Fabrizio Tavernelli: Entrevista del 24/12/2020

Publicado el: 24/12/2020


Intervista a Fabrizio Tavernelli riguardo al suo album "Homo distopiens" e ai suo precedenti con le formazioni Acid Folk Alleanza ed En Manque D'Autre.

Il tuo album "Homo distopiens" è stato pensato come un concept che racchiude possibili realtà immaginarie del futuro, ma in realtà alcune parlano di problemi ben ancorati nel presente, come la plastica, l'esaurimento delle risorse, il cambiamento climatico, ecc.

Con gli ultimi lavori solisti ho sempre cercato di creare un percorso che unisse i brani che compongono l'album, per cui la definizione di "concept" è giusta. Non è una raccolta di canzoni con uno o due singoli e un'altra serie di brani a fare da contorno. A me interessa proporre un'opera completa e esplorare le varie angolazioni, i diversi piani di realtà, è la mia lettura del mondo, il mio stare in questo o altri mondi paralleli. Secondo studiosi, filosofi, viviamo un ciclo che ha avuto inizio già da tempo e quelli che si mostrano oggi (cambiamento climatico, scioglimento dei ghiacciai, estinzioni di specie, compresa la nostra che non è scongiurabile, diciamo con un termine alla moda, l'antropocene) sono i segni di un processo inarrestabile, entropico, sono gli epifenomeni che possiamo osservare e che influiscono sul nostro esistere ma che nel suo complesso non possiamo governare o fermare. In questo senso il futuro, i suoi orizzonti sono scomparsi, o per lo meno il futuro come lo immaginavamo è scomparso, Homo Distopiens parla di un eterno presente dove le utopie sono state sostituite da una sceneggiatura distopica in cui noi siamo attori e spettatori.

Come è avvenuta la realizzazione di questo album, dal punto di vista compositivo/musicale?

Il metodo che adotto da diverso tempo è quello di scrivere, elaborare e comporre i pezzi in solitudine, creando linea melodica, testo e struttura dei brani. Cominciano a girarmi in testa concetti, idee, frasi musicali, spesso mentre sto facendo altro, mentre il resto del corpo è impegnato in altre attività (per mangiare e pagare l'affitto debbo fare altro, la musica non basta) In un secondo tempo mi trovo in sala prove con il gruppo con cui suono da tanti anni (il "Fabrizio Tavernelli Complesso" : Lorenzo Lusvardi, Marco santarello, alessandro De Nito, Marco Tirelli) e insieme andiamo a arrangiare, definire le varie parti, trovare una buona amalgama prima delle registrazioni. Lascio però sempre spazio per possibili interventi, cambi di rotta e incidenti/aleatorietà/strategie che possono rivelarsi durante la fase di registrazione. Alcune idee si concretizzano in studio : aggiunta di partiture di archi (in Homo Distopiens è stato importante l'apporto di Osvaldo Loi alla viola) altri ospiti e musicisti. Cerco nuove sfide, in particolare il brano "Oumuamua" scritto con Simone Copellini che ha curato arrangiamento, musiche e insieme a Silvia Perucchetti il coro polifonico (Cappella musicale San Francesco da Paola di Reggio Emilia) Il tutto è stato poi registrato utilizzando i riverberi naturali di una chiesa. Un'altra cosa su cui mi piace lavorare è su ciò che sta dietro alla struttura principale di una canzone, mi interessa quello che non si percepisce a un primo ascolto, una presenza all'orecchio che non sai definire, quel substrato che si muove sotto. Possono essere drones, campionamenti, ambienti, suoni trovati, fields recordings che inserisco per dare profondità, per creare strati di suono. Io lavoro sulla canzone e all'interno di una griglia popolare ma mi piace creare obliquità, dissonanze, diciamo che è una sorta di avanguardia popolare.

"Tormenti e tormentoni" vuole criticare le canzoni senza contenuti delle hit. Attualmente però mi sembrano più preoccupanti molti rapper dalla mentalità autoreferenziale, banale e vuota, rispetto ai culi che roteano. E i cosiddetti "giovani" oggi ascoltano solo quel tipo di rap.

