Luigi Mariano: canzoni all’angolo, per scelta
A sei anni dal suo esordio ufficiale con”Asincrono” (2010), disco accolto molto bene dalla critica e oggetto di più premi, Luigi Mariano, cantautore salentino, ma romano d’adozione, è appena tornato sulle scene con “Canzoni all’angolo”, un nuovo album, maturo, molto personale, in cui è emersa anche una vena rock forse fino ad ora repressa. Con lui, in questo nuovo lavoro, vi è la presenza di numerosi ospiti, per un disco tra i più belli di questo 2016. Ecco cosa mi ha raccontato.
Il tuo disco "Asincrono" del 2010 è stato un disco molto ben accolto sia dal pubblico sia dalla critica e ripetersi, si sa, non è mai impresa facile. A distanza di sei anni da quel fortunato esordio torni al tuo pubblico con "Canzoni all'angolo", un disco che hai voluto simbolicamente dedicare a tuo padre scomparso due anni fa. Mi racconti la coloratissima copertina di questo tuo nuovo disco, che immagino sia ben più di una riuscita immagine fotografica.
Il nuovo disco è dedicato a mio padre Salvatore, che ho perso due anni fa. Era un commerciante di generi alimentari ed ha passato un'intera vita di duro lavoro tra uffici, camion, carrelli elevatori e pallet. I pallet in copertina, appesi alla parete alle mie spalle, sono dunque un omaggio al suo lavoro e rappresentano le radici da cui partire, per trovare la propria strada. Ho voluto simbolicamente dipingerli con i colori della mia creatività artistica, riscattando la sua vita fin troppo convenzionale. E, staccandomi da quella parete, ho preso la mia strada verso la chitarra, ossia la musica. In generale i colori della copertina rappresentano anche la mia reazione vitale (che musicalmente, nel disco, sfocia nel rock) alle tante amarezze vissute, di cui queste canzoni sono molto intrise.
Poiché hai parlato di amarezze, vorrei affrontare il titolo del disco che è anche quello della canzone in cui duetti con Neri Marcorè. Quanto pesa sentirsi sempre messi all'angolo? Oppure è quasi meglio tanto da cantare "quasi quasi ci ripenso e torno qui nell'angolo"?
Non essere capiti, o addirittura risultare totalmente invisibili, credo sia una pena per chiunque svolga un lavoro creativo che presupponga l'urgenza di comunicare con gli altri. Le canzoni all'angolo sono quelle dei tanti artisti di nicchia, a volte di estrema qualità (e non certo solo nella musica), di cui questo Paese spesso abbonda, ma cui non sempre la sorte offre poi una chance concreta per emergere. Finisce così con lo schiacciarli ancora di più nel loro piccolo cantuccio, scoraggiandoli, fino a spezzar loro le ali e costringerli a sparire. Questo può accadere in ogni campo delle attività umane, non solo nel campo artistico. E' anche vero che, se si riuscisse a considerare "l'angolo" in modo diverso, ossia con meno frustrazione e con più amore per la riservatezza o per il basso profilo (concetti quasi inconcepibili, oggi), forse se ne potrebbe riscoprire un aspetto interessante, decisamente controcorrente rispetto a tempi così egocentrici e caotici, in cui tutti aspirano ingenuamente al viavai del centro piazza.
Com'è nata l'idea di cantare questo brano a due voci l'altra, come detto, quella di Neri Marcorè?
Avevo incrociato fugacemente Neri nel 2007, mentre suonavo in un locale romano di San Lorenzo: una stretta di mano e via. Nient'altro. L'ho rivisto a cena alcuni anni dopo e ho scoperto (con stupore) che mi stimava: aveva nel suo cellulare le canzoni del mio primo disco "Asincrono". Ho avvertito molta empatia reciproca, oltre che gusti musicali simili (Gaber su tutti). Così ho preso coraggio e ho pensato di proporgli il brano "Canzoni all'angolo": il suo garbo e la sua discrezione caratteriale, seppur di un artista ormai famoso e popolare, mi parevano sposarsi bene col concetto di "angolo" e di rapporti tra fama e invisibilità. O quanto meno, mi pareva potessero risultare argomenti a lui molto comprensibili, per sensibilità e visione del mondo. Così è stato e ne sono felicissimo. Anche perché Neri, dopo aver ascoltato tutto il disco in studio, ne ha amato profondamente ogni brano, abbracciandomi alla fine dell'ascolto di ogni traccia.
