Il 2015: riflessioni e resoconti di fine anno

Pubblicato il 19/12/2015 - Ultimo aggiornamento: 24/12/2015


Abbiamo pensato di chiedere ad amici e collaboratori di parlarci delle cose che li hanno emozionati di più nel 2015, non solo per quanto riguarda la musica, ma per tutto ciò che ruota intorno alla cultura e al vivere. Di seguito i singoli interventi, in ordine alfabetico.
Ci piacerebbe però che anche i lettori lasciassero nei commenti a fine pagina, i loro momenti preferiti del 2015!

 

Marco Maria Maurilio Bicelli

2015… Ho dato un occhio alla mia prima recensione su estatica… non ci credevo è passato solo un anno, onestamente mi sembrava molto di più. Ciò credo sia significativo nel descrivere una famiglia e soprattutto delle amicizie. Ho scritto famiglia per il semplice fatto che gli amici si scelgono, la famiglia no … la famiglia chiama. È un concetto che a parole mi viene male, perché detto così sembra brutto, ma in realtà è molto bello perché famiglia vuol dire anche supporto e stima, che sono oltre all’amicizia due fattori che hanno fatto diventare estatica come la mia seconda casa (prima c’è quella reale con mia moglie ;) ). Sembrava di più perché nel frattempo ho scritto 43 interventi il che vuol dire poco meno di uno a settimana.
Il 2015 però me lo ricorderò anche come l’anno degli attentati a Parigi, esempi della pazzia umana (occidente ed oriente tutti inclusi, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”) pazzia che ci porta sempre più a non vivere. Queste parole mi riportano al concerto degli Art Breakers che hanno detto pressappoco  così: “Abbiamo pensato se fosse il caso, in segno di rispetto, se far rientrare alla base il dirigibile degli Art Breakers. Abbiamo convenuto che il concerto l’avremmo fatto proprio per rispettare quei morti, colpiti nella loro quotidianità”. Non sono proprio le parole usate da loro, ma il concetto che voglio ricordarmi e ricordarvi è questo: VIVERE.
Vivere vuol dire non fermarsi, non scoraggiarsi, perseguire le proprie passioni anche se ci sono persone che osteggiano e che preferirebbero che ci fermassimo, ma non solo, vivere è anche vivere con gli altri, cosa non facile, ma sempre possibile.

 

Francesco Cantoni

Ecco la mia lista delle migliori uscite del 2015, in ordine sparso e, ovviamente, su vinile:

WEIRD. A long period of blindness (LP Lady Sometimes records)
E’ facile farsi entusiasmare dai suoni sognanti e dalla potenza di una questa giovane band romana, shoegaze da manuale, ma non solo.

STEVEN WILSON Hand Cannot Erase (2LP Kscope)
Steven Wilson da anni traccia la rotta del prog, “Hand Cannot Erase” è l’ennesimo capolavoro.

SUEDE Dog man star, 20th anniversary live - Royal Albert Hall (4LP+2CD Demon)
Ritrovare “Dog Man Star”, a vent’anni dalla sua uscita, suonato completamente e pubblicato in una veste sontuosa, book+4LP+2CD,  è una occasione imperdibile per celebrare degnamente uno dei lavori fondamentali dell’epopea Brit Pop.

GLEN HANSARD Didn't he ramble (LP Anti)
Con “Didn’t he ramble” il busker irlandese dimostra per quale motive è così considerate da alcuni suoi illustri colleghi, irish soul.

BELLE & SEBASTIAN Girls in peacetime want to dance (4LP Matador)
La band di Stuart Murdoch sforna un ottimo lavoro con brani nel loro tipico stile e con altri incredibilmente capaci di scaldare il dancefloor.

BAUSTELLE Roma Live! (2LP Warner)
I Baustelle con “Roma Live!” ripercorrono la loro ormai ventennale carriera, con la chicca di due cover eccellenti, "Avec le temps" di Léo Ferré e A lady of a certain age" dei Divine Comedy.

