gaLoni: Entrevista del 26/10/2014

Publicado el: 27/10/2014


Il cantautore gaLoni, classe 1981, originario di Latina, è tornato sulla scena discografica dopo il buon esordio discografico del 2011 con “Greenwich”, per raccontarci ancora nuove situazioni di vita precaria. Il suo secondo lavoro discografico, intitolato “Troppo bassi per i podi”, uscito lo scorso marzo ha subito ottenuto un’ottima accoglienza dalla critica, mi sono messo in contatto con lui ed ecco cosa mi ha raccontato.

Prima di parlare subito del tuo nuovo disco, ho una curiosità da soddisfare perché credo che nulla sia mai dovuto al caso. Perché Emanuele Galoni è diventato semplicemente gaLoni e scritto così?

Non c'è un motivo particolare. Ho voluto usare solo il mio cognome. La L maiuscola è stata un’idea del mio grafico durante la progettazione grafica appunto del mio primo disco "Greenwich". Poi è rimasto così ...

Tuffiamoci allora subito in questo tuo secondo lavoro discografico che è stato accolto molto bene dalla critica, partirei dal titolo "Troppo bassi per i podi", perché questo titolo e com'è nata l'idea della copertina che ti vede inserito in un disegno camminare sopra il tetto di un palazzo?

Il disco segue il discorso cominciato con "Greenwich". Nella copertina del primo disco comparivo io, intento a spostare il meridiano 0, Greenwich, punto di riferimento geografico della civiltà occidentale. Il gioco stava in questo, spostare il punto di vista occidentale e provare a vedere il mondo da altre angolazioni. "Greenwich" lo definisco un disco prettamente geografico, fatto di longitudini e latitudini. In "troppo bassi per i podi" invece cammino sui tetti di una città di provincia, da dove vengo io alla fine. Ci sono dei percorsi sui tetti che andrebbero scoperti, valorizzati. Il concept sta nella ricerca delle altezze che contano. Siamo troppo bassi per i podi, quindi inadatti per le vittorie, per le sfide, ma abbastanza alti per i tetti. Nella copertina compaiono inoltre moltissimi elementi delle canzoni, occorre scoprirli, è un bel gioco.

Le canzoni, si sa, sono fatte di parole e musica, oltre che dalla voce di chi le canta. Non sempre però queste componenti si amalgamo alla perfezione. Trovo, invece, che il tuo disco sia esemplare da questo punto di vista. Da una parte ci sono musiche accattivanti, dall’altra testi che s’incastrano alla perfezione, con un’attenzione quasi maniacale per la parola. Nulla è lasciato al caso e per questo, se sei d’accordo, vorrei passare in rassegna le varie canzoni prendendo spunto da una frase delle stesse. La prima è “Spara sui treni” da cui ho estratto “Credi che gli animalisti non ammazzano zanzare / o gli scarafaggi in fuga sulle scale / credi che gli animalisti proteggono zanzare / o i tuoi occhi tristi dalla luce del sole”. Il tema le tante contraddizioni dei nostri giorni?

Sì, penso che alla fine non facciamo mai interamente parte di qualcosa, o quantomeno non riusciamo a fare delle scelte radicali per le quali ci sentiamo parte integrante e completa di qualcosa. Riusciamo a stare sempre con un piede dentro e uno fuori, pronti a uscirne quando ci fa comodo o per il mancato coraggio di arrivare fino in fondo alle cose.

“Per vederti partire” è, tra le canzoni del disco, forse la più pop, concedimi il termine, dal punto di vista musicale, però a livello di testi ci sono almeno due chicche “La matematica è opinione / da quando ti ho intravisto / oltrepassare queste nuvole cariche di piscio” e “ed io ho un plantare sotto il cuore / per appoggiarlo meglio sulla lunghezza delle ore”, è una riflessione sui meccanismi dell’amore o l’amore è solo la scusa per parlare di altro?

L'amore naturalmente fa da sfondo a queste storie. In questa canzone credo che il tema principale sia la rassegnazione alle partenze che non sono più un desiderio ma costrizione.

