Vincenzo Zitello
Infinito
L'attenzione al suono acustico in tutte le sfumature è alla base di “Infinito”, fin qui, penultimo parto di Vincenzo Zitello, che tra questi solchi più che mai si mostra come compositore autentico più che polistrumentista capace di approcciare ogni tipo di strumento (arpa, violoncello, viola, violino, clarinetto, clarinetto basso, flauto, piccolo, low whistle, tin whistle, sul solo disco in questione).
Nessuna manifestazione tecnica in questi solchi. Un suono caldo, tra Irlanda, Mediterraneo tutto, America Latina, Oriente, neo-classicismo, nonostante l'arpa celtica sia strumento riconosciuto per primo all'autore, formatosi originariamente come violoncellista.
I dialoghi con gli archi e col bandoneon, disegnano un quadro cosmopolita e senza tempo nella traccia d'apertura, “Autunno”, colonna sonora per viaggi immaginari ad incontrare il Sudamerica. Una di quelle partiture che potrebbero ben figurare nel largo repertorio di Ennio Morricone, ma che qui incontrano un senso di intimità e struggimento senza termini di paragone. Il disegno è chiaro e limpido, tanto più il percorso seguito. Non c'è mezza nota fuori posto neanche a cercarla col lanternino. Consonanza pura, netta e dichiarata a voler dipingere uno scenario che rievoca un'unica parola: “bellezza”. Un' opening d'assoluta eccellenza. Classicismo più che “new age”.
Un classicismo che si affaccia all'amata e già citata ascendenza celtica e pur con più di qualche colore d'Oriente per la seconda traccia, “Inverno”. Qui emerge chiarissimo e nobile il contributo prezioso di Fulvio Renzi al violino. Un brano dalla melodia “cantata dagli strumenti”, pur in un cesello altamente prezioso. Come osservare dipinti preraffaeliti, estetica Art Nouveau e gli ori di Klimt. Si perché “pittorico” tutto si manifesta. Si assiste nota dopo nota ad una “necessità” di ritorno all'originario senso delle cose e al loro valore genuino e primario. Il disco annulla ogni pruriginosa volontà di sentirsi inserito in mode e tempi dettati da eventi o scelte pilotate da case discografiche e spacciate per “la realtà”. Eppure proprio in questa astrazione che null'affatto nega la partecipazione di altri musici con contributi cristallini (laddove l'individualismo è diventata una costante noiosa), che si avverte una contemporaneità. Contributi tutti prestigiosi, a firma di Daniele Di Bonaventura al bandoneon, Mario Arcari ai fiati, il citato Renzi al violino e alla viola, Daniele Bicego all'uilleann pipes, Yuriko Mikami al violoncello. Contributi esecutivi, perché magistralmente condotti dal M° Zitello, produttore e arrangiatore dell'intera opera. Lì dove musicisti d'ogni latitudine disegnano scenari dronici desolati pari a requiem, Zitello declama gioia di vita con pacata compostezza e fervida ispirazione. Ebbene si, “Nuova Consonanza” esiste ed è vegeta. Lo è qui nella ricerca di un “suono originario”, naturalmente percepito come archetipo primario. Queste melodie cesellate come dal più certosino degli orafi (o alchimista?), appaiono conosciute da sempre, come se appartenessero al nostro DNA. Scorrono fluide come acqua non deturpata.
E' così per la terza traccia, “Primavera”, come per ognuna di quelle che si susseguono col gusto di dono autentico. Nessuna ombra, neanche lontana, nessun livore o cenno di rabbia e neanche inni a “pace e amori” che siano, lo scenario è quello di un giardino in costante fioritura e dove nulla appassisce mai, un rigoglioso culto pagano alla fertilità perenne. Un Vivaldi contemporaneo che non conosce alcuna irruenza.
Splendido il ricamo di fiati (Mario Arcari) su “Estate”, tale da riscaldare il cuore del più cinico degli esseri.
Il libero scorrere di cristallini arpeggi in “Acque”, incanta come l'emergere dalle acque della Venere botticelliana, rapisce e toglie il fiato. Non c'è spazio per alcuna Ophelia di memoria shakespeariana, di nessun “Ludwig” tratteggiato da Visconti. Gli strumenti si affastellano in un dialogo serratissimo e pieno di passione profondamente sanguigna. Più che un'ode all'acqua come evocata dal titolo, si assiste all'ode dello scorrere del sangue nelle nostre vene. Un gioiello inestimabile.
Anche “Terre”, non richiama nella scrittura delle trame armoniche a nessun senso puramente ritmico, se non a danze rituali puramente idealizzate e come tali “sospese” come in un frame al ralenti.
“Fuoco” fa suo calore umano, non evoca alcuna distruzione, né senso di decadimento/usura, è notturno appena ombroso, un'invocazione solenne di una magnificenza incantevole.
“Arie” chiude il disco con una ritrovata grazia celtica tanto più manifesta nell'impiego di fiati suonati dallo stesso Vincenzo. Il finale dichiaratamente perentorio prelude a sviluppi futuri (“Metamorphose XII”, pubblicato poco dopo), in corso da tempo o di prossima pubblicazione.
E' questo disco oggettivamente perfetto, frutto di una grazia ispirativa in atto più che mai. Inutile segnalare una traccia piuttosto che un'altra se non sulla base di un gusto personale e il mio cuore batte per “Autunno”, “Estate”, “Acque”, “Fuoco”. Allo stesso modo inutile cercare termini di paragone. Per quanto alla mente possano tornare ricordi della migliore Alessandra Celletti e di Ian Anderson col suo “Divinities - Twelve Dances With God”, Vincenzo è arrivato prima di loro a questi lidi come autore di dischi sempre a fuoco e come impagabile, unico maestro dell'arte dell'arrangiamento e della composizione, per chi più giovane non avesse a saperlo, a fianco di Battiato, De André, Fossati, Alice, Tosca, Underground Life, Mario Castelnuovo, Teresa De Sio, Claudio Rocchi, Yo Yo Mundi, Alan Stivell, quel magnifico documento che è “Beat Generation” (con Massimo Arrigoni e Federico Sanesi) tra gli altri, tantissimi e illustri.
Andate a vederlo in una delle sue innumerevoli esibizioni dal vivo, correrete il “rischio” di vivere una delle esperienze più care alla vostra memoria.
Mosaici da godere come pura manifestazione di quell'infinito a cui il nome del disco si ricollega.
Un dono, un magnifico dono che merita solo profonda, gratitudine.
Vincenzo Zitello
Infinito
Genre: Classica , Contemporanea
Information taken from the record
Vincenzo Zitello: arpa, violoncello, viola, violino, clarinetto, clarinetto basso, flauto, piccolo, low whistle, tin whistle
Fulvio Renzi: violino, viola
con
Daniele Di Bonaventura: bandoneon (traccia 1)
Mario Arcari: corno inglese, oboe (tracce 2, 3, 4, 5, 7)
Daniele Bicego: uilleann pipes (traccia: 6)
Yuriko Mikami: violoncello (tracce 4, 5, 7)
Musiche e arrangiamenti di Vincenzo Zitello