Sì Rap o Trap, sono abbastanza informato visto che mia figlia ha ascoltato quelle cose (crescendo però, sta fortunatamente cambiando ascolti) e sono d'accordo con ciò che dici. Certo è che il reggaetton, le canzoni estive italiane, con i versi in ispanico e tutti i luoghi comuni su corazon, amor, caliente, noche etc. sono un flagello. Quest'anno inoltre suonano alquanto disoneste le canzoni sull' "andrà tutto bene". Qualcuno dice che occorre scrivere canzoni di pancia per raggiungere più pubblico, deprecando l'uso della testa o del ragionamento, io credo invece che nello scrivere una canzone fatta di slogan, di linguaggio tecnocrate con i termini di moda nel social e rime giovaniliste, occorre un calcolo mentale, una volontà razionale di scrivere quella cosa perchè sai che piacerà al grande pubblico. Ecco la musica da classifica (anche il termine classifica andrebbe ripensato) non è scritta con la pancia (magari!) ma è un disonesto e calcolato mezzo per piacere, si usa la testa ma per ingannare, abbindolare. Tornando al Rap/Trap è il linguaggio che ha molto appeal sui più giovani, io ho ascoltato da quando è comparso sulla scena il primo hip-hop, l'electro newyorkese, la old school, così come seguo ancora le evoluzioni del suono di marca black, abstract o experimental hip-hop, credo che il rap e i suoi linguaggi (la street art, i graffiti, la danza, l'uso dei samples, dei giradischi, le tecniche vocali) sia stata una grande innovazione che ha poi contaminato l'intero mondo musicale. Il problema sta nella narrazione, nell'aspetto culturale. Mentre per gli afroamericani quei linguaggi erano una rivendicazione, la poetica della strada, uno spaccato sociale, una possibilità di emancipazione dal ghetto, diventano oggi ridicoli e posticci i richiami "gangsta" di certi rapper o trapper italici. Certo certi scenari delle periferie italiane possono avere aderenze sociali con le culture di strada americane o metropolitane ma spesso sono scimmiottamenti o atteggiamenti. Ho analizzato i testi, durante i viaggi insieme a mia figlia e spesso ho trovato misoginia, omofobia, concetti reazionari e soprattutto un elenco infinito di rime basate su status symbol, marche di moda, ostentazione di ricchezza (vera o presunta). E' vero, i rapper afroamericani mostravano i famosi catenoni d'oro massiccio e auto lussuose, dietro però c'è un racconto (spesso anche contraddittorio e violento) quello che è rimasto nel rap nostrano è raccontare che vai a spendere 5K da Gucci.

Molti brani hanno una ambientazione fantascientifica per quanto riguarda i testi. Ti appassiona il genere?

Assolutamente sì! Da sempre, da quando da piccolo guardavo la serie UFO di Gerry Anderson in televisione la Domenica. In particolare nel tempo mi sono avvicinato alla cosiddetta "Fantacoscienza" definizione coniata dal critico Cosulich, ovvero quella fantascienza speculativa, interiore, che mentre ci parla di altri universi, di viaggi interstellari, in verità ci parla di noi e esplora il subconscio umano. Ci ho fatto un album, ancora una volta un concept, il terzo da solista intitolato per l'appunto "Fantacoscienza". Scrittori come Philip K. Dick, Ballard, Gibson, Vonnegut, Burroughs che non è uno scrittore di fantascienza ma che ha raccontato in modo allucinatorio quello che c'è di alieno dentro e intorno a noi (un pò come Lynch e Cronenberg nel cinema). Film come 2001 Odissea nello Spazio, Solaris di Tarkovskij, Alien, Blade Runner, Brazil, se ci pensi queste tematiche sono suggestioni del mio Homo Distopiens che ci parla di distopia. In fondo la migliore fantascienza è quella distopica, quella che descrive mondi e futuri inquietanti. Oggi, il presente, quello che stiamo vivendo in tempo reale è un film di fantascienza distopico. Una visione apocalittica, da film catastrofico, l'arrivo degli alieni, la fine del mondo, un asteroide che impatta sulla terra, una pandemia.

Ho notato che i testi in generale sono molto cupi, ma quasi mai questa sensazione si riflette sulla musica.

In fondo stiamo andando verso una nostra possibile estinzione con il sorriso sulla faccia, osserviamo la fine di questo pianeta come se fosse una appassionante serie televisiva, la colonna sonora di questi tempi oscuri in verità non sono opere contemporanee marziali e oscure ma stupide canzonette che sono ancora infarcite di egoismi, cuori infranti, amori disperati, brama di successo e inni a una vita che nel frattempo si è fatta ostile. Siamo ancora qui a autoconvincerci che #andràtuttobene, formula che alla luce dell'oggi suona sinistra. Ecco volevo che parole e concetti visionari e distopici, certo cupi, arrivassero con una infida dolcezza, che fossero comunque comunicativi, come se ci fosse una celebrazione rituale di quello che ci sta accadendo. Perchè in fondo le vere canzoni di amore, verso la terra, verso gli umani, gli animali, la vita, sono quelle che raccontano una sparizione, un dissolversi.

Come ti sta influenzando questa pandemia mondiale legata al covid? Anche l'impatto economico su chi lavora con la musica è molto importante...

