Siamo felici di essere riusciti a fare questa intervista a Ian Fisher. L'album "Koffer" del 2016 ci ha sorpreso molto positivamente con la sua commistione folk / rock e volevamo saperne di più, sia sull'artista che sull'album...
Una raccolta di singoli è una buona mossa per farsi conoscere ad un pubblico più vasto. A chi è venuta l'idea e perché proprio ora?
«Non so se pubblicare quest'album sia stata una buona mossa per raggiungere un pubblico più vasto. Che lo sia stata o meno, non era comunque la mia intenzione. Ho pubblicato quest'album perché volevo immettere nel mondo queste canzoni. Non volevo indugiarci sopra. Non volevo che diventassero stantìe. Non volevo che finissero dimenticate in uno dei miei taccuini come centinaia di altre mie canzoni. Ho scritto quasi mille e cinquecento canzoni. Nessuno riuscirà mai ad ascoltarne la maggior parte. Vorrei pubblicarle tutte, ma non posso. Costa migliaia di euro realizzare un album e la maggior parte delle persone si sentirebbero schiacciate, se un artista si mettesse a produrre "troppo". Quindi, Koffer è stato realizzato solo per me e per le persone alle quali piace la mia musica. Ora le canzoni sono a disposizone della gente per essere ascoltate, sono vive. Ora posso andare avanti e pubblicare nuove canzoni».
La copertina, oltre a raffigurare il titolo di uno dei brani più interessanti dell'album (Koffer in tedesco significa valigia), rappresenta anche il tuo essere itinerante. Mi piace aggiungere un ulteriore significato associato al fatto che dentro alla valigia ci si mettono tante cose di tipo diverso, come i brani contenuti, che malgrado abbiano una loro omogeneità, interpretano tanti momenti differenti, essendo stati scritti nel corso di 10 anni.
«Credo ci sia del vero in questa tua interpretazione. E credo che tutte le mie canzoni siano un po' come le valigie, per me. Io scrivo di momenti. Metto le mie sensazioni e i miei pensieri in questi bagagli metaforici e li porto in giro con me. Apro queste "valigie" negli album, affinché le persone le ascoltino. Suono in giro per il mondo con loro. Le apro qui e lì. E ogni volta, condivido quei momenti. e il modo in cui li ho vissuti sulla mia pelle, con chiunque voglia guardarci dentro».
Come primo singolo hai scelto "Candles for Elvis", una canzone a cui sei particolarmente legato. Il testo parla di un veterano di guerra disilluso dalla vita, che inizia a idolatrare ciò che rimane di Elvis Presley a trent’anni dalla sua morte. Un ricordo distorto nel quale trovare rifugio dalla realtà attuale, un pretesto per disinteressarsi della sofferenza altrui.
Non trovi però che molte persone abbiano bisogno di idoli? Di un qualcosa in cui credere, anche se non è reale?
«Le persone NON hanno bisogno di idoli! L'idolatria a qualsiasi livello, specialimente politico, è una cosa pericolosa e inevitabilmente distruttiva. Quando si tratta di mitizzazione di un leader vivente (un re, un dittatore fascista, un capo spirituale o un presidente), seguire ciecamente un idolo significa spesso sacrificare il proprio libero arbitrio, essere scagliati gli uni contro gli altri ed essere utilizzati come teppisti da uno psicopatico egoista e ipocrita. Quando si parla di idolatria verso una figura religiosa o culturale è meno pericoloso ma non è necessario né utile farlo. Ognuno può ovviamente imparare dagli aspetti positivi degli altri e provare a imitarli, ma il "bisogno" di un idolo sulla cui immagine o esempio costruire la propria identità è il tipo di cosa che mi farebbe sentire un estraneo nei confronti di me stesso. Certo, è giusto che la gente abbia qualcosa in cui credere, ma dovrebbe provare a conoscere sé stessa e credere in quello. La consapevolezza di sé e l'amor proprio sono molto più appaganti e sani per un individuo e per la società intera rispetto ai tentativi di trovare sé stessi in qualcosa di estraneo a sé».
Essendo che noi italiani non mastichiamo così bene l'inglese, ci racconti qualcosa degli altri testi di questo album?
