Terza giornata Torino Jazz Festival 2015 - Shibusa Shirazu / Ron Carter

Pubblicato il 05/06/2015 - Ultimo aggiornamento: 27/03/2016

Argomento: Musica

31.06.15, Torino, Piazza San Carlo e Teatro Colosseo.

Piazza San Carlo era gremita di gente che si era appostata lì in gran parte per via del Jazz Fest, senza sapere bene cosa l’avrebbe aspettata e convinta, dato il nome del festival, di sentire, appunto, musica jazz.

Il palco si è coperto di persone, tanto che non sembrava più un palco ma un circo: c’erano giapponesi in tutte le tenute, da un paio di mutande rosse a un rivestimento di tinta bianca e nera, personaggi di taglie diversissime, dalla extra small alla extra large, e anche un enorme dragone volante color stagnola che sovrastava palco e pubblico. Insomma, l’impatto visivo era fortissimo. Trenta personaggi diversissimi tra loro tutti da studiare per foggia e movimenti costituiscono da soli uno spettacolo, anche senza musica.

Per fortuna siamo riusciti a salire su impalcature da cui si godeva di una vista privilegiata su palco, maxischermo, pubblico.

Sotto un cielo piuttosto plumbeo, è iniziata un’esplosione di suoni in contemporana, che tutto sembrava fuorché jazz. Su questi ritmi indiavolati i personaggi con il corpo bianco si contorcevano in modi inaspettati. Da documentazione successiva ho scoperto che si trattava di ballerini di butō, una danza giapponese che alterna movimenti estremamente lenti con convulsioni frenetiche, in modo da spiazzare continuamente il pubblico, come se non bastasse il mix di suoni. Shibusa Shirazu vuol dire “non essere mai cool”. E infatti cool non lo erano affatto, questi musicisti, ballerini, nani, giganti. Dal pubblico sentivo frasi come “Questi li reggo un quarto d’ora massimo poi me ne vado”, ma alla fine non se n’è andato quasi nessuno, e molti hanno resistito anche al diluvio torrenziale che ha caratterizzato l’ultima parte dello spettacolo, dopo che lo scenario musicale ha spaziato tra jazz (poco), pop, rock, musica tipo balcanica alla Goran Bregovic, suoni accozzagliati di incomprensibile interpretazione.

Il pubblico si è trasformato in una marea di ombrelli colorati e lucidi sotto la pioggia battente, e la nostra impalcatura, al coperto, è diventata rifugio di tantissime persone, appollaiate su e rintanate giù. La piazza, a suon di pioggia e di musiche bregoviciane si è un po’ sfollata, mentre alcune persone si sono messe a correre sotto l’acqua e a ballare sui ritmi di chiusura.

Di sicuro non si può dire che, apprezzando o meno la musica, ci si sia annoiati, a patto di avere una buona vista sul palco. Forse la gente è abituata a gruppi un po’ più cool, ma anche così lo spettacolo non è stato male.

Intanto qualche ora prima al Teatro Colosseo un gigante del jazz a livello planetario quale è Ron Carter deliziava con il suo contrabbasso un pubblico di veri appassionati. Membro del mitico quintetto di Miles Davis il super ospite ha scherzato come sempre sui suoi presunti acciacchi figli dell’età avanzata, ma confermando con entusiasmo il suo immutato amore per il jazz e la sua voglia di divertirsi suonando. Reinterpretazione perfetta in versioni meno accademiche e ortodosse di alcuni pezzi, alcuni addirittura in versione latin passando in rassegna i classici del suo repertorio tra Parade e Eddie’s them. Serata ad alto livello emotivo senza sbavature e senza dimenticare l’amico e collega Jim Hall con il brano Candlelight. Pelle d’oca!

Fotografia di Autori vari