NATALIE MERCHANT Paradise is there - The new tigerlily recordings (LP Nonesuch)
Tigerlily già vent'anni fa era un disco bellissimo, Natalie Merchant lo registra nuovamente con arrangiamenti soffici e delicati, ottimo per avvicinarsi a una grande artista poco considerata nel nostro paese.

CALEXICO Edge of the sun (2LP City slang)
I Calexico sono maestri nel suonare il tex mex, la loro formula è sempre vincente.

 


Fabio Casagrande Napolin

L’anno trascorso ha saputo regalarci pochi ma buoni prodotti di intrattenimento che meritano di essere menzionati. Cominciamo dalla tv. Il 2015 ha visto confermarsi l’interesse suscitato dalla bella serie televisiva Gotham, approdata in Italia l’anno precedente, prequel e genesi dei personaggi dell’universo del supereroe DC Comics Batman. Il telefilm è l’unico caso in cui posso dire di apprezzare i live action derivati dai fumetti della storica casa editoriale, altrimenti noiosi nelle degenerazioni televisive di personaggi come Green Arrow o Flash, o nelle terribili trasposizioni cinematografiche recenti di Lanterna Verde o Superman. Non parliamo poi dei terribili Batman infantili e hi-tech di Joel Schumacher o di quelli “militareschi” (mi riferisco soprattutto alla più brutta Batmobile mai vista sullo schermo) e kung-fu di Christopher Nolan, per cui bisogna andare indietro fino ai film di Tim Burton per trovare qualcosa che meriti veramente la pena di essere rivisto. Gotham è invece avvincente e infarcita di ammiccamenti al pubblico “oscuro”: brani dark wave anni ottanta a non finire, design e costumi squisitamente cupi… Insomma, un prodottino raffinato e godibile. Ma il 2015 ha visto soprattutto l’apparizione del telefilm Aquarius. Se la pluripremiata serie Mad Men era ambientata all’inizio degli anni sessanta, Aquarius ne rappresenta la continuazione ideale, collocata alla fine della decade. La serie ci fa assistere alle avventure, ambientate nella Los Angeles del 1967, dell’agente Sam Hodiak (David Duchovny, il Fox Mulder di X-Files) che indaga sulla scomparsa della giovane Emma. Questa, scappata di casa, trova rifugio in una comune hippy chiamata “la famiglia”, che gira su di un bus scolastico dipinto di nero ed è capeggiata da un personaggio squinternato e dall’aria pericolosa di nome Charlie… Se non l’avete già capito, la serie è incentrata proprio sulle vicende della “Family” di Charles Manson che precedono di un paio d’anni gli omicidi Tate/LaBianca. Affascinante ricostruzione di un momento importante della storia del XX secolo, quello dello scontro generazionale tra gli adulti cresciuti a vitamine (e vari farmaci più o meno potenti) ed easy listening e quello dei giovani, pacifisti, contestatori e desiderosi di cambiare un mondo ingessato nel conformismo, che trovarono nella Summer of Love californiana e nell'LSD la propria realizzazione. Movimento quello dell’estate dell’amore durato il breve arco di una stagione, ma che ha lasciato tracce indelebili in tutta la cultura occidentale. Unico neo del telefilm, a mio avviso, è la caratterizzazione del personaggio di Charles Manson: l’attore scelto è infatti completamente sbagliato, fuori parte e decisamente troppo “fighetto”. Mal incarna il carisma malato dell’originale personaggio, più nel male che nel bene, una delle icone della cultura statunitense degli anni sessanta.

