Intervista a Giangilberto Monti

Pubblicato il 26/01/2013 - Ultimo aggiornamento: 02/04/2016

Argomento: Arte

Lo chansonnier milanese Giangilberto Monti, grazie anche alla collaborazione del giornalista Enzo Gentile, nel suo nuovo progetto "comicanti.it" (libro+doppio cd) racconta la storia della nostra comicità musicale e dei suoi comicanti: dalle macchiette del café-chantant, ai primi del Novecento, fino ai personaggi più recenti usciti dalle pedane di Zelig. Sentiamo allora cosa ci racconta.

Se sei d’accordo, direi di cominciare dalle origini di questo progetto, com’è nato “comicanti.it”?

Il lavoro è iniziato cinque anni fa e la prima difficoltà, è stata quella di cercare di capire quali canzoni si dovessero usare, per cercare di raccontare la storia della comicità musicale. Inizialmente era solo un disco, uscito oramai quattro anni fa con la Carosello (2009), che raccoglieva canzoni che andavano da Ettore Petrolini a Dario Fo, quindi le canzoni più importanti di questo mondo. Erano canzoni molto conosciute, come “Tanto per cantare” di Petrolini, piuttosto che “L’Armando” di Jannacci o “E’ arrivata la bufera di Rascel …

 

All’inizio quindi, era solo un disco, giusto?

Esatto, uscito nel 2009. Abbiamo fatto un grande spettacolo a Milano, al Teatro Franco Parenti con tutti gli ospiti. E anche il disco è andato bene, ci sono stati poi altri spettacoli nei teatri, che hanno contribuito a raccontare un po’ la storia della canzone comica. Un paio di anni fa, sull’onda di quel successo, con i miei collaboratori ci siamo detti, proviamo un po’ a fare il salto definitivo, cioè arrivare a quei cantautori che hanno raccontato con ironia e sarcasmo gli anni ’70, ’80 e ’90, insomma, gli anni più recenti nella storia del nostro paese. In questo tentativo, abbiamo subito capito che il disco non era sufficiente come strumento. E’ vero che le canzoni sono sempre state eseguite sotto forma di duetti, per cui c’è stato un rapporto artistico tra me che arrangio, invento, scelgo le canzoni e l’artista mio collega, in questo caso i tanti comicanti di oggi che mi hanno aiutato nel presentare questo disco, però era evidente la necessità di spiegare meglio questo lavoro, questo mondo. E’ stata la voglia di avere più tempo a disposizione che ha portato a un’idea più letteraria. In questo cofanetto, infatti, è presente anche un libro, scritto con Enzo Gentile che è un giornalista musicale, che racconta più diffusamente la storia, i personaggi, i repertori. I comicanti, in realtà, sono tantissimi e tanti sono i filoni, stiamo parlando di un mondo che inizia da Napoli, ai primi del ‘900, per arrivare ai giorni nostri con Zelig, in mezzo ci sono infiniti filoni comici - umoristici, sarcastici e demenziali - che di fatto raccontano la storia del nostro paese.

 

L’ho letto proprio oggi, un po’ a spizzichi e bocconi, questo libro fresco di stampa e, l’ho trovato davvero esaustivo, in tal senso.

Mah, prima di tutto perché non l’ha fatto ancora nessuno. Tra l’altro forse non sai, ma ho appena pubblicato un libro sulla storia del cabaret (La vera storia del Cabaret, ed. Garzanti), che ho scritto con Flavio Oreglio, è uscito a fine ottobre, però il cabaret è un mondo molto vasto. La musica è anch’essa un mondo enorme, però la canzone comica è stata da sempre ritenuta un genere di serie B. In realtà molti dei personaggi di cui parliamo nel libro, mi vengono in mente Gaber o Jannacci, piuttosto che Elio e Le Storie Tese, sono entrati anche nelle alte classifiche, come pure Carosone o Buscaglione. Sono stati personaggi molto amati dal grande pubblico e, non si possono, secondo me, considerare un sottogenere. Talvolta sono riusciti ad arrivare a vendite paragonabili alla cosìddetta musica pop utilizzando, al di là dei linguaggi, modi musicali diversi. Noi stessi abbiamo cercato di rendere più moderne queste canzoni, anche quelle più antiche, perché oggi ovviamente sono diversi sia gli strumenti sia le tecnologie. E comunque rimangono canzoni bellissime ancora oggi, molto attuali nei testi.

