ritrae trattenuto desiderato da mani il cui colore tradisce origini diverse. Mi piacerebbe che mi spiegassi queste scelte comunicative.

Si, l’idea era quella di trovare un nome che riuscisse a riassumere il concetto del disco che è nato dall’esigenza di sintetizzare tutte le mie esperienze musicali e umane, il rapporto con la mia terra e con il mio dialetto, tutta la musica con cui sono venuto a contatto. Blusanza, ovvero blues e transumanza, sentimento e appartenenza, è una miscela di influenze musicali (il blues, imprescindibile per la mia formazione che ho mischiato ad altre realtà musicali di varie parti del mondo). Su tutto questo ho innestato il dialetto della mia terra adeguandolo espressivamente a una mia personale esigenza di intimismo. Per quanto riguarda la copertina c’è da dire innanzitutto che è stata un’esperienza fortissima. Volevo qualcosa che traducesse in un’immagine il concetto di esperienza. Ho immaginato a delle mani su di me che rappresentassero la storia, i luoghi, le esperienze della mia vita. Poi ci sono io con l’espressione di uno che accetta con serenità tutto questo. È stata scattata a Lione dal mio amico fotografo Jacopo Butticè il quale, dopo avergli comunicato l’idea, si è occupato di trovare persone di diverse etnie ed età. Io ovviamente non conoscevo queste persone e volevo che fossi toccato e anche infastidito. Dopo i primi momenti di timidezza e imbarazzo, mi hanno letteralmente torturato. Si era creata una situazione surreale, non potevamo comunicare verbalmente per via della lingua ma c’era un’energia bellissima, giornata memorabile.

Dire che per via della lingua non potevate comunicare e scegliere di usare il dialetto per il tuo primo disco potrebbero sembrare una contraddizione. Il dialetto in campo musicale è per te un ostacolo alla diffusione del proprio mondo musicale o, al contrario, un arricchimento, il creare un legame stretto, inscindibile, con le proprie radici?

Si è vero, ho scritto che non potevamo comunicare verbalmente ma ho anche scritto che si era creata un’energia bellissima, memorabile. Questo è esattamente quello che vorrei succedesse con la mia musica. Io credo che il dialetto, almeno nel mio caso, non sia un elemento determinante ma semplicemente un pezzo del puzzle. Nelle mie canzoni parlo al mondo, racconto di cose in cui potrebbero rivedersi tutte le persone di qualsiasi parte del mondo e come mezzo di espressione ho usato la mia lingua d’origine, l’abruzzese.

Ricordo bene che il disco è stato anticipato dal singolo Alé Alessa’ con un video bellissimo, direi surreale, in cui tu sei su un ascensore e ad ogni piano si aggiungono strani personaggi, ognuno reclama spazio, ma ad un certo punto da delle borse porta strumenti vengono estratti come per magia chitarre, banjo, tamburelli e la musica sembra mettere tutti d'accordo in un clima festoso. È un po' quel messaggio di cui si vuol fare portavoce il disco stesso?

Si, prima dell’uscita del disco sono stati pubblicati tre pezzi e Alé Alessa’, in effetti, è stato l’ultimo. In realtà non ho mai pensato a questo e non ho questa presunzione però se a qualcuno dovesse trasmettere questa sensazione, ben venga!

Magari per qualcuno lo è stato, come accade nel video. Anche durante questa lunga emergenza ho notato che la musica per tanti è stata di aiuto. Le dirette Facebook, il cantare sui balconi ne sono degli esempi eclatanti. Non dico che un disco possa salvare la vita, ma un buon disco come il tuo può sicuramente renderla più piacevole. Se dovessi scegliere una canzone del disco cui non rinunciare per alcun motivo al mondo, quale sarebbe? E per quale motivo?

Cattiveria pura! ☺ Questo tipo di domande mi stendono, troppo difficile. Sarebbe come chiedere a un padre quale figlio salvare. Se mi chiedessero di salvare una canzone del disco in cambio della vita sceglierei molto probabilmente Dumane ha ‘ggià ‘rrivate. In quel pezzo c’è tutto.