Non è facile parlare a cuor leggero di cinema. I film che escono oggi nelle sale sono per lo più vuoti blockbusteroni sostenuti solo da una montagna di effetti speciali. Brutte derivazioni di un’idea originale spesso ripresa da fumetti, vecchie serie, vecchi film di cui viene realizzato un un brutto remake, quando non un pessimo reboot. Il cinema italiano non è solo morto: è uno zombie che continua a trascinarsi sui propri arti decomposti. E poche davvero sono le eccezioni. Il cinema orientale di arti marziali non mi piace. Gli horror sono diventati disgustosi e inguardabili, quando non tanto malati da risultare insostenibili (e io non sono affatto un faint of heart). Sul versante gotico i deliri vampireschi adolescenziali non meritano la benché minima attenzione. La fantascienza sa invece ancora regalare qualche emozione. Negli ultimi anni film come Lucy di Luc Besson o Under The Skin di Jonathan Glazer (giuro: è un caso che entrambi siano interpretati da Scarlett Johansson…) sono stati delle piacevoli eccezioni a un generale appiattimento dell’intrattenimento cinematografico di genere sci-fi. Nel 2015 la mia personale preferenza va sicuramente al bel film Ex Machina, visione distopica futuristica scritta e diretta da Alex Garland (sceneggiatore del post-apocalittico 28 giorni dopo e al suo esordio alla regia), con protagonista l’androide Ava interpretata da Alicia Vikander. Riuscito aggiornamento del tema della macchina ribelle, tanto caro al cinema di fantascienza di tre-quattro decadi fa, in un’epoca in cui la cibernetica sta facendo passi da gigante e in cui l’informatica domina ormai le nostre vite. Costruzione claustrofobica e sottilmente psicologica, in cui molti temi si sovrappongono, primo fra tutti il gioco di inversione di ruoli tra padrone e schiavo… Certamente uno di quei bei film di fantascienza – in cui per sovrappiù non guasta l’inserimento di alcuni full frontal nude femminili – che lasciano nel palato un piacevole retrogusto una volta terminata la visione.

So che rischio di contraddire l’iniziale assunto in merito alla mia idiosincrasia nei confronti dei blockbusteroni pieni di effetti speciali, ma la saga di Guerre Stellari non può fare a meno di risvegliare il bambino (e il nerd) che c’è in me. E non ci sono dubbi: per forza di cose il 2015 è stato l’anno del ritorno di Guerre Stellari. Con Star Wars: Il risveglio della forza, attesissimo primo dei tre film della trilogia sequel dell’originale (ma c’è anche la trilogia Anthology, per un totale di 6 nuovi film), abbiamo assistito a uno dei più imponenti battage pubblicitari della storia del cinema, che ha contribuito a creare un’aspettativa senza precedenti. Per arrivare preparati alla visione del nuovo capitolo della saga creata da George Lucas, si sono organizzate maratone casalinghe delle precedenti due trilogie, precedute dal fondamentale dibattito in merito all’ordine da seguire nella visione. Come guardare la saga, in ordine nominale (I-II-II-IV-V-VI) o in ordine cronologico (IV-V-VI-I-II-III)? Personalmente mi permetto di consigliare un altro ordine, che prevede di partire dal primo film prodotto, Guerre Stellari, cui far seguire il secondo, L’impero colpisce ancora, saltare il primo film della seconda trilogia (che è brutto brutto), passare a L’attacco dei cloni e La vendetta dei sith, quale flashback dopo la rivelazione a Luke Skywalker da parte di Darth Vader sulla sua paternità, quindi concludere con Il ritorno dello jedi. Questo prende il nome di Machete Order (IV-V-II-III-VI), dal blogger che lo ha definito in un suo post. Con Star Wars: Il risveglio della forza si riprende da trent’anni dopo Il ritorno dello Jedi e ritroviamo quindi i personaggi di Luke Skywalker, Leia Organa, Han Solo, Chewbecca e la loro progenie alle prese con una sorta di neonazisti chiamati Primo Ordine (forse imparentati con Ordine Nuovo?) che vogliono finire il lavoro cominciato da Darth Vader e Palpatine. Il film è nato grazie alla cessione del franchising da parte di George Lucas alla Disney, dal momento che dopo la (poco felice) esperienza con la trilogia prequel, il suo creatore era dell’idea di finirla lì. Piacevole sorpresa è invece l’affidamento della regia a J.J. Abrams, personaggio assurto alla gloria grazie alla tv (Lost, soprattutto, ma la mia preferenza va alla splendida serie Fringe), il cui passaggio alla direzione della saga di Star Trek non mi aveva reso per niente felice: il reboot della serie classica è uno dei crimini contro l’umanità più efferati che ha vissuto la nostra epoca. Insomma, JJ ha rovinato ST, ma ha salvato SW. Il nuovo film è infatti di buon livello, riporta l’immaginario della saga agli standard dei primi film: insomma, niente alieni ridicoli e mollicci, niente pianeti-metropoli alla Blade Runner, niente astronavi cromate e nemmeno orsetti del cuore puccettosi. Ma è anche vero che la trama non brilla certo in quanto a originalità. Cattivone vestito di nero che indossa una maschera passato al Lato Oscuro delle Forza guida un’arma di forma sferica in grado di distruggere pianeti, che alla fine viene annientata dalle forze dell’Alleanza Ribelle che vi scoprono un punto debole. Sa di già visto, no? Persino il Generale Hux, che affianca il signore oscuro Kylo Ren, sembra la reincarnazione di Tarkin del primo Guerre Stellari. Ma la pellicola (nel vero senso della parola: è stata infatti girata su film) regge e le si perdonano anche queste manchevolezze minori. I nuovi personaggi sono interessanti, soprattutto la nuova jedi Rey, di cui siamo curiosi di seguirne gli sviluppi, anche in considerazione del cliffhanger con cui si chiude questo episodio VII. Ora aspettiamo di vedere il primo film della trilogia spin-off Anthology, Rogue One, in arrivo nel 2016.