 

Si, in effetti, tra le canzoni ascoltate nel disco, in tema di modernizzazione mi viene in mente ad esempio “Il gorilla” …

(ride) “Il gorilla” è stato un divertimento puro, grazie ad Antonio Cornacchione. Ogni canzone ha una storia, dietro ogni canzone c’è un aneddoto, il dietro le quinte di questo mondo è davvero molto divertente. Cornacchione non sa cantare, questa è la realtà! Quando è uscito il primo disco, lui mi ha telefonato è mi ha detto “Mah, scusa Giangilberto, perché non mi hai chiamato?”, allora gli ho risposto “Antonio, perché non sai cantare! Ci sono tanti altri comici che non sanno cantare e non ho chiamato”, però lui insisteva “Ho capito, però è un peccato”. C’è poi da dire che il problema di questa canzone è che l’unica cosa veramente cantabile è il ritornello, a quel punto c’è venuta l’idea, ma non vorrei svelare subito il gioco, di parlarlo anziché cantarlo, Per cui io racconto la storia cantando le strofe e Antonio Cornacchione interpreta il ritornello a suo modo, quindi come un attore comico. V’inviterei ad ascoltarlo perché, secondo me, è vero che una parte dei puristi del genere si offenderà perché l’approccio è davvero molto diverso dall’originale, però, di fatto “Il gorilla” resta una grande canzone ironica e anche importante, perché è stato il primo esempio, per il nostro cantautorato, d’importazione dal mondo del cantautorato francese, in questo caso Georges Brassens. Era la prima volta in cui Fabrizio De Andrè traduceva un personaggio come Brassens, che in Italia era ancora poco conosciuto, stiamo parlando degli anni ’60, e in questo modo lo porta al grande pubblico.

 

Guardando le tracce presenti nel disco, mi fa piacere che si spazi al di là di quella che è tradizionalmente considerata la canzone comica, vi si trovano anche nomi come quello di Capossela, giusto per fare un nome.

Si, perché è proprio quella la diversità rispetto a un modo tradizionale di vedere questo genere. Penso al cantautorato che agli inizi degli anni ’70 diventa popolarissimo, a certi cantautori tipo Rino Gaetano o Sergio Caputo dichiaratamente ironici, ma anche a Vinicio Capossela che ha una sua surrealtà, il suo è un mondo di grande invenzione testuale, esattamente come fu per Renato Rascel quando uscì “E’ arrivata la bufera”, era davvero una rivoluzione per quegli anni. Quando Capossela pubblica le sue canzoni negli anni ’90, i suoi testi erano completamente diversi da quanto c’era in quel momento sul mercato, la gente non l’ha capito subito, il pubblico l’ha capito un po’ dopo e la particolarità di Capossela, non è solamente la bellezza della musica o la sua interpretazione originale, ma proprio l’utilizzo di testi con una grandissima ironia di fondo, però un’ironia alta, non c’è mai la battutaccia o la volgarità. Noi ci siamo fermati a Capossela, ma si poteva continuare, non so, ad esempio citando Checco Zalone, ma a quel punto saremmo arrivati all’autobiografia.

 

Si, è vero, se si vuole fare dello storicismo occorre lasciare sempre che passi del tempo.

Si, se ti avvicini troppo ai giorni nostri, quando non hai più la distanza, finisci per raccontare te stesso. Io potrei raccontare gli anni che ho vissuto allo Zelig dal 1986 al 1996 quasi tutte le sere, però è l’esperienza personale e non riesci nell’intento di raccontare la storia, tanto è vero che la mia storia coincide con quella dei comicanti di oggi, quelli che ho chiamato nel disco, è come se interpretassi che so Stefano Nosei o Flavio Oreglio, non è la stessa cosa. Ci vuole una distanza per capire ed è per questa ragione che nel libro scritto con Oreglio “La vera storia del Cabaret”, ci siamo arrestati, pressapoco, agli anni ’70, perché poi diventa difficile raccontare la vita vissuta, non sei più obiettivo, vedi solo le cose dal tuo punto di vista.

 

Torniamo al progetto comicanti.it, perché gli hai voluto dare proprio questo titolo?