Vi racconterò qualche aneddoto sulle canzoni:
If you wanna stay «Trascorro un sacco di tempo sulle Alpi. La gente del luogo ha perfezionato l'arte del flirt da ubriachi, che ho provato a imparare in prima persona. Dopo una notte di “brevi scambi culturali” alla loro maniera, ho scritto If you wanna stay per raccontare di questa prassi senza tempo. Mi sono ritrovato ai piedi della montagna una volta smaltita la sbronza e ho portato con me il testo della canzone a Berlino, per registrare la canzone: abbiamo finito la canzone più velocemente di una bottiglia di grappa tirolese».
Thinkin' about you «Questa canzone è stata scritta su un letto di hotel in un pomeriggio, nel tempo compreso tra il soundcheck e il concerto in un merdoso paesino da qualche parte in Olanda. Provavo pietà per me stesso ed ero un po' innamorato di una ragazza di Amsterdam. Ero nel bel mezzo di una intensa abbuffata di Townes van Zandt e Jason Molina, credevo mi sarei presto trasformato in un alcolizzato e sarei morto solo, presto o tardi».
Koffer «In genere tendo a pensare che il mio scarso tedesco sia in realtà ottimo quando torno negli Stati Uniti e non devo parlare con nessuno in "deutsch". Ed è lì che ho scritto la mia prima e, fino a ora, unica canzone nella lingua dei pasi nei quali ho vissuto negli ultimi otto anni, il tedesco. Ero sotto la doccia e pensavo a Marlene Dietrich che cantava nostalgicamente di una sua valigia a Berlino. Mi sono asciugato e ho scritto la canzone in pochi minuti. Credevo di essere stato dannatamente bravo. Tornato in Germania, ho mostrato il testo alla mia amica Rosalie, che si da il caso sia anche una delle mie paroliere tedesche preferite e lei, con un ghigno, mi ha aiutato a tradurre i miei sproloqui in frasi di senso compiuto».
Da bambino hai ascoltato degli autori che poi ti hanno ispirato per i tuoi brani country / folk / rock? Spesso è da imprinting giovanili che nascono certe passioni...
«Quando ero ragazzino ascoltavo un sacco di merdate pop-country degli anni Novanta. Alla fine mi hanno stufato e ho iniziato ad ascoltare il rock classico, tipo Led Zeppelin e Pink Floyd. A 17 anni ho iniziato ad ascoltare più artisti folk come Bob Dylan e Simon & Garfunkel. Mi sono trasferito in Europa a 21 anni ed è stato solo in quel momento che mi sono davvero appassionato alla musica country. Essere lontani dall'America mi ha dato una visione più romantica delle mie radici. Mi sono messo ad ascoltare molto Gillian Welch, Hank Williams, e Willie Nelson. Da loro ho imparato molto sul cantautorato. Ascolto ancora oggi la loro musica, e ultimamente sto ascoltando molto Songs: Ohia e Father John Misty».
Cosa ti ha portato ad andare via dal Missouri e a trasferirti in Europa? Sei più scappato da "qualcosa" oppure sei andato alla ricerca di "qualcosa"?
«Me ne sono andato per un milione di motivi. Però sono anche tornato negli States alcune volte l'anno per un milione di motivi. Credo che sia stato e sia tutt'ora un insieme di "scappare via da" e "andare in cerca di". Stavo scappando via da uno scenario politico ed economico che ha dato vita a bigotti dannifici come George W. Bush e Donald "Fucking" Trump. Stavo scappando via da città con divisioni razziali, piagate dalla povertà derivante da un sistema capitalistico privo di limitazioni. Stavo scappando dal nazionalismo, dalla religione, dal militarsmo e da infinite periferie le cui minoranze sono assoggettate ai modi di fare dei bianchi.
Ero alla ricerca di città in cui potessi camminare, posti in cui poer suonare la mia musica a orecchie aperte alle novità, a persone la cui identità non dipenda dalla nazionalità o dalla religione. Ho trovato alcune di queste cose quando sono arrivato in Europa nel 2008. Ma anche l'Europa sta cambiando. Il capitalismo senza freni sta rendendo ricche sempre meno persone e sempre più persone povere e, per questo, rende più difficile l'esistenza della democrazia. I cambiamenti climatici, una politica estera miope in Medio Oriente e i sentimenti xenofobi stanno seminando odio tra vicini, nelle strade. E una popolazione sempre più vecchia, che trova più facile idealizzare l'immagine passata del mondo anziché immaginare come potrebbe essere nel futuro, sta eleggendo dei leader anti-democratici che ci porteranno nuovamente in guerra e verso certi reciproci scontri nucleari. Se questo succederà, non avrà più importanza in che continente mi troverò. Andremo a picco tutti insieme. Detto questo, sono ancora in cerca di qualcosa, ho ancora fede nell'Europa. Dobbiamo combattere per essa».