Quello con Neri non è l'unico duetto presente nel disco, un altro duetto molto divertente anche per l'ironia che pervade l'intero brano, dal titolo "L'ottimista triste", è quello con Mino De Santis. Vorrei che mi parlassi del brano e di lui, a più forse sconosciuto ma personaggio di grande talento.
Conosco Mino appena dall'estate del 2012, ma sembriamo amici d'infanzia. C'è una corrispondenza emotiva fraterna, che ci ha portato con facilità a scrivere assieme "L'ottimista triste", sebbene Mino (da cavallo di razza e battitore libero) vesta abbastanza di rado i panni del coautore. L'idea musicale del brano è mia, nonché la psicologia del personaggio (sfigato ma ottimista) e il titolo. Ho presentato a lui un mio testo che mi convinceva poco e gli ho chiesto di metterci mano. Il personaggio è rimasto identico, ma fa cose completamente diverse dal mio testo precedente. E inoltre è più simpatico e accattivante. Mino De Santis è un miracolo e un tesoro inestimabile, non solo per il Salento. La sua poesia, profondissima e popolare, ironica e geniale, è patrimonio dell'umanità. I suoi bozzetti della vita di provincia, con le piccole ipocrisie di paese, ma anche con la bellezza dei ricordi e della terra, rimandano a un Salento più antico e romantico, fatto di dignitosa semplicità, che in certe sacche resiste ancora ma che purtroppo si sta perdendo. Per simili artisti come Mino, non sarà mai la lingua dialettale l'ostacolo per la loro diffusione, anche a livello nazionale: il talento straripa e la poesia si fa strada ovunque.
Dev'essere che artista valido attira artista valido se, in un altro tra i brani più interessanti e allo stesso tempo ironici del disco ti sei trovato a condividere il brano "Fa bene fa male" con uno tra i musicisti più sensibili del panorama italiano, ossia Simone Cristicchi. Com'è nata questa intelligente canzone e come mai hai pensato di condividerla con Simone?
Ci siamo conosciuti in un locale romano di San Lorenzo nell'estate del 2003, in cui suonavamo entrambi, e abbiamo scoperto d'avere molto in comune, soprattutto l'amore per il teatro civile e per la canzone d'autore del passato. Gli regalai tutti i monologhi di Gaber, che non conosceva: lo folgorarono. Lui ricambiò donandomi la videocassetta (forse non esistevano ancora, in giro, i DVD!) di "Vajont", l'indimenticabile spettacolo di Marco Paolini. L'amicizia è stata immediata, insomma. L'ho incoraggiato in tutto il suo percorso, fino alla vittoria di Sanremo, e certo io non mi sono meravigliato della sua decisa svolta teatrale, sulla scia dei suoi maestri Paolini, Celestini o Mario Perrotta: fin dall'inizio era attratto da quel mondo. Tanti anni fa mi regalò un monologo-sfogo, scritto da lui e recitato da un suo amico attore, che si chiamava "La musica dei supermercati": era un elenco di nomi dell'attualità, un po' critico, snoccciolati da un recitato incalzante e parossistico. Quando ho scritto "Fa bene fa male", nel novembre 2015, ho subito pensato a lui, perché anche la mia canzone conteneva un elenco-sfogo, tra Rino Gaetano e Remo Remotti. Simone ha accettato subito: "La faccio!", mi ha risposto. Ed è stato di parola.
Dentro questo tuo nuovo progetto trova dimora "Come orbite che cambiano", una dolcissima canzone dedicata apertamente a Stephen Hawking e alla sua prima moglie Jane. Che toccanti i versi finali "Mettimi gli occhiali portami i giornali come tanto tempo fa" ... com’è nata questa canzone?
