The Velvet Underground

White Light/White Heat

Review
Posted on 11/12/2018 - Last updated: 12/12/2018

“Pulp Life”.

Ma che bel posto che è New York, ma che belle sono le promesse mai mantenute, ma che bello è svegliarsi, con un male che non sai e riempirlo con tutto quello che ti fa star meglio e subito. Ma che bello è mandare al diavolo tutto e sentirsi sempre a un passo della morte, che in cambio ti fa sentire, vivo... chiamare quella morte, “rock'n'roll”.

Voci: “Ma che fine ha fatto Andy? Ah già, il disco che abbiamo inciso ieri non ha venduto niente. Nico c'è venuta a trovare? No? 'Fanculo, ci rubava l'attenzione della gente, ce la cantiamo noi “Here She Comes”. Voglio giocare con quegli strumenti su, facciamogli fare rumore. Oh che bello! Si così mi piace ehehehehe. Ehi Lou, ma che hai scritto in quei testi? Ma non hai sentito di quella tipa che ha infilzato il ragazzo con le forbici? Quello che si era spedito come un pacco? Che coglioni. Dai su facciamo andare i nastri e suoniamo fino a quando ci pare, tanto ci pensa John a farli girare bene eheheheh. John! E parla ogni tanto, gigante cazzone! Non parli eh? Tanto, mando Sterling a cacciarti dal gruppo, io non me la sento. Parlo io invece di cantare, chi l'ha detto che bisogna cantare?. 'Cazzo, ma che è sta roba? Non l'ha fatta nessuno. Siamo dei fottuti bastardi, siamo”.

I Velvet Underground...
Si perché a mistificare si fa in fretta, ma si dimentica allo stesso modo che dietro a certi gesti, a certi comportamenti, c'è una storia e che non ci sono “beati d'eroina” da mettere su un altarino. L'umanità è umanità nei suoi trionfi e nelle sue cadute ed è cosa che riguarda chiunque. A vederli da vicino, gli eroi, son proprio miseri, anche e soprattutto nell' “aura carismatica”, che alcuni di loro si son cuciti addosso come una maschera.
L'arte, ha artefici e intenzioni dichiarate, quanto “accade” per concorso di eventi, tanto più se viene riconosciuta come tale, perché, che quattro perfetti sconosciuti, arrivino alle grazie di Sua Maestà Andy Warhol, coi loro più o meno discutibili talenti, ma certo, con le loro identità, null'affatto trascurabili (chi artefice primario, chi gregario), è frutto di un “caso”. Un caso, che genera interesse, quello stesso, che solo a posteriori sarà leggenda, mentre, semi del male, vengono donati quasi con resa, senza aver nulla da perdere, manco la vita stessa.

Anno 1968, mentre si celebra l'era del flower power, come rito conclusivo, baccanale di una battaglia senza vincitori, né vinti (i morti illustri sono già dietro l'angolo), per qualcuno, che in quella battaglia mai si è riconosciuto, si brucia come un cerino, il tempo dell'innocenza, l'intuizione originaria. Paradossalmente, si è più innocenti di prima, perché più fragili, ammalati di droghe e svanite illusioni e perché nel timore si annida il peccato più morboso, quel “velluto sotterraneo, fatto di sadiche e tristi Veneri in pelliccia”, perché, d'un tratto, si è divenuti già “vecchi”.

Il gioco però, si fa così vivo che la musica e la poesia diventano vita e non c'è alcuna distinzione tra le une e l'altra. Purtroppo però, andato via Warhol, la credibilità e la “vendibilità” del prodotto Velvet Underground, sono messe al bando. Con esse, le magnifiche performance happening (gli Exploding Plastic Inevitable), che avevano permesso alla band di arrivare alla gente. Ora, ci si è guadagnati un gruppo di cultori, non tale da essere celebrità, ma ad un passo da questa, cosa che fa molto male all'Ego del gruppo. Non solo, si è del resto consapevoli, che l'unico modo per vivere di musica, è ricevere consensi, troppa gente ha deragliato e conduce una vita di stenti.

I “parties” cantati da Nico, sono andati e per “il domani”, c'è ben poco interesse. Questa dura realtà, da “far west” (valida ieri, ma molto, molto di più oggi), conduce ad un suono “nuovo” (non è chiaro se per mancanza di denaro o se per scelta, probabilmente ambo le realtà hanno avuto un peso), quello che sarà definito garage, sporco e al limite dell'udibile, nella title track. Nella sua magnifica sospensione finale di questa, la narrazione si fa talmente scollata dal “suono attorno”, da diventarne lo specchio più vero, quello che nessuno guarderebbe, perché capace di mostrare, “soltanto rughe”. E' osservare dietro lo specchio per verificare ancora una volta, il fatto che nessuno è perfetto e nessuno potrebbe esserlo, se guardato nell'intimità più pura, che il senso ha più senso, quando di senso smette di averne.

Il truce racconto di “The Gift”, narrato dal “poeta” Reed (uno scrittore autenticamente contemporaneo, mai riconosciuto come tale), è “l'America oggi”, quella di un Trump che dichiara fuoco libero a chi cerca di varcare muri eretti tra frontiere.

“Lady Godiva's Operation”, inizia col canto narcotizzato di Cale, per intrecciarsi giocosamente con quello di Reed, poi nastri, iniziano ad essere riemscolati ehm riscoelmati, ri.... beh, quella roba lì e la batteria di Moe Tucker, suona sfalsata. Compaiono suoni onomatopeici e vuoti. Il tutto si conclude nella sospensione più tossica.