Da tempo ho affiancato all'attività musicale un lavoro utilitaristico che mi da la possibilità di mangiare, pagare affitto etc. dunque la pandemia non ha influito particolarmente sulla mia situazione economica. Dal punto di vista artistico invece è stato un peccato non poter promuovere e portare dal vivo il nuovo album se non per qualche data pre-lockdown o nell'allentamento estivo. Non credo che il ricorso alla musica live in streaming possa sostituire i concerti dal vivo, dopo l'entusiasmo iniziale il tutto si è sgonfiato. Certo è che al momento non è prevedibile quando si potrà tornare sui palchi. Di certo per grandi nomi, festival, tour europei o internazionali la programmazione sarà avanti nel tempo, forse ci saranno più possibilità per noi piccoli. La musica live in Italia non era messa benissimo e la pandemia è stata un'altra botta, tutto l'indotto del mondo della musica è in pericolo, gente ha dovuto cambiare o inventarsi un altro mestiere e anche per quanto riguarda aiuti, ristori o considerazione del valore culturale del settore siamo messi male. Anche qui sarà un pò come un dopoguerra.

Le tematiche ecologiche, ambientali e sociali sono presenti da sempre nelle tue realizzazioni. Cosa è cambiato nel tuo pensiero con il passare degli anni?

In effetti se mi volto indietro, in forma esplicita o indiretta, i temi ambientali, l'ecologia (della natura, come della mente) l'impatto nefasto degli umani sono stati ricorrenti nei miei testi. Che fosse il mio territorio, quella della pianura padana inquinata, della campagna invasa da centri commerciali, rotonde, ipermercati, urbanizzazione selvaggia, che fossero le isole di plastica negli oceani, che fosse ipotizzare altri mondi e altre realtà , c'è sempre stato un racconto, una visione trasfigurata della invasione della tecnologia. Il Folk Acido e i concimi chimici che portano a viaggi psichedelici (En Manque D'Autre) il nomadismo psichico degli AFA, fino a giungere all'ultimo Homo Distopiens. Come nel mio libro "Provincia Exotica" dove il quotidiano è una rampa di lancio, il luogo di partenza per inoltrarsi in viaggi surreali in una provincia posticcia, di cartapesta (come nei film di genere "exotica") dove quello che era folkloristico, naturale, armonioso, è oggi corrotto, finto, abitato da una decadente fauna fremente e psicotica. Rispetto alle intuizioni di ieri, l'oggi è una conferma.

Cosa ti è rimasto dell'esperienza con il gruppo darkwave "En Manque D'Autre"? Erano gli anni '80...

Forse una sensibilità ma tieni conto che non me ne sono rimasto fermo per troppo tempo. Gli esordi degli EMDA prendevano ispirazione dalla new-no-wave, dal dark, dal post-punk certamente ma essendo io un ragazzetto di provincia e essendo abbastanza curioso, per non apparire provinciale ho pensato da subito a una ibridazione di quello che giungeva da lontano con un mio filtro personale, cioè calare quelle avanguardie in un contesto popolare anche locale, non localistico-particolaristico-sovranista o dio me ne scampi-leghista, ma un modo di interpretare diverso. Non essendo nato o vissuto a Londra, New York o Tokyo dovevo trovare qui vicino, da qualche parte nei pressi di casa e in particolari episodi della mia vita quell'esistenzialismo, quella voglia di andare oltre.

Il successivo gruppo "Acid Folk Alleanza" ebbe maggiore durata, quasi dieci anni. In qualche modo però le radici erano già presenti, visto che un album degli "En Manque D'Autre" si intitolava "Folk acido".

Quando incontrammo Massimo Zamboni e Giovanni Ferretti, che all'epoca avevano da poco fondato i Dischi del Mulo, ci fu un accordo per cambiare il nome del gruppo che appariva un pò difficile da ricordare e di riproporre diversi brani dagli album degli EMDA che erano usciti come autoproduzione e dunque molto underground. Il gruppo in verità era lo stesso, le canzoni furono remixate con l'aggiunta di alcune cose nuove, quindi sì il primo album degli AFA "Acid Folk Alleanza" è per certi versi una riproposizione aggiornata delle teorie e del mondo musicale degli EMDA. L'occasione di farci conoscere a un più vasto pubblico si concretizzò poi quando Zamboni e Ferretti riuscirono a farci firmare un contratto con la Sugar di Caterina Caselli. Anche il successivo "Fumana Mandala" basato su un crossover impazzito di generi e stili (uscito per il neonato Consorzio, dopo che la Caselli ci aveva scaricati per non brillantissime vendite e per una nostra alienità nel bacino in cui agiva la Sugar) è legato al percorso che ha inizio con gli EMDA. Uno stacco deciso avverrà con il terzo album "Nomade Psichico" un deciso cambio di rotta e prospettive sonore.