La scintilla è arrivata da un film che mi ha toccato il cuore, "La teoria del tutto", con l'interpretazione magistrale di Eddie Redmayne, premio Oscar miglior attore protagonista, nei panni appunto dell'astrofisico Stephen Hawking. Di Hawking avevo sentito parlare per la prima volta vent'anni fa da un mio coinquilino abruzzese che studiava Fisica e che mi aveva passato alcuni suoi libri molto divulgativi sullo spazio. Mi sono ritrovato al cinema, nel gennaio 2015, e ho capito che sullo schermo andavano in scena la nascita e poi la fine di una grande storia d'amore, in cui la malattia dello scienziato era diventata una gabbia asfittica e mortale, sia per lui sia per sua moglie. E la decisione di Hawking di lasciare Jane, che tanto aveva fatto per lui, era in realtà un grande atto d'amore: un modo per liberarla. Queste dinamiche dolorose mi hanno fatto pensare alla fine di una mia storia d'amore del passato, molto importante. E ho capito che, così come successe per "Edoardo", potevo utilizzare anche stavolta la storia di qualcun altro per parlare di me in modo sincero e forte. La musica al piano già c'era da qualche mese e aspettava l'ispirazione giusta: ho solo dovuto scrivere il testo su quei binari musicali.
C'è una canzone in questo disco che mi ha subito affascinato sia per l'intelligenza con cui è stata scritta sia per la veste musicale che le è stata cucita, mi riferisco a "Scambio di persona". Come t'è venuta l'idea? Ogni scambio di persona è una fuga dalle proprie responsabilità? Vuol dire questo il verso "diventiamo dei serpenti a ogni scambio"?
Esattamente. Ho pensato a Erri De Luca e a come, per difendere una semplice idea, sarebbe stato disposto a finire persino in galera. Ho pensato che uno come lui fosse una vera eccezione italica. E che invece, per la maggior parte, esistesse tanta vigliaccheria in giro. Ecco, volevo raccontare questa vigliaccheria infantile e creare un personaggio "opposto" a Erri De Luca: ossia uno che, pur di salvarsi, avrebbe rinunciato del tutto alle sue idee. Il brano è un rock blues energico e abbastanza classico, che cerca di fare appunto a pezzi uno dei difetti peggiori degli italiani: il non volersi mai assumere le proprie responsabilità. Partendo dalla precisa volontà di scrivere un brano sul tema, ho fatto venir fuori una vicenda dai contorni surreali ed estremi, con finale a sorpresa, in cui cercavo contrappassi punitivi all’estrema meschinità e negatività del personaggio.
A volte, uno le responsabilità le fugge per meschinità, a volte, invece, uno la vita cerca di viverla a pieno, mettendoci tutto se stesso però non è detto che si usi le "armi" giuste. In "Mille bombe atomiche", il brano che apre il disco, al protagonista che si guarda allo specchio fai dire "E con le bombe una ferita non la puoi richiudere". E' sempre così difficile essere a posto con la propria coscienza?
Per chi ha un alto senso dell'etica e dell'onestà intellettuale, sì: è difficile. Si cerca sempre il pelo nell'uovo per criticare se stessi. Se quest'atteggiamento sconfina verso l'ossessione, credo sia un difetto grave e vada limato e corretto. Se invece è vissuto solo come generica "tendenza" a far bene, credo di preferirlo agli atteggiamenti sbarazzini e spregiudicati del personaggio di "Scambio di persona". Penso che ciò che conta sia essere veri. Quando lo si è, anche i "grilli parlanti interiori" arrivano ad azzittirsi. Ammetto che questo è ciò che è accaduto totalmente con questo disco: ho davvero pochissimo da rimproverarmi, perché è semplicemente la mia fotografia di questi ultimi quattro anni. Qualsiasi cosa diversa sarebbe stata una forzatura poco sincera. E anche il brano d'apertura, "Mille bombe atomiche", rappresenta al massimo questo denudarmi: è stata scritta mentre mio padre era in fin di vita e rappresenta tutta la rabbia malinconica e le esplosioni intime ed emotive che sentivo nello stomaco, avvolto dalla consapevolezza che non sarei riuscito a salvarlo. Questo mi rendeva fuori di me. Allo specchio non riuscivo più a riconoscermi, ma anche in quella rabbia, che mi aveva alterato lineamenti e comportamenti, a guardarci bene c'ero io: con la mia verità e difficoltà di quel momento.