Per quanto riguarda i libri, nel 2015 sono usciti almeno tre volumi molto interessanti, che elenco in ordine strettamente cronologico. Gianluca Meis, reduce dall’esperienza monografica sulla cantante di Castelfranco Veneto #Rettore Magnifico Delirio, edito VoloLibero, nel 2015 se ne esce invece con il bel saggio storico sulla resistenza Quando arrivarono i tedeschi, pubblicato da Graphe.it il 25 aprile. Nel suo libro Meis racconta in modo assai avvincente, attraverso delle brevi memorie storiche locali, gli avvenimenti che hanno sconvolto l’Italia tra l’8 settembre del ’43 e il 25 aprile del ’45, quando la Penisola era occupata dal governo fantoccio repubblichino e della truppe nazi-fasciste. Alessio Marino e Massimiliano Bruno hanno invece dato alle stampe per i tipi della Tsunami Edizioni l’ottimo tomo di 400 pagine Terzo grado. Indagine sul pop progressivo italiano. Un immane lavoro di ricerca su un genere musicale oggetto di culto e di tenace collezionismo, arricchito per sovrappiù da un prezioso allegato: una ristampa del rarissimo (e costosissimo) 7” di Lydia e Gli Hellua Xenium Diluvio/Conoscevo un uomo, originalmente stampato da Radio Records. Sempre per Tsunami Edizioni, verso ottobre esce la biografia scritta da Max Ribaric Tutti su di me, vita, orgasmi e miracoli del “casto divo” Immanuel Casto. Cantante autoproclamatosi “re del porn groove”, Immanuel Casto ha costruito la sua intera carriera sulle allusioni sessuali, i doppi sensi e liriche birichine e sporcaccione. Erede a modo suo degli stornellacci a doppio senso degli anni sessanta/settanta, Casto è ora divenuto un’icona e un personaggio culto, proprio per questo suo osare parlare di sesso in modo diretto, affrontando spesso temi scottanti come il sesso e la religione, e per questo allievo di quello sberleffo beffardo e irriverente che divenne la cifra stilistica di una formazione come gli Squallor.