Quali sono i posti che hai visitato e che ti sono piaciuti maggiormente?
«Vienna quando nevica e stai camminando verso casa da solo, alle 2 di notte dopo essere stato al pub. Fare la stessa cosa attraversando il ponte di Brooklyn. Il Missouri a ottobre inoltrato quando le foglie diventano rosse, gialle e dorate e stai guidando un pick-up coi finestrini abbassati. Le Alpi in primavere quando tutto è verde e la neve si scioglie in rigagnoli e respirare fa sentire bene. Roma dove vagare senza meta per le strade belli pieni dopo un buon pasto, alla ricerca di un altro caffè prima di bere altro vino».
La musica sta cambiando, i giovani spesso la ascoltano con modalità diverse rispetto a prima. Come vivi questi cambiamenti?
«La maggior parte delle persone ascoltano la musica su Spotify o altre piattaforme in streaming. In genere guadagno 0.003€ ad ascolto quando succede. Inoltre io, come tutti i musicisti indipendenti, soffro la mia condizione. Devo fare tour senza sosta solo per tirare su qualche migliaio di euro l'anno coi quali riesco a stento a mantenermi. Internet rende più facile alle persone scoprire la tua musica, ma questo non si traduce in nessun corrispettivo economico per quello che faccio come musicista».
Quest'anno è uscito anche il tuo album "Nero". Ci racconti qualcosa della sua realizzazione?
«Nero è nato all'inizio del 2014 quando ho portato con me qualche dozzina di canzoni a Berlino. Prima che l'album fosse pronto, le sue canzoni si sono riversate su tre diversi studi di registrazione, due camere da letto e un seminterrato di cemento (senza bagno) a Berlino, Amburgo e Vienna. L'album aveva molto a che fare con la distruzione di chi eri prima al fine di diventare qualcosa di diverso. È stato come se avessi perso il mio americanismo, o la maggior parte di esso, e uno dei motivi per cui sono tornato alla musica country era il tentativo di trovare una parte di me che avevo perso. Nero si basa sulle mie composizioni contry e folk e ha preso forma grazie a un approccio ricco di gusto e privo di fronzoli della produzione tedesca. I brani hanno come protagonista la mia voce e un abbondante sottofondo di chitarre acustiche, pianoforte e pedal steel. Anche le percussioni sono abbastanza presenti nell'album, permettendo alla chitarra acusta di abbandonarsi al ritmo mentre di quest'ultimo se ne occupa qualcun altro, alla maniera di Johnny Cash. La tavolozza di Nero è ampia e la varietà di brani è molto ricca, con arrangiamenti chiari e intensi che mettono sempre la canzone al primo posto».
A gennaio e febbraio 2017 hai un bel tour in Italia. E' già tutto pronto?
«Oh sì, attraverseremo in tour l'intero paese per la terza volta. Aspettiamo di vivere un'altra avventura!»
Ringraziamo Ian per le esaustive risposte e vi lasciamo con le date del tour
mercoledì 18 gennaio: FUORILUOGO, Asti
giovedì 19 gennaio: NIDABA THEATRE, Milano
venerdì 20 gennaio: RIVE JAZZ CLUB, Bassano del Grappa (VI)
sabato 21 gennaio: EX CINEMA AURORA, Livorno
domenica 22 gennaio: LOAD, Terracina (LT)
mercoledì 25 gennaio: BEBOP, Taranto
giovedì 26 gennaio: OFF, Lamezia Terme (CZ)
venerdì 27 gennaio: ZOOTV, Brucoli (SR)
sabato 28 gennaio: VILLA RICA, Patti (ME)
domenica 29 gennaio: LA CARTIERA, Catania
martedì 31 gennaio: AL KENISA, Enna
mercoledì 1 febbraio: BOLAZZI, Palermo
giovedì 2 febbraio: CAFÈ LIBRAIRIE, Cosenza
sabato 4 febbraio: MR ROLLY’S, Vitulazio (CE)
martedì 7 febbraio: NA COSETTA, Roma
mercoledì 8 febbraio: EX CINEMA AURORA, Livorno
giovedì 9 febbraio: BOTTEGA ROOTS, Colle Val d’Elsa (SI)
venerdì 10 febbraio: EDEN CAFÈ, Treviso
sabato 11 febbraio: ARCI CHINASKI, Sermide (MN)
domenica 12 febbraio: TWIGGY, Varese