In questo tuo nuovo lavoro credo ci siano versi folgoranti, tra questi quelli che chiudono la delicatissima canzone "Quello che non serve più": "Avrò provato a far entrare tutto il mare in un secchiello finché tutto era possibile ma poi ho capito che era solo un grande abbaglio e ho cominciato a vivere". Di una bellezza disarmante ... me ne parli?
Citi uno dei brani più personali e spudoratamente sinceri del disco. La canzone nasce dal ricordo del carattere di mio padre e di ciò che mi ripeteva: "Non buttare mai nulla, perché può sempre servire". La sua generazione era nata da genitori (i miei e i nostri nonni) che arrivavano dalla guerra, da tante privazioni. La necessità di risparmiare e dare valore a ogni piccola cosa li aveva indotti a insegnare ai figli come utilizzare al meglio anche i materiali di scarto, per reinventarsi ogni giorno oggetti utili, magari da costruire con le proprie mani da qualcos'altro. Mio padre era il primo di otto figli e su di lui certo la trasmissione di un'eredità ideale era stata più diretta e ossessiva. Perciò mio padre non buttava mai via le cose. Dopo la sua morte, per esempio, ho scoperto nel suo ufficio pile di vecchi giornali e tantissimi altri oggettini, accumulati senza un motivo apparente, se non (credo) il legame con un qualche ricordo. Metteva sempre da parte mio padre, in qualche angolo: anche cose inutilizzabili o in apparenza inutili. Per imitazione, sono stato come lui per molto tempo. Quante cose inutili conserviamo nel nostro hard disk, per esempio? Ho compreso poi negli anni, divenendo adulto, che invece bisogna avere il coraggio di rinnovarsi, di cestinare e di smettere di raccontarsi la favoletta del "tutto può sempre servire". Smettere insomma di obbligare il nostro infinito "mare intimo" a restare stretto in un secchiello. Valiamo di più. E abbiamo più possibilità. Lo si può capire staccandoci dalla paura di perdere per strada pezzi del nostro passato e aprendoci al nuovo. Via le zavorre: si può davvero rinascere.
Se sei d’accordo abbandonerei questo viaggio a zig zag tra le tracce del disco, anche per lasciare ai lettori il piacere di scoprire il resto (tra cui anche una cover in italiano di “The ghost of Tom Joad” di Bruce Springsteen). Chiuderei l’intervista con una notizia fresca fresca, la vittoria con "Canzoni all'angolo" del Premio Lunezia DOC 2016, uno dei premi più importanti nell’ambito della canzone d’autore. Magari questo riconoscimento non riuscirà a far uscire queste tue nuove canzoni dall’angolo però …
Il "Premio Lunezia" ricevuto dal mio disco è giunto all'improvviso, in modo inatteso e non cercato: sarà questo forse uno dei motivi del mio genuino entusiasmo alla notizia (oltre che per il prestigio del premio). È un orgoglio poter dividere un simile riconoscimento con tutti coloro che ci hanno speso tempo, cuore, energie e anche soldi per realizzare l'obiettivo comune e dar vita a "Canzoni all'angolo". Se il disco avrà fortuna o meno, e o se uscirà dall'angolo per raggiungere il centro piazza, io non lo so. Sarebbe bello che viaggiasse per conto suo: è un desiderio comune tra i bravi genitori, nei confronti dei figli. Quindi auguro al disco di viaggiare tanto e di farsi conoscere e apprezzare in giro. Da parte mia, e da padre riservato, dico che restare un po' all'angolo a osservare da lontano la crescita di un figlio, in fondo, non mi dispiacerebbe.
Il video della canzone “Fa bene fa male”: