Il palco nero ha un fondale di sbalzi neri in cui a malapena si intravede una scala, nerovestita anch’essa.
Il pubblico ha già letto la guida all’ascolto ed è perlopiù disorientato dal numero di dialetti che ascolterà (cilentano, napoletano, calabrese, sardo, pugliese, siciliano) e dalla quantità di nomi epici che compaiono nella due pagine di presentazione.
Tutti gli spettatori vengono convogliati insieme in sala, dopo un’attesa di gruppo in un’altra accogliente sala. Convergono ad occupare le sedie, a loro volta nere, dove impersoneranno, silenziosi, i rinchiusi nel cavallo di Troia a cui si rivolgerà Elena, interpretata dalla napoletana Paola Tortora.
Sarà proprio il silenzio – di tomba – degli astanti l’interlocutore principale di Elena, che si farà in sette, con un corredo minimal di veli che utilizzerà in modi fantasiosi, costruendo tende semoventi intorno a sé stessa, diventando un’altissima Clitemnestra grazie all’aiuto della scala camuffata, agghindandosi in più modalità, aiutandosi con oggetti di scena minimalisti, come lumini appesi al soffitto, una mela dorata che altalenerà ad un certo punto dello spettacolo, una rosa rossa che addenterà mentre impersonerà Anissibia.
Molto potente la performance dell’attrice, che ha mantenuto il pathos per tutta la durata dello spettacolo, in un monologo in cui ha interpretato Elena che a sua volta interpretava, oltre che sé stessa (in italiano), sei donne collegate ad altrettanti valorosi eroi chiusi nel cavallo (in dialetti del sud). Oguna di loro, infatti, rappresentava un sentimento o comunque qualche entità astratta: Elena il perdono, Egialea la gelosia, Epione la nostalgia, Peribea il dovere, Clitemnestra la rabbia, Anassibia la saggezza, Penelope l’amore.
Il presentatore ha detto: “Questo spettacolo non va capito, ma ascoltato”. In effetti, se prima si poteva essere perplessi alla lettura della guida, poi bastava farsi guidare dal flusso delle parole, dalla loro intonazione e dalla musica al pianoforte di Luca Urciolo, creata apposta per lo spettacolo e molto coinvolgente. Lo spettacolo è risultato fruibile anche per una piemontese doc come me.
Ho trovato il trucco del viso un po’ troppo geometrico, e alcune interpretazioni mi sono risultate così potenti da essere al limite con la mascolinità. In certe occasioni, soprattutto quando si trattava di rappresentare sentimenti particolarmente femminili, avrei preferito un tono più dolce. Ad esempio, la saggezza di Anissibia a me ha fatto venire in mente la rabbia, forse più di Clitemnestra stessa e della sua statura imponente. Anche i colori dei veli con cui venivano abilmente e velocemente creati abbigliamenti sotto gli occhi del pubblico, complice il buio e il nero della scena, avrebbero secondo me potuto essere più collegati ai sentimenti espressi. Un velo arancione non mi fa pensare alla saggezza. Considerato che molte frasi in dialetto sarebbero sfuggite agli spettatori, la già ben confezionata scenografia avrebbe potuto essere più d’aiuto, ma forse i contrasti erano volontari e servivano a far nascere dubbi e soluzioni creative nella mente di chi osservava.
Nel complesso una buona performance, costata sicuramente moltissimo lavoro.
Meritato il lungo applauso a Paola Tortora, Luca Arciuolo e al poeta Manrico Murzi, pescato dal pubblico e omaggiato per la produzione in endecasillabi.
“LE SETTE VOCI DI ELENA” - Torino, 8-9/02/19 – Stalker Teatro officine CAOS
di
Mattea Rolfo
Pubblicato il 16/02/2019
Argomento: Racconti