Comicante è un neologismo, è una parola che ho inventato per descrivere quest’artista completo, che mischia la comicità con la musica, quindi comico e cantante. E’ il classico uovo di Colombo, così come cantautore è il cantante autore, però il comicante non é solamente un comico che canta o un cantante che fa il comico, è molto di più, è un incrocio tra lo chansonnier e un cantautore. In qualche modo racchiude in sé molti mestieri dell’arte perché il far ridere, che è operazione già di per sé molto difficile, è faccenda ancora più complicata se poi devi cantare. La canzonaccia o la canzonetta son capaci tutti di farla, però una bella canzone, accanto a un bel testo ironico, umoristico, accanto a un modo di porgere questo testo, necessita di una preparazione che non è di tutti, non tanto perché sia complicato, ma perché rappresenta un percorso artistico di ricerca. Il comicante, è quindi una figura abbastanza rara, se vogliamo dire così, ma proprio perché lo è, è bello riuscire a coglierne lo spessore. Nel passato ci sono stati grandi esempi ed io mi sono permesso solo di raccontarlo. Comunicanti.it è poi un gioco di parole, facciamo un po’ il verso al web. E .it fa riferimento alla comicità musicale italiana. Avrei anche potuto chiamarlo Comicanti.com ma sarebbe stato un po’ eccessivo (ride)

 

Restando in tema di degni rappresentati della canzone comica, proprio lunedì sera sulla Rai è andato in onda lo speciale su Giorgio Gaber, in occasione del decennale della sua scomparsa, l’hai visto?

No, ho letto però qualcosa sul web, ho letto tra l’altro un bell’articolo di Aldo Grasso che mi trova abbastanza d’accordo. Non vorrei sembrare né presuntuoso né polemico, però credo che l’artista, quando è in vita, dia il meglio di se stesso, questa forse è una banalità ma è così. Gli eredi non sempre rendono un grande servizio all’artista scomparso, soprattutto quando gli mettono in bocca tutto il possibile, come hanno fatto e stanno facendo con Gaber che, a mio parere, sembra una coperta un po’ corta che ognuno tira dalla sua parte secondo le esigenze di copione. Come dicevo prima, non vorrei sembrare troppo polemico, però tutto questo è molto fastidioso, per me almeno che ho conosciuto molto bene Giorgio e, ti dirò, l’ho conosciuto bene anche umanamente. Mi spiace, ad esempio, al di là dalla trasmissione che per carità può essere stata fatta bene o male, però si sa che la televisione ha proprio questo di bello e di brutto, di essere la televisione, quindi in qualche modo assorbe, distrugge e livella. Gaber è stato un artista che ha dato il suo meglio, proprio perché era molto libero di farlo. Era molto anarcoide nelle sue manifestazioni, in fondo vorrei dire che non aveva alcun bisogno che qualcuno lo raccontasse. Basterebbe ascoltarlo…

 

Perché poi il rischio è che ognuno finisca per mettergli addosso la propria bandiera.

Si, è un po’ come i settemila che scalava Messner senza ossigeno, è chiaro che poi ci arrivino anche tutti gli altri, solo che lui c’è arrivato per primo. E’ ovvio che le canzoni sono quelle e ognuno le legge, le interpreta come vuole, però quello che è fastidioso, ma veramente fastidioso, secondo me, e anche un po’ vergognoso, che ci siano degli artisti che non hanno mai avuto proprio nulla a che fare la storia di Gaber …

 

Che sono poi messi in cartellone, un po’ come specchietti per le allodole?

Più che altro sono chiamati a interpretare canzoni che magari hanno anche orecchiato ma … c’è un grandissimo contrasto! A me sentire Gigi D’Alessio che canta Gaber … a me vengono veramente … non so come dire …

 

Magari avrebbe certamente avuto più senso una tua presenza …

No, non so, questo no, non dico quello, … dico che non c’entra nulla ed è un peccato per Gaber, non per Gigi D’Alessio del quale diciamo che non m’importa nulla, lui in fondo fa il suo mestiere, io faccio il mio, siamo come dire il bianco e il nero di una situazione, però non c’entra davvero nulla …

 

Soprattutto non aiuta certo a capire chi è stato veramente Gaber.

Ed è anche secondo me vergognoso artisticamente, parere mio personale e, (ride) direi che con questo abbiamo concluso!