Fu importante l'incontro con il Consorzio Produttori Indipendenti, cosa ci puoi raccontare a riguardo?

Fu un periodo davvero creativo, di grande fermento e di opportunità. L'incontro tra la factory de I Dischi del Mulo di Zamboni e Ferretti e la fiorentina Sonica di Maroccolo divenne un catalizzatore delle energie che circolavano in Italia. Un ottimo incastro tra libertà artistica e budget che la Polygram metteva a disposizione. Per ogni gruppo del Consorzio erano assicurate uscite discografiche, studi di registrazione, promozione, agenzia di concerti, tour ben organizzati. Oltre a questo tanti progetti collaterali che davano l'idea di una scena solida e unita : Materiale Resistente, Matrilineare, i Taccuini, l'organo di informazione "Il Maciste" e una visibilità data dalla possibilità di partecipare a programmi televisivi e radio che davano parecchio spazio alla nuova musica italiana. Naturalmente il live era la dimensione principale e così ho avuto la fortuna di suonare tanto e trovare situazioni tecniche dignitose, girare con una struttura ben organizzata e per dieci anni vivere solo di quello. A un certo punto forse per crisi di crescita del Consorzio , forse per il successo di CSI o per il mercato discografico in mutamento, qualcosa si è rotto ma confermo che guardo ancora con piacere a quel decennio. Vedo comunque che non tutto è andato perso e buona parte dei gruppi e degli artisti del Consorzio continuano a fare uscire dischi e lanciarsi in nuove sfide.

Cosa ha fatto nascere la voglia di proseguire il percorso musicale solo con il proprio nome? Mettersi in gioco senza necessità di mediare con altre persone?

Dopo gli AFA mi sono buttato in tante altre avventure, diciamo che mi sono disseminato in progetti assai diversi tra loro : Groove Safari (con alcuni ex AFA), quello più pop, tra lounge e electropop che mi procurò un contratto in Sony per un paio di singoli, Duozero (con Enrico Marani, ex TAC e Forbici di Manitù) una cosa più sperimentale, tra ambient e concreta, nello stesso periodo Roots Connection (tra blues e campionamenti, con Fabio Ferraboschi e lo scomparso Enrico Micheletti) poi il lungo capitolo a nome Ajello (con Dj Rocca del Maffia Club) con album, remix e djset di Italo disco, Babel (suoni multietnici, con Giovanni Rubbiani ex Modena City Ramblers) IRRS, Impresa Gottardo etc. Dopo tutto quel percorso a volte schizofrenico, è nata l'esigenza di espormi davvero in prima persona e concentrare tutte quelle esperienze in un unico risultato. Mi sono concentrato sulla forma canzone, perchè ritengo sia ancora un contenitore che possa aprire possibilità, dentro quella griglia mi interessa inserire elementi obliqui, dissonanti, estranei. Mi sta un pò stretta la definizione di cantautore, anche se dai tempi degli En Manque D'Autre e degli AFA ero io che scrivevo le canzoni o ideavo le strategie artistiche. Oggi non è tanto il discorso di mediare o meno, ho in mente dove voglio arrivare e o per scelta o per necessità mi ritrovo a gestire la mia musica in tutti i suoi aspetti. Debbo dire che questa libertà non mi dispiace.

Dagli anni '80 è cambiata non solo la musica, ma anche il modo di fruirla. Cosa pensi di tutti i cambiamenti tecnologici in corso?

Discorso assai complesso! E' un cambiamento oserei dire antropologico, giustamente come dici nella fruizione : i files digitali, lo streaming, la possibilità di avere tutta la musica di tutti i tempi a portata di un click e dunque un considerare epoche e generi in modo orizzontale e non più verticale. Piattaforme, social, il web che da un lato potrebbe dare una idea di democratizzazione in cui tutti possono avere visibilità ma allo stesso tempo la difficoltà di emergere in una giungla di input. Gli algoritmi che plasmano e replicano i nostri desideri, le major che concentrano le loro forze sui talent, il malinteso, tutto italiano, sul termine indie che non ha nulla a che vedere con il significato originario del termine. Certo è che non serve chiudersi in nicchie elitarie o fare eremitaggio artistico, credo che oggi il musicista debba sapere gestire tanti aspetti (progettualità, fattibilità, comunicazione) e trovare un contatto diretto e coinvolgente con i propri ascoltatori. E' necessario conoscere i meccanismi di costruzione di progetti e saper gestire in modo innovativo e agile, un mondo in continuo mutamento.

Fabrizio Tavernelli
Fabrizio Tavernelli