Ma si, “Here She Comes Now”, suona bene, cantata anche da Reed, che la rende più bastarda, la viola di John è lontana (troppo), ma suona come una litania che ti prende alle spalle per farti l'amore.

“I Heard Her Call My Name”, è storia che macina sassi, appresso alla chitarra dilaniata di Reed e i tom picchiati tribalmente da Moe.
I “ragazzi morti” non lo sanno, ma stanno inventando il punk, con una perversione creativa che quei bimbetti anfetaminici, una decina d'anni dopo, non avranno. A due isolati, gli MC5.

Ma questa è un'altra storia, quella della “Sorella Raggio”, che fa la guerra con gli strumenti ed è una guerra, che sa di amore tossico, groviglio di corpi, un'orgia per non annoiarsi troppo. Cale è un uomo sublime e nessuno glielo dice (Reed, è il frontman e l'Eroe). Lo è, nell'aggiungere raga indiani, reiterazione e Bach portato per mano come Virgilio, giù nella gioia degli inferi. E' tuttora e non smetterò mai di dirlo, musicista davvero “colto”, uno di quelli che hanno abbandonato la propria formazione accademica, “resettandola”, per portare il suono e l'arrangiamento alla sua primigenia, spuria forma (ce lo racconteranno ancora di più i suoi dischi solisti, su tutti, il magnifico “Music for a New Society”, manifesto post-modernista e il secondo e terzo disco di Nico, “The Marble Index” e “Desertshore”, di cui, è co-autore, nella definizione di “enormi meteore, ancora senza nome e degna luce”). Poi, voce della Sorella Raggio, diviene una chitarra senza Accademia alcuna, ma anche come nessun'altra, tale da iniziare a farsi sentire, dicendo di conoscere un tale John Cage, cosa che null'affatto, “è un caso”. Moe Tucker, fa culturismo.

Voci: Dio che bicipiti baby....."Oh mio Dio, hanno ucciso Kenny!, Brutti bastardi" ... Ma va, Sterling Morrison è ancora vivo! Ragazzi, ma quanto dura questo pezzo? Cosa dici? Quanto duraaaaaaaaaa????? Ma chi sei tu? Dai, facciamo crollare tutto!!!! Ahahahahaha, che bello!”

Già, anche così si fa la storia ed è la Storia, con la “s” maiuscola, quella di una New York, che aveva ancora tutto da dire di sé e da consegnare ad un “resto del Mondo” (che qui chiama all'appello, Cale è scozzese, l'ombra di Nico, è tedesca) che aveva già in programma in qualità di “colonia TUTTA”, economica, militare, culturale.
In questo disco, il senso della “storia”, è nel suo essere, in una sorta di incosciente consapevolezza, Manifesto Programmatico di una cultura “naturalizzata in America”, vecchia, nuova e futura. Il denaro non era certo “il fine”, neanche il mezzo a ben vedere, il disco vendette ancora meno del precedente, gli introiti potevano bastare a malapena a soddisfare i bisogni dei quattro, ma non certo quelli di Ego, che portarono subito alla sbando.

Sarebbero arrivati altri tre album, in progressiva caduta libera.

Cale, avrebbe avviato una miracolosa carriera, tale almeno, fino all'inizio degli anni 2000 (“Hobosabiens”).

Reed, molte lune dopo, compagno della geniale violinista-cantante Laurie Anderson (profeta del minimalismo post-moderno), si sarebbe ritirato alla scrittura, prima di “riemergere” alla musica, su supervisione del suo estimatore e amico, David Bowie, con “Transformer”. I suoi massimi lasciti, oltre alla scoperta e alla “beatificazione” di innumerevoli talenti (Antony Hegarty, su tutti), sarebbero stati, ad ogni modo, il ritorno agli Inferi di “Berlin”; la furia iconoclasta di “Metal Machine Music”; la virulenza del live “Rock'n'roll Animal” (graziato dalla presenza di un Steve Hunter, “in fiamme”); il ritorno alla sperimentazione metalinguistica appresso alla forma canzone, prima compressa in “New York” e poi, dilatata, in “Ecstasy”.

Maureen “Moe” Tucker, avrebbe dato un contributo di pregio a “In Hell” dei Workdogs.

Sterling Morrison, l'amato “gregario” per eccellenza, fu il primo a lasciarci, nel 1995, per cancro.

Solo la ritornata fiamma tra i due “mastermind” della band, Reed e Cale, darà forma ad un'operetta, dedicata allo scomparso Warhol, “Songs for Drella”, capace di riportare alla matrice originaria.

L'ombra di Nico... tale rimarrà, a seminare due capolavori assoluti della storia della musica del '900, i prima citati, “The Marble Index” e “Desertshore”, un capolavoro sfiorato, “The End” e una serie di album ai margini, che la consegnano in qualità di precursore di troppe cose, così tante, da non garantire a Lei, nulla, se non l'oblio e il culto di (sempre meno), “pochi”.

“White Light/White Heat”, non è un disco, ma una PROFEZIA, in corso.

Audio

Video “Andy Warhol – Exploding Plastic Inevitable”

 

Dedicato alla memoria di Salvatore “Turino” Bucci e alla morte della “giovinezza”.
Fragagnano (Ta)

The Velvet Underground - White Light/White Heat

The Velvet Underground

White Light/White Heat

Cd, 1968, Verve
Genre: Art-rock , Rock

Information taken from the record

Formazione:
Lou Reed: voce, chitarra, pianoforte
John Cale: voce, viola elettrica, organo, basso
Sterling Morrison: voce, chitarra, basso
Maureen Tucker: percussioni

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