Virginiana Miller
Venga il regno
I Virginiana Miller sono il più grande mistero della musica italiana. Dopo più di vent’anni di onorata “gavetta” sono ancora qui con l’ennesimo album a dire che ha senso fare bella musica e non il farsi belli con la musica, che si può essere protagonisti delle storie degli altri senza essere nominati dalla storia. Sì perché ormai il sestetto di Livorno non ha più niente da dimostrare né tanto meno alcuno spirito di rivalsa verso quel mondo dorato fatto di classifiche, vendite e notorietà che proprio non ne vuole sapere di licenziarli dai loro rispettivi lavori da riempitivo (quelli sì però fondamentali per portare a casa la pagnotta). Solo uno sfrenato amore per la musica, solo voglia e passione senza calcoli e senza rimpianti; magari quello sì risultando importanti per tante e anonime esistenze che li seguono religiosamente. Sembra sempre che l’appuntamento con la gloria sia a portata di mano, ma niente: alla fine ci s’illude di riuscire così a conservarli gelosamente legati ai nostri personali ricordi senza condividerli con la massa della notorietà. Le vendite d’altronde si sa quasi mai sono una garanzia per i veri appassionati. Fatto sta che la band di Simone Lenzi, come il Partito Comunista negli anni settanta, sembra sempre essere sul punto di “vincere”, ma chissà perché tutto questo non accade mai e romanticamente parlando non fa che aggiungere fascino alla loro epopea. Ovviamente sono solo canzonette direbbe il nostro bene amato Edoardo Bennato e la storia c’insegna che la musica non ha la pretesa di cambiare le teste, ma forse d’intenerire i cuori.
Venga il regno è forse l’album più maturo ed equilibrato della band, un lavoro che ha il grande vantaggio di essere stato concepito in maniera naturale e a mente fredda. Un equilibrio sinonimo di sicurezza, controllo e umiltà per un album di livello e non per questo livellato.
Intanto la scrittura delle canzoni ha raggiunto un livello di assoluta grandezza. Tra quadretti neorealisti impastati di storie proletarie e affreschi metafisici tra il sacro e profano la band ci consegna una serie infinita di gemme senza ombra di retorica o melodramma. In Anni di Piombo è davvero difficile non lasciarsi trasportare da quel fiume di parole e melodie dallo spirito personale, ma dallo sfondo storicizzato. Lettera di San Paolo agli operai è una presa in giro collettiva dai toni amari che come un flusso di coscienza ci riporta, con un salto nel vuoto, alla cruda realtà. Reminiscenze sonore ascendenti per atmosfere rarefatte di stampo nordico. Pupilla ci da il senso della maturità raggiunta dal gruppo in termini di testi, ma soprattutto di architettura musicale. Suoni che sconfinano in un raffinato dream pop portando lontano la mente.
Certo non è difficile cogliere qua e là delle reciproche influenze con l’altro fenomeno musicale del nuovo millennio: i Baustelle. Toscani anche loro probabilmente più snob e radical chic, ma ugualmente ruspanti , quando c’è da sporcarsi le mani. Giri di basso e chitarre sempre meno importanti, note soffuse e avvolgenti riverberi per un risultato complessivo fatto di melodie leggere, calibrate. Un’opera di pulizia per sottrazione compiuta per tutto l’album che non ha fatto altro che aggiungere pathos in termini di affinamento della loro cifra stilistica. Da questo punto di vista l’album ancora una volta pare mantenere la sua anima sentimentale di scuola Radiohead prima maniera, pur nella sua innegabile sofferenza sopita nell’estetica. Non può mancare una citazione per Nel recinto dei cani sintesi perfetta del nostro cantautorato più brillante in bilico tra De Andrè e Piero Ciampi. In l’eternità di Roma infine troviamo condensata tutta l’essenza del loro estro poetico onesto e commovente.
Concludo segnalando ancora la peculiarità tipicamente “modernista” dai contorni morbidamente new wave di tracce quali Effetti speciali e Chic altro punti di contatto con la band di Francesco Bianconi. Un romanticismo da notturno nordico che richiama ancora una volta Milano sia come musa ispiratrice sia come fonte di rappresentazioni sceniche macchiettistiche.
Virginiana Miller
Venga il regno
Genre: Rock , Cantautorale
Tracks:
- 1) Due
- 2) Anni di piombo
- 3) Una bella giornata
- 4) Pupilla
- 5) Dal blu
- 6) Lettera di San Paolo agli operai
- 7) Tutti i santi giorni
- 8) Nel recinto dei cani
- 9) Effetti speciali
- 10) Chic
- 11) L'eternità di Roma