“Carta da parati” è stato il primo singolo estratto dal disco, finito per altro tra le canzoni candidate alla Targa Tenco 2014 Canzone singola, te lo aspettavi? Rimasto deluso dal non essere finito tra i finalisti? La frase scelta è “Ti staccherò la carta da parati dalla schiena / i costruttori edificano i vuoti di memoria”, com’è nata questa canzone? Si può definire surreale?

La candidatura al Tenco, devo dire, è arrivata all'improvviso, con mia sorpresa. Deluso assolutamente no. Sarei incoerente con il titolo del mio disco. Con questa canzone volevo riscoprire certe bellezze nascoste laddove l'uomo ha edificato in modo sregolato. Il nostro contesto urbano incide sull'umore, sullo stato d'animo, sullo stress. Vivere in questi posti significa anche passare intere giornate in appartamenti e fondersi con gli stessi. Diventare mura, pareti, arredamento. L'immagine di staccarla vuole essere dire proprio questo. Tagliamo le radici e proseguiamo verso posti diversi, dove ancora si può celebrare bellezza.

L’amore invece è ancora una volta il protagonista di “Il migliore dei cecchini”. Prima di tutto complimenti per la scelta spiazzante dei titoli, solo apparentemente estranei all’argomento delle canzoni stesse, m’è particolarmente piaciuta la frase introduttiva “Ti ricordi mi aiutavi a fare i compiti / dell’amore conoscevo solo i miei testicoli”, ma non si parla di amori adolescenziali? Vero?

No assolutamente no. Si parla di ritorni. Quando ognuno di noi ha fatto il proprio percorso e ci si rincontra in proprio bagaglio di esperienze. Il migliore dei cecchini è un po' la resa dei conti col passato. Quelle cose che ci sono sfuggite perché non le abbiamo sapute mantenere perché troppo concentrati su noi stessi. È quando proteggiamo esclusivamente le nostre cose sotterrandoci dentro mine, per paura che qualcuno venga a togliercele. Poi le mine si disinnescano ma quel terreno rimane ormai incoltivabile.

“Ballata sulla gru” è canzone di strettissima attualità, legata la tema del lavoro o meglio dell’assenza del lavoro. Un tema doveroso ma affrontato con la consueta originalità “Quest'anno per Natale non farò auguri né regali / solo in bocca al lupo ai cani / agli orefici e ai dopati / sempre in culo agli operai troppo bassi per i podi / non ci saliranno mai eppure li hanno costruiti”. Perché in chiusura hai citato proprio Monicelli?

Monicelli credo sia stato l'ultimo baluardo dell'Italia che resiste. Ha ripercorso con i suoi film l'Italia vera, genuina, popolare. Vicino alla malattia e alla morte era uno dei pochi che parlava di rivoluzione. Mi ha colpito molto la sua morte. Un gesto lucido e insolito per una persona di quell’età. Un gesto espresso sempre in altezza, dal quinto piano, per cui non poteva non esserci in questo disco e sopratutto in questa canzone dove gli operai cercano il vuoto della gru per rivendicare i propri diritti. Salire sulla gru è un altro gesto che mi ha colpito. E' come se loro avessero bisogno di rappresentare un vuoto interiore con un vuoto fisico, visibile, afferrabile.

“I navigatori” è tra le mie preferite in assoluto, una canzone in cui si viaggia, magari anche solo con l’immaginazione, come mi sembra si deduca dai versi “E' tanto che non ci sentiamo dalla voce ti sento dimagrita / è tanto ormai che non ci vediamo / la distanza non è distanza ma è benzina”. Com’è nata questa canzone?

E' nata quando non avevo un navigatore satellitare. Oggi purtroppo sono uno di quelli che ne fa un uso eccessivo. Anche per andare in posti che conosco. E' come si mi facesse compagnia, mi piace osservare i chilometri che diminuiscono, il nome delle strade, cambiare via improvvisamente per trovare percorsi alternativi. E' quasi un gioco. In questa canzone ci sono le cose vicine che non riusciamo a raggiungere proprio perché le diamo per certe essendo esse non distanti da noi.

“Ho perso palla a centrocampo” è una canzone che mi ricorda un po’ lo stile ironico del miglior Rino Gaetano, che non parla per niente di calcio con belle considerazioni tipo “Quanti né ho visti di italiani / clandestini regolari” oppure “Roma non è più la capitale / Roma è solo capitale / se capita di incontrare un tale / che investe tutto a un videopoker”. Quanto è il senso di spaesamento nel quotidiano vivere in questa nostra società?