Bellezza pura, in questa risposta c'è davvero tutto l'amore paterno per la propria creatura. Restiamo ancora al disco e precisamente al nuovo singolo appena pubblicato in questi giorni, ossia Pane e 'ccicorje, il cui tema è decisamente in tema con la separazione imposta in questa lunga quarantena. È nato con il contributo dei tuoi ammiratori se non sbaglio, mi racconti genesi del brano e del video appena realizzato?

Si rispondere non è stato facile perché questo non è uno di quei dischi in cui ci sono due singoli e il resto messo lì per riempire il vuoto. Ogni brano ha avuto una storia unica a cui ho dedicato tutto me stesso. Prima di parlare del nuovo disco (evento ovviamente rimandato) volevo porre l’attenzione su quei brani del disco che non hanno avuto la visibilità degli altri. Il primo è appunto Pane e ‘ccicorje (che casualmente tratta di un tema molto in sintonia col momento che stiamo vivendo) di cui avremmo dovuto girare il video proprio nei giorni dell’emergenza. A quel punto abbiamo chiesto aiuto ad amici, fan ed a tutti quelli a cui avrebbe fatto piacere partecipare. A mio avviso ne è uscito un lavoro davvero bello, mi sono emozionato la prima volta che l’ho visto.

Che sia proprio come dici tu, lo dimostra il fatto che nel gioco al massacro tu, sebbene a malincuore, abbia scelto di salvare la canzone che chiude il disco, segno che non si tratta di un riempitivo ma forse il brano che più ti rappresenta. Personalmente adoro Zitta zitte, sarà forse perché in quell'espressione sembra stare racchiuso un modo di pensare tipico degli abruzzesi, quel sottrarsi dai riflettori anche quando invece meriterebbero di essere illuminati dall'occhio di bue, un po' come quell’artista che ha scelto di chiamarsi Setak. Sarà forse il nuovo singolo?

Si, dici bene. Zitta zitte forse è il pezzo che più di tutti parla ai miei conterranei. Più che altro descrivo personaggi e situazioni molto frequenti nei contesti di paese. Un altro aspetto che hai colto sono i modi di dire come appunto “Zitta zitte” che caratterizzano il pezzo. Infatti quando uscì la canzone molte persone mi hanno chiesto a quali personaggi reali mi fossi ispirato e ovviamente questo rimarrà un segreto! Sicuramente sarà, se non il prossimo, uno dei pezzi su cui metteremo l’accento nei prossimi giorni. Riguardo al discorso sui riflettori devo ammettere che il progetto non aveva questo come obiettivo primario ma un’eventuale maggiore attenzione mediatica non la disdegnerei.

Per chiudere il discorso su Blusanza, ad inizio intervista hai detto di essere rimasto molto dispiaciuto che questa emergenza coronavirus abbia impedito lo svolgersi di alcuni eventi legati all'evoluzione del progetto, cosa stava bollendo in pentola?

Beh, oltre ai diversi concerti che non vedevo l’ora di fare in posti molto belli ci sarebbe stato l’evento più importante, ovvero l’uscita del secondo album.

Forse è prematuro parlarne, ma hai anche fatto cenno ad un nuovo disco, credo che guardare al futuro sia un'iniezione di fiducia per tutti. Mi dici qualcosa di più sul prossimo progetto?

La prima cosa che mi verrebbe da dire è un po’ quella che dicono tutti gli artisti prima dell’uscita di un loro lavoro. Sarà una bomba! Autoincensamenti a parte devo dire che sono davvero contento e non vedo l’ora di farlo uscire. Se dovessi trovare una diversità con il primo, questo è decisamente più estroverso e le tematiche hanno un valore ancora più universale. La cosa certa è che lo spirito è rimasto lo stesso del primo album.

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