Il mio viaggio a Santiago, ora che sono qui a ripensarci , è un viaggio a ritroso , la vita vista da un vetro, una città vista dall'alto, il ricordo di un ubriaco appeso al bicchiere.
E' quell'odore forte di eucalipto che ti accompagna per decine e decine di chilometri, i piedi che bruciano e i polpacci che fanno male.
E' la rabbia e poi la gioia per la pioggia che ora ti bagna , ora lascia il posto al sole per bruciarti e tornare a bagnarti ancora.
E' il poncho che non riesci a mettere perché a 1300 metri c'è un vento fortissimo e oltre alla magnifica vegetazione : il Silenzio- Intorno.
E nessuno, nessuno per dei chilometri interi.
Il cammino comincia però lontano, nella tua testa , quando ti sorprendi a decidere di partire, quando ti batte forte il cuore perché l'aereo sta decollando e quando scenderai, se scenderai, sarai in Spagna.
E' camminare la notte con la pila a cercare il tuo saccoapelo, mentre tutti russano fortissimo e non riesci a chiudere occhio.
E' prendere il sacco a pelo alle tre di notte e dormire sulla panca dell'entrata dell'albergue di Villafranca del Bierzo.
E poi sorridere ancora , il mattino dopo , perchè una bimba ti racconta della sua festa di compleanno e ti porta alla playa fluvial dove l'acqua benefica è ghiacciatissima e infine voltarti a salutarla insieme alla nonna e capire da quanto tempo ti mancava qualcuno che solo con due parole e con una mano alzata ti dà più di mille baci e promesse.
Il cammino di Santiago è l'incertezza nel metterti in cammino e poi la gioia nei saluti alle persone e nelle frasi di incoraggiamento.
E' sorridere al mattino alle sei a persone venute da paesi lontani con cui non riesci nemmeno a parlare.
Il cammino di Santiago è entrare soli, per primi, in un ostello buio, titubare, dubitare e poi risvegliarti il mattino dopo con l'Ave Maria di Schubert , abbracciare le persone e sentire quel lieve dolore che si ha quando si sa di perdere qualcuno.
Il cammino di Santiago è una continua perdita e ritrovo e poi ancora perdita.
E' fermarsi sotto una pensilina perchè piove a dirotto e non hai nemmeno un centimetro di pelle asciutta e poi riprendere il cammino con persone che ti fanno scordare tutta la pioggia e tutti i dolori.
Santiago è la fila per prendere un letto dove passare la notte, ritrovare il giorno successivo in un altro posto le stesse persone del giorno prima e capirsi con un sorriso e non una sola parola.
Santiago sono le persone che non pensavi di conoscere, le loro storie che non immaginavi.
Santiago è uno scozzese professore di architettura con il quale in un ibrido di lingua ridere degli omoni che puzzano e russano e in un modo divertentissimo e persino infantile scongiurarne l'arrivo.
Santiago è la fiducia.
Sono due occhi sinceri che il mattino dopo, carichi di luce immensa, ti danno due pastiglie di magnesio e al mondo per te non c'è davvero niente di più prezioso.
Santiago sono i 7000 fazzoletti di carta che metti nelle scarpe per farle asciugare, i menu del peregrino e i dai che rimaniamo tutti insieme nell'albergue.
Sono le mandrie di mucche , i rivoli che spuntano all'improvviso tra le querce, qualcuno che ti racconta di antichi pellegrini scambiati per streghe e il saluto contraccambiato di un vecchio pastore arroccato su una roccia.
Infine Santiago è l' arrivo a Santiago e l'elaborazione del lutto.
Negli abbracci , nei ritrovi prima degli addii, nelle corse all'ufficio compostellano.
E nella chiesa si compie il rituale, di una felicità amara quasi come un funerale che commemora la memoria del defunto, ti senti commemorato come pellegrino e capisci che il viaggio è finito,
che sei arrivato nonostante nemmeno tu ci avessi creduto.
Santiago Cattedrale una serie di numeri e di località di partenza e un brivido infinito che corre lungo la schiena quando quel numero parla di te e della tua storia.
Ma soprattutto Santiago è qualcuno che distribuisce fiori a tutti i pellegrini e si volta per non turbare e farsi turbare da chi per quel gesto inizia a piangere...