E' un brano che parla di evasori fiscali. Sono loro i veri clandestini regolari. Pensai di scrivere il pezzo quando, rincasando con degli amici in tarda nottata, trovammo un tizio nel bar sotto casa che giocava ai videopoker in pigiama. Il giorno dopo verso le 11 scesi per la colazione e lo ritrovai allo stesso posto col pigiama. Tuttavia se ai miei occhi sembrava una cosa inverosimile per il barista e i frequentatori del posto era tutto normale. Il senso di spaesamento è proprio questo. Certe cose che ti sembrano surreali, per la maggior parte di noi sono la piena normalità.

“Tu dì loro che sto bene” ha le cadenze di un’accorata preghiera rivolta da un figlio alla propria madre nel momento in cui sa che perderà da lì a poco la libertà, preghiera fatta anche di parole come queste “Madre blocca l’ascensore / vogliono cose di valore / dagli i quaderni delle Medie / o la mia scheda elettorale”. Nasce per caso da qualche episodio reale in particolare?

Non precisamente. La storia narra di qualcuno che è ricercato, e qui possiamo metterci di tutto, Agenzie delle entrate, Equitalia ecc... ma l'idea era di partire da un verso rivisitato di “Knockin' on heaven's door” di Bob Dylan "Mama, put my guns in the ground" da cui "Madre dissotterra le pistole" che dobbiamo ancora difenderci, io sono via ma non ti preoccupare che sto bene, anzi dillo anche loro. E' sicuramente un atto d'amore tra una madre e un figlio. E' come dire, possono toglierci tutto ma non il fatto che possiamo ancora difenderci da qualsiasi cosa e in qualsiasi modo.

Con “Autostrada per i cani”, canzone dal titolo ancora una volta originale e spiazzante, torna prepotente il tema dell’amore, anche se qui sembra mescolarsi con temi ambientalisti “Lascia stare il mio anulare / che mi son tagliato con un foglio A4 di Fabriano / sarà il saldo che ci chiede l'Amazzonia / o per i nostri nomi incisi come graffi sugli alberi dei parchi” o sbaglio?

Hai perfettamente ragione. La passiamo così questa? (sorride)

Si si, te la passo (sorrido). Altra canzone stupenda, carica di sofferenza, con quel mesto coro, quasi un lamento in sottofondo è assolutamente “Primavere arabe”, con quei suoi versi estranianti tipo “così un uomo in giacca con gli occhiali a goccia / carica i suoi occhi con proiettili di gomma / con i resti di una donna ti fabbrica una bomba / la tiene avvolta nel suo elettrocardiogramma”. Penso che renda bene l’orrore portato dalla guerra o repressione della libertà, qualsiasi sia l'origine, no?

Spero di sì. “Primavere Arabe” è l'atto rivoluzionario portato sulla piazza. Un atto che si può avere solo per mano di quelle persone che hanno abbracciato la follia e non hanno più nulla da perdere. Il parto nella piazza è il gesto ultimo, quello più rivoluzionario e femminista allo stesso tempo, poiché la rivoluzione è Donna.

Il disco si chiude con “Nobel”, un brano pieno d’ironia e di sarcasmo, credo nate nel guardare le contraddizioni celate dietro alcuni premi Nobel, a dir poco forieri di dubbi, questi i versi che ho scelto “Per le pallottole di gomma della tua reflex digitale / le tue missioni nel mio cuore, i tuoi occhi verdi militare / io ci vedo rotatorie e troppi mi dispiace / c’è che ti danno favorita per il Nobel per la pace". Credi ancora, invece, che la musica possa essere strumento per la pace? Strumento di resistenza contro ogni privazione della libertà, come il Premio Tenco ha voluto sottolineare, intitolando la Rassegna appena conclusasi alle Resistenze?

E' un veicolo che può accomunarci tutti. E' un linguaggio unico, che non ha bisogno d’interpreti, traduzioni. Non possono nascere dunque incomprensioni ed equivoci. Direi quindi di sì.

gaLoni
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Copertina del disco "Troppo bassi per i podi"