Chiudiamo questa rassegna di prodotti culturali con la musica. Non seguo i prodotti dell’industria discografica mainstream – ma questo non significa che non vi siano supporti fonografici rilevanti prodotti da una major – perciò le mie preferenze non possono andare che a due album autoprodotti o indie. In primavera è uscito il secondo album della formazione “voodoo blues” (così si autodefiniscono) veneziana Mr. Wob and The Canes (che il gruppo traduce scherzosamente “Mr. Wob e i cani”, nei loro show), The Ghost Of Time. Si tratta di una pura autoproduzione, uscita unicamente in formato CD, da una band che propone un’originale e molto intrigante forma di blues “primordiale”, vicino alle radici del genere. Il gruppo è attualmente un trio: Andrea “Mr. Wob” Facchin alla voce e chitarra, Loris Tagliapietra al basso, Giovanni “Sugo” Natoli alla batteria e alla washboard, di cui è un autentico virtuoso. Ma il gruppo si trasforma spesso in quartetto grazie all'aggiunta di Alejandro Garcia Hernandez alle percussioni e ai bongos. Assai coinvolgenti i loro live, che restituiscono una forma di intrattenimento puro, grazie all'estrosità della formazione veneziana, alla padronanza degli strumenti e alla capacità di miscelare una musica gustosamente “nera” (nei due sensi di afroamericana e di “triste”) con un tocco di brillante umorismo. Una menzione speciale va ad esempio alle originalissime cover di Ring Of Fire, classicone country di Johnny Cash da loro rielaborato in chiave dixie con curiosi inserimenti di “pietre” hendrixiane di provenienza “solare”, o Iko Iko (invidio tantissimo le “bacchette laser” di Mr. Wob). Quest'ultima è una canzone carnevalesca di New Orleans, che nella coinvolgente rivisitazione del trio blues si attesta al primo posto della mia personale classifica delle tante versioni realizzate della canzone da sessant'anni a questa parte. Non troverete questi due pezzi nei due CD prodotti dal gruppo, ma i due loro album riescono a restituire comunque parte dell'atmosfera delle esibizioni dal vivo, perché registrati “live in studio”. Il gruppo non si affida alle sovraincisioni normalmente utilizzate nelle registrazioni, se non per alcuni strumenti aggiuntivi, ma esegue tutte le tracce in un unico take. Del CD The Ghost of Time (acquistabile solo direttamente da loro), va prestata particolare attenzione a brani come Ohio State, in cui Mr. Wob canta le liriche del poeta Luciano Cecchinel, o alla favolosa The Real Old BLUSE, quasi un gospel corale con l'inserimento di trombe (di David Boato e Federico Nalesso) e persino di un organo Hammond (di Fabio Ranghiero). Ma molte altre sono le tracce interessanti alternate a quattro brevi ghost track eseguite dal solo Mr. Wob con il banjo. Davvero un grande disco quello di Mr. Wob anche per chi, come me, non è normalmente un frequentatore del genere. Unico rammarico è quello di non vederli ancora pubblicati su vinile.

Su vinile invece è uscito in autunno il secondo LP della formazione New Processean Order, non un gruppo vero e proprio, ma un progetto industrial-esoterico capeggiato dal grande Alessandro Papa. Ex proprietario assieme alla moglie Gloria Bazzocchi della storica libreria-galleria d’arte Mondo Bizzarro, prima a Bologna e poi a Roma. Più che un negozio, un vero e proprio punto di aggregazione per tutti i “cultori dell’apocalisse” e dell’erotismo estremo della penisola. Ceduta la libreria ad altri proprietari, il Papa si è dedicato alla stesura di un fondamentale tomo sulla storia del movimento religioso The Process - Church of The Final Judgment, pubblicato dalla sua casa editrice End of Kali-Yuga Editions. Nel 2014 l’etichetta si amplia, diventando anche casa discografica, e con essa Alex dà alle stampe il primo album del progetto musicale New Processean Order, con il quale intende trasferire in musica i dettami del movimento religioso. Grande disco di cui mi sento di amare particolarmente il brano meditativo Hymn to Lucifer: Lucifer Descending. Hymns To The Great Gods Of The Universe, uscito solamente in vinile, ha visto la collaborazione di artisti come Kirlian Camera, DBPIT & XxeNa, Teatro Satanico, Davide Tozzoli alias N., cui Papa ha assegnato il compito di mettere in musica le invocazioni rivolte alle quattro divinità di The Process: Cristo, Lucifero, Geova e Satana. Nel 2015 riecco il New Processean Order all’opera con un nuovo e se possibile ancora più bel lavoro, CrucifEgo, uscito questa volta oltre che su vinile anche su CD. I personaggi coinvolti nell'operazione sono completamente cambiati: il New Processean Order è un ordine i cui monaci sono numerosi e vengono chiamati di volta in volta a missioni differenti. Alla preghiera CrucifEgo si alternano così i “fratelli” (“brother”, nelle note di copertina) Simon Ballestrazzi (storico fondatore di Tomografia Assiale Computerizzata), Marcello Fraioli e Claudio Gianmarini (ambedue negli Ain Soph), Marco Deplano (Wertham e Foresta di Ferro) e altri. Bel disco di cui è difficile scegliere un brano rappresentativo. Forse basta la titletrack CrucifEgo, ma personalmente mi sento di amare soprattutto la splendida meditazione cosmica A Light In The Tunnel Of Darkness, mentre sul lato B del disco vengo sedotto dal potente mantra Om Saham Hamsa, forse per il mio amore nei confronti della musica “circolare” e dei mantra religiosi orientali. Da sottolineare che le produzioni discografiche della End of Kali-Yuga Editions sono sempre assai ben curate, si sente il lavoro di arrangiamento e mixaggio svolto da personale preparato e non affidato al caso o all’estro del momento. I supporti sono poi particolarmente collectible: se Hymns To The Great Gods Of The Universe è stato distribuito anche in una versione deluxe con una stampa in tiratura limitata, CrucifEgo è invece disponibile anche in una jewel edition con allegata una collanina recante come pendente il simbolo del movimento religioso.

Vorrei aver incluso in questo articolo anche il nuovo album dell'orchestra di ukulele che adoro: The Ukulele Orchestra of Great Britain, ma il loro CD (Ever Such) Pretty Girls, una raccolta di strabilianti rivisitazione per ukulele di classici del punk degli anni settanta, è attualmente ancora in preordine e lo sto attentendo con ansia. Non potrà essere che l'ennesimo capolavoro di un valido ensemble composto da un numero variabile di elementi (attualmente sulla decina) che suonano tutti un ukulele di diversa tonalità (compreso un ukulele elettrico home made, non sto scherzando). Le loro esibizioni poi sono tutte di gran livello, arricchite di una nota di superbo humor britannico, in cui ogni rivisitazione di classici di ogni tempo e ogni genere, vengono introdotte da sofisticati giochi di parole (ma comprendibilissimi anche a uno come me che non ha una completa padronanza della lingua inglese). Non ci resta che aspettare fiduciosi che un messaggero degli dei suoni al nostro campanello con il desiderato nuovo album.

 

 

Michele Porcile

Personalmente trovo abbastanza superfluo nominare i soliti lavori più in vista e maggiormente spinti dai media istituzionali. Punto semplicemente a elencare i tre album che più mi hanno colpito non solo per qualità, ma soprattutto per potenzialità ancora in divenire.

Musica Italiana:

Malascena - Indisposto

Dust - On the go

NonostanteClizia - La Stagione animale

Musica straniera:

Tigran Hamasyan - Mockroot

Benjamin Clementine - At least for now

Heymoonshaker - Noir


Fabrizio Pucci

Per estatica il 2015 è un anno importante, sia per il numero e il livello delle pubblicazioni, sia perché abbiamo introdotto una nuova sezione dedicata all'alta fedeltà.
Questa nuova rubrica rende quasi unico il nostro www.estatica.it, perchè sono pochi i siti dedicati alla musica che coprono sia recensioni di album, live report ed interviste, che recensioni di apparecchi per la riproduzione dell'audio.
Questo mi rende felice, perché all'epoca delle riviste da edicola, acquistavo Mucchio Selvaggio, Rockerilla, Velvet, Rumore, ma acquistavo anche Audio Review, divoravo i depliant di Sony, Technics, Pioneer e di quelli che si riuscivo a trovare.
Sono ancora più felice del fatto che questa nuova impostazione del sito è piaciuta anche ai lettori, perché le visite nell'ultimo anno sono notevolmente aumentate.

Non mi addentro nell'elencarvi le migliori uscite del 2015, perchè a dire il vero non amo ascoltare le novità... Mi spiego meglio. Per me la novità è un disco che non ho mai ascoltato, un libro che non ho mai letto, un film che non ho mai visto. Dell'anno di uscita, mi importa poco o niente.
Non sarebbero quindi attendibili gli ascolti che ho effettuato, seppure non pochi, tra le uscite del 2015. Troppe le uscite italiane per tentare di stilare un quadro realistico dei migliori prodotti musicali. Possiamo però fare alcune riflessioni generali.

Come al solito verso la fine dell'anno escono ogni sorta di raccolte, antologie, box, con la speranza che possano entrare nei regali di natale di qualche appassionato. Quest'anno tali uscite sono particolarmente imponenti.
Il 6 novembre 2015 è uscita "Le nostre anime", box antologico di Franco Battiato, che nella versione deluxe contiene 6 cd e 4 dvd
Il 27 novembre 2015 è uscito "Se io avessi previsto tutto questo. Gli amici, la strada, le canzoni" di Francesco Guccini, in due versioni, da 4 e da 10 cd...
"Fabrizio De André In Studio" contiene quasi tutto il materiale pubblicato da De Andrè in 14 cd + un libro
Questi per citare solo alcuni dei più famosi. Personalmente non ho mai capito il target per queste uscite. L'appassionato di un certo artista avrà già quasi tutto il materiale già pubblicato e difficilmente sarà interessato a raccolte come quella di Battiato o di Guccini. La stessa ennesima ristampa dei cd di De Andrè lascia piuttosto indifferenti. E' vero, ci sono i collezionisti che vogliono avere ogni uscita del loro artista preferito, ma numericamente non credo pesino molto.
Perchè invece di continuare a pubblicare minestra riscaldata, non viene pubblicato qualche concerto video di questi ed altri artisti? Ormai da anni hanno tutti un televisore full-hd, sono usciti i TV 4K ma di questi e moltissimi artisti italiani non esiste nessuna pubblicazione in blu-ray, il media fisico che ha la risoluzione per sfruttare gli attuali Tv. Esiste solo materiale in DVD, supporto uscito al tempo dei televisori a tubo catodico, con risoluzione bassa e audio scarso e compresso. Misteri... Eppure basta guardare su amazon per vedere che qualunque artista straniero ha ormai da tempo materiale pubblicato in blu-ray.
In Italia si vuole spremere fino in fondo il materiale che si ha già, senza rischi e senza investire. Non ci lamentiamo poi se il mercato ristagna.
Anche i Baustelle hanno pubblicato una raccolta (seppur live) intitolata "Roma Live!", ma qua l'operazione, seppur probabilmente nata dalla necessità di riempire un vuoto di pubblicazioni, ha un suo senso, in quanto le versioni appartengono al tour dell'album fantasma, quindi con gli arrangiamenti completamente rivisti per l'utilizzo dell'orchestra sinfonica.
Altra raccolta particolare è quella di De Gregori con il suo "De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto", un intero album di canzoni di Bob Dylan tradotte e riviste in italiano.
Visto che non pubblicano album tutti gli anni citerei anche i Verdena di "Endkadenz Vol. 1", e i Gang di "Sangue e cenere" (uscito a ben 14 anni di distanza dal precedente).

Non mi resta che salutarvi con le classifiche del nostro sito per questo 2015.

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