Il teatro è deteatrizzato. Hanno portato via le sedie. Solo il palco e davanti la piazza vuota, pronta ad accogliere quello che inizialmente sembra un esiguo gruppo di persone, ma diventa una massa compatta con il passare del tempo.
Alle ventuno in punto salgono sul palco due personaggi che non mi sembrano componenti degli Ex-otago, e infatti sono i Manitoba, che fanno tre pezzi del loro album "Divorami". Lui suona una chitarra con un mazzo di corde che spuntano dall'estremità del manico della chitarra, come un mazzo di fiori decapitati. Lei si è tinta di biondo cenere e sfoggia, a tratti, una voce vagamente nanniniana. Avrebbero potuto fare qualche pezzo in più, dato che il quarto d'ora accademico si triplica. Non mi piace che li facciano esibire a luci accese, manco fossero le pubblicità delle attività locali prima del film al cinema, e in conclusione credo che meritino di essere riascoltati in separata sede.
Quando arrivano i big scende finalmente il buio e si accende addirittura la sigla del concerto in stile sit-com anni '90, con tanto di titoli di apertura, seguita dalla chiusura con la registrazione di "Sognavo di fare l'indiano" per salutarci dopo un'ora e mezza di musica.
Per tutto il tempo lo schermo accompagna le canzoni con soluzioni originali: la mia preferita è quella di "Mare", con una sfondo di mare cristallino e un luce blu puntata sulla platea, con un effetto subacqueo soffuso utile a creare l'atmosfera (se non si è troppo accecati).
Maurizio Carucci e la sua band hanno uno stile che conferma l'impressione avuta dai contatti non-live (TV, interviste,...): si cambiano spesso, sono precisi. Si stampano sui fondali come sagome in movimento. Lui non stecca mai e ha una ricercatezza di facciata. Incontrandoli a volte in strada sul loro furgone rosso con i piedi sul cruscotto e soprattutto ponendo attenzione ai testi, che scrive in gran parte lui, mi dico che l'apparenza nasconde una genuinità e una profondità di spirito per nulla immediate e mai banali. Serve un po' di sedimentazione, come per i vini biologici che produce in campagna sulle colline dell'entroterra ligure, o per le canzoni dell'ultimo album, "Coro chinato", che più le ascolti più ti piacciono, senza contare che ogni volta c'è qualcosa che ti era sfuggito su cui cade la tua attenzione.
Il pubblico sembra aumentare e accalcarsi canzone dopo canzone, e spesso c'è una selva di mani alzate che filmano con i cellulari: mi viene da chiedere loro se si stiano godendo il concerto adesso, o intendano farlo dopo, riguardandolo tutto sul microschermo dello smartphone. Riesco a fare un po' di foto cercando qualche spazio tra corpi capelli braccia telefoni.
Molte canzoni sono riarrangiate con il sound da discoteca anni '90 tanto caro al gruppo, e ciò rende la performance live più convincente. In particolare apprezzo l'intro di "Tutto bene", molto ritmata e accompagnata da uno sfondo psichedelico in bianco e nero. La canzone è seguita da un assolo di tastiera di Olmo Martellacci. Tutto ciò rende possibile a Carucci, in un lasso di tempo ai miei occhi brevissimo, il raggiungimento del bar che si trova in fondo alla bolgia del pubblico, insinuandosi tra i corpi le le braccia e gli smartphone che lo illuminano e filmano selvaggiamente. Da là canta Costa Rica, canzone cara ai genovesi purosangue. Molto carina l'idea di performare per un po' immerso letteralmente tra i fan.
Altro omaggio classico alla genovesità, la cover di "Amore che vieni amore che vai" di De André, ben arrangiata con sonorità tipicamente exotaghiane. Devo dire che la voce di Carucci non sfigura.
Certo, dopo aver letto della versione di Coro chinato con la collaborazione di Jack Savoretti, ho sperato varie volte di vederlo comparire all'improvviso sul palco. Per questa volta niente.
Dopo l'unica uscita, il ritorno con acclamazione da parte della folla chiude con una tripletta prevedibilissima: "Solo una canzone", con sbaciucchiamenti e abbracci di tutte le coppie della platea e anche di più, "Ci vuole coraggio", senza Caparezza, ma non è che si possano sperare troppe apparizioni extra tutte in una sera (e infatti non ce n'è stata nessuna), e "Cinghiali incazzati", con tanto di contrappasso: questa volta è Carucci che filma il pubblico con lo smartphone mentre canta e lo sbatte direttamente sul maxi-schermo.
Devo dire che avevo un'aspettativa altissima: sono molto fan della band, non sono riuscita ad ascoltarli mai dal vivo prima d'ora e avevo sentito gli album allo sfinimento. Forse per questo, forse perché ai miei occhi le loro canzoni, anche se molto ritmate, a volte ai limiti della disco, rimangono "da meditazione", forse per altri motivi che mi sfuggono, non ho sentito un'energia costante provenire dal palco, come mi è accaduto per altri gruppi e cantanti, notevolmente più d'effetto in versione live che da CD. Il buono è che posso godermeli ogni volta che voglio, a casa, sotto la doccia, per strada, anche registrati.
Scaletta:
Questa notte
Le macchine che passano
Bambini
I giovani d'oggi
Torniamo a casa
L'infinito
Gli occhi della Luna
La notte chiama
Tutto bene
Costa Rica
Stai tranquillo
Amore che vieni amore che vai
Mare
La nostra pelle
Quando sono con te
Solo una canzone
Ci vuole coraggio
Cinghiali incazzati
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