Lab Eleven

Nati a Pisa nel 2004 e fautori di un death/thrash di derivazione Americana/Svedese, i Lab Eleven giungono alla pubblicazione del loro primo album, dopo un EP uscito pochi anni fa. Exceed The Veil Of Maya rinchiude in sé poco più di trenta minuti di musica pesante, estrema ma non del tutto esaltante su alcuni fronti. Diciamo che questo mix di influenze estreme sarebbe risultato vincente se accompagnato da una registrazione migliore e dall’inserimento di alcune idee più esaltanti.

Sia ben chiaro che la tecnica strumentale dei nostri musicisti non è da mettere in discussione, tuttavia la sensazione che si ha, anche dopo ripetuti ascolti, è quella di incompletezza. Dunque, andiamo per ordine nella descrizione dell’album: le chitarre mostrano la distorsione tipica della nuova corrente Svedese (HateSphere, Dimension Zero etc.), la voce rimanda ad un growl d’oltreoceano con chiare influenze floridiane e per finire la batteria risulta piatta su più fronti, con uno stile che non dona potenza. Le composizioni, generalmente, sono costruite sulla classica alternanza di mid-tempo/up tempo con alcuni momenti in blast beats e tutto ciò fa sì che non ci sia nulla di veramente esaltante.

La durata prolungata dei brani non fa altro che appesantire ulteriormente strutture che forse danno il meglio solo in corrispondenza delle fasi soliste, grazie ad un tocco melodico particolare che non viene mai completamente allo scoperto. Chiare le influenze dei Cannibal Corpse negli up tempo di Aedes Albopictus anche se troppo sovente la batteria non riesce a sostenere a dovere un sound che necessita di più dinamismo e varietà. Discreto l’uso della doppia voce anche se a tal proposito è meglio dimenticarsi delle clean vocals di Six Pieces, completamente fuori luogo. Di un tedioso incredibile il groove di Life Under Checkmate, mentre un buon riffing thrash metal si può trovare all’inizio di una a volte troppo fiacca e priva di mordente The Novice Butcher.

Altro elemento da portare a galla è lo stile hardcore che a sprazzi invade il sound dei nostri musicisti, intaccandone il riffing e la voce. A tal proposito tiro in ballo la canzone appena citata e la finale, grooveggiante Wake Up to Kill; ovvero due chiari esempi di scontatezza e mancanza di idee su più fronti, nonostante le sezioni velocizzate mostrino spunti discreti. Insomma, di lavoro ce n’è da fare se si vogliono raggiungere delle buone vette compositive. Il missaggio penalizza troppo gli strumenti in favore della parte vocale, mentre a livello di songwriting necessitano idee nuove poiché il prodotto in questione, senza essere un disastro, sarebbe potuto essere sviluppato in modo migliore, come meno fillers. Alla prossima.