Francesca Romana
Vermiglio
Vermiglio: disco singolare e pieno di fascino.
“Di colore rosso vivo” così recita il Devoto Oli alla voce “Vermiglio” e questo titolo ci sta tutto per un disco sanguigno e carnale, ricco di pathos e dolore, come questo lavoro di Francesca Romana Perrotta, ragazza dalla voce duttilissima in grado di essere flebile ed esangue, ruvida ed affilata, graffiante e tesa, fluida e dilatata secondo le circostanze.
Il disco si apre con “L’incantesimo”, una cantilena sinistra ed un poco angosciante, un brano molto notturno in cui le luci sono deboli e pallide “Luce di luna, pietre d’amore, sette candele due gocce di miele / ipnotiche cantilene, e giro. / Sono la strega che il cuore ti lega, scaccio la morte, decido la sorte / di formule e di magie, sei a corte”. Brano fatto di oscuri presagi e formule magiche, ipnotico e d’effetto, è comunque davvero singolare il fatto che il disco inizi con il brano apparentemente meno adatto perché freddo e tetro, scelta molto coraggiosa.
Ma già con “Il gusto amaro” si cambia registro, introdotto da un’improvvisa sviolinata, il brano si sviluppa cadenzato dalla batteria e dallo sferragliare delle chitarre elettriche con sonorità tipicamente rock e la voce si fa più tirata e roca. E’ canzone dal testo amaro su una storia d’amore che è probabilmente morta lo stesso istante in cui è stata suggellata su un altare “Alla mia fedeltà e finita storia / la mia speranza sorda e visionaria un attimo di ascetica / preghiera per questa povera signora / Per il piacere di sentirmi vinta / avete tolto la mia veste bianca / soltanto il gusto amaro di una volta sarà”. Bellissimo poi il verso di Francesca riportato nel libretto a fianco del testo “Eppure per un istante passione e purezza si sono sfiorate”.
Sonorità simili, ma un po’ meno tese caratterizzano la successiva “Mille maschere”, brano sull’ambiguità o meglio la falsità dei comportamenti umani, la voce è a tratti graffiante così come i versi “Dovresti uscire dal disordine dei tuoi pensieri / urlandomi le verità nascoste dietro mille maschere / e stare attento a te, stare attento dietro te”.
“Silenzi e polvere” è un pezzo molto pacato, cantato con voce dilatata e in alcuni passaggi quasi diafana, ma ancora impregnato di sofferenza interiore “Tra sospiri e lacrime, mi aggiro per le strade / tra i fuochi delle case, sperando di vederti” e poi “Il vento del piazzale addosso, mi stringe intorno / e piango per te, che non hai freddo / tre gocce di sudore addosso, l’inverno dentro e piango per te, che sei scoperto”.
Una dolente chitarra apre lo splendido e struggente brano “Paolo”, dedicato al personaggio collocato nel V Canto dell’Inferno dal sommo poeta Dante, qui Francesca (non la protagonista della vicenda) solleva in volo la sua voce e canta con grande trasporto i versi “"Amor ch’a nullo amato”, / mio diletto e sfortunato / Paolo, io vorrei / voltarmi indietro / e non guardarti più / e non vederti più / Paolo!”. Vorrei che il disco si fermasse qui in un loop senza fine.
La delicatezza del pianoforte ci fa entrare nel mondo intimista di “Aiutami”, una canzone ancora una volta improntata sulle pene dell’anima, dettate dalla solitudine e dal senso di isolamento da un mondo circostante che non riesce a comprenderci, vi si avverte un gran bisogno, inesaudito, di aiuto “Non senti che strano l’odore / che bagna lo spazio e le cose / So che in fondo potresti capire / aiutami… aiutami”.
Sonorità più scure, a tratti decisamente inquietanti, quasi a non lasciar tregua all’ascoltatore, raccontano “Salomè”, canzone ispirata ad un altro personaggio tragico della storia, questa volta, però la protagonista è una donna, una donna che da carnefice si trasforma in vittima, in una danza che la riscatta dalle colpe storicamente attribuitele, geniale il testo “6° velo osceno oltraggio / per la testa di Battista / sono ladra di me stessa / sono sola dentro la mia folle danza! / 7° volteggio, ultimo coraggio / il mio Paradiso , vermiglio sorriso / all'Inferno tutti vi… condannerà!”. La particolare musicalità mi ricorda poi i cromatismi eccentrici e visionari della Salomè di Carmelo Bene.
Più melodica e tradizionale è “Il gioco perfetto” condotta per mano dalla bella voce di Francesca, qui a dialogare fra loro troviamo pianoforte e chitarre, il ritmo è quello giusto né troppo lento né troppo veloce. E’ però forse la canzone più nella norma e quindi meno significativa del disco.
Con “Mara a mie” si cambia nuovamente direzione e si prende la rotta verso sud-est o meglio, tenuto conto che Francesca è di origine leccese, non ci sposta di un passo. Siamo nell’ordine della taranta, la voce mi ricorda molto il modo di cantare della De Sio, però i suoni sono anche questa volta scuri, con toni drammatici, sempre un po’ inquietanti e misteriosi, sanguigno e vibrante il testo “Mara a mie, me giru, me otu / me pijia, lu cautu intra all’anche / la taranta me pizzicau, la taranta me pizzicau, / me ‘mbilenau lu sangu”. Brano difficile ma suggestivo, come il verso della stessa Perrotta riportato a fianco del testo “L’aria s’infiamma, la bocca mi gela, son Bianca o son Eva?”.
Con “Canzone verde” sembra di approdare in un’oasi di pace, ha un incipit lento e soffuso, caratterizzato solo dalla presenza di armonium e chitarra acustica, la voce si fa dolce e delicata fino all’apertura del ritornello, melodico e davvero intrigante “Il sole che sale, l’odore di una mattina / tua madre che grida da sopra alle scale / fa male, fa male / Lo sguardo della gente, quello di lui che non sarà per sempre / la delusione che da / fa male, fa male”, si tratta di un brano assolutamente non banale, con il pregio dell’immediatezza. Uno dei miei preferiti.
Il disco si chiude degnamente con “Seta”, chitarra acustica e voce sola in apertura, poi anche chitarra elettrica e percussioni per un brano in cui è come fosse racchiuso in estrema sintesi l’intero disco, che in fondo è un come fosse un concept-album in cui le canzoni sono tenute da un filo vermiglio “La seta accarezza la sera che scende / appesa, leggera rimango vestita… rimango vestita / Di rosso di nero, di bianco di vero in bocca alla notte mi tocchi ferita, / mi tocchi ferita Sono dove sogni, ti avvicini, non dovresti…”. Ci sono sacro e profano, ci sono abbandono e ritrosia, ci sono dubbi e certezze.
Siamo davanti ad un gran disco, scritto con maestria ed interpretato con una voce molto originale che Francesca sa utilizzare con destrezza, lasciando sempre esterefatti ad ogni ascolto.
Un plauso infine per il libretto che riporta raffinati ritratti di Francesca, a me ricordano tanto quelle fotografie che si ritrovano nei cassetti dei comò di una volta, quelle con le immagini in bianco e nero viranti al seppia, con i particolari colorati a posteriori, particolari color rosso vermiglio che le donano fascino raffinato e discreto.
Francesca Romana
Vermiglio
Information taken from the record
Vanni Crociani: pianoforte
Massimo Marches: chitarra acustica ed elettrica
Giuseppe Bonomo: chitarra acustica ed elettrica in “Paolo”
Cristian Bonato: rhodes, wurlitzer, synths
Francesco Cardelli: basso
Tomaso Graziani: batteria e percussioni
Andrea Costa: violoncello
Pino Zimba: loop di tamburelli in “Mara a mie”
Musica e testi di Francesca Romana Perrotta eccetto:
“Aiutami” musica e testo di F.R. Perrotta/M. Marches
“Paolo” musica e testo di F.R. Perrotta/G. Bonomo
“Mara a mie” e “La seta” musica e testo di F.R. Perrotta/G. Graziani
Prodotto da Max Monti & Mauro Pilato per Exess Srl
Arrangiato da Francesca Romana, Cristian Bonato, Massimo Marches
In “Paolo”: Cristian Bonato, Francesca Romana Perrotta e Giuseppe Bonomo
Registrato da: Paolo Zavaglia e Cristian Bonato nella casa nel bosco sui colli di San Leo (Rimini)
Missato da: Roberto Passeri all’Exess Studio di Riccione