ACUSTICO MEDIO LEVANTE: Cesare perduto nella pioggia (AML 2007)
ANNA JENCEK: Terra rossa, terra nera (Extra Moenia 2008)
FRANCO ZAIO: Last blues (Devega 2008)
MARIANO DEIDDA: Un paese ci vuole (Electromantic Music/Poema 2011)
BEPPE GIAMPA': I mattini passano chiari (Senza Base Records 2014)
Quando vai a Santo Stefano Belbo ed entri nel caffè sotto i portici in piazza, le grandi foto di Cesare Pavese e di Nuto ti prendono subito allo stomaco. E' inutile resistere. E te lo vedi Nuto che, seduto sopra un muretto a Castino, lungo la strada che scende a Cortemilia, racconta a Cesare, che nel mondo contadino non si può proprio non credere ai poteri della luna. Ho attraversato più volte i boschi e i paesini di pietra in mezzo alla Val Bormida, in direzione della Liguria alla ricerca con gli occhi di colline come quelle descritte da Pavese e le ho trovate. E ho pensato che se il delirio, le attese, l'ingenuità sono lunghe anni, è sempre in pochi minuti che si compie il destino di un uomo. Ho amato tanto le parole di Pavese, quel suo desiderio di eternità oltre l'immobilità marmorea, la ricerca ossessiva dell'origine dell'ansia e dell'angoscia nelle stratificazioni del mito, nella voce degli antenati, nell'inconscio, la ricerca di una forza originaria. Fino agli estremi punti. Fino a mutare in dramma perfino ciò che non gli fu concesso di vivere. Non era un ambizioso, desiderava solamente che il suo talento venisse riconosciuto, esattamente come Nick Drake tanti anni dopo e, curiosamente, beffardamente, entrambi hanno lasciato la loro vita terrena al sonno.
Questi cinque lavori sono interamente dedicati a mettere in musica le liriche di Cesare Pavese, con l'intento di trasformarle in canzoni. Sono gli unici progetti di questo tipo giunti ad una pubblicazione, molti sono gli interpreti che hanno inserito nei propri dischi qualche testo dedicato o qualche poesia musicata o recitatata di Pavese: Milly, Leo Ferré, Gigliola Cinquetti, Claudio Lolli, Mario Mantovani, Stefano Palladini, Barbara Gabotto, Renato Dibì, Lalli, Nicola Sartori, Chantango, Giorgio Macellari, Margot, Rusò Sala, Rivera, Antonio Pignatiello. Altri hanno composto e inciso omaggi musicali a lui dedicati in forma jazz (Jean-François Jenny-Clark & Aldo Romano), progressive-rock (Stefano Testa), classica (Federico Gozzelino) e perfino rap (Marco Ongaro). E c'è stato chi, come il compianto Imanol l'ha interpretato in basco (tradotto da Xabier Lete) con l'accompagnamento di Paco Ibáñez.
Acustico Medio Levante rappresenta l'audio di uno spettacolo collettivo messo in scena soprattutto nell'area ligure. Tra gli ospiti spicca il nome di Max Manfredi, la cui ammaliante voce recitante ha sempre il potere di incatenare alle parole. I componenti provengono da differenti luoghi musicali e si incontrano su un territorio rock/blues in cui accolgono versi tratti soprattutto dalla raccolta “Lavorare stanca” del 1936, nel dettaglio: “La casa” e “Last blues” provengono da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, “Gente che c'è stata” e “Gente spaesata” da “Antenati”, “Tolleranza” e “Mania di solitudine” da “Dopo”, “Grappa a settembre” da “Città in campagna”, “Tu non sai le colline” da “La terra e la morte”, “Semplicità” da “Paternità”.
Anna Jencek prende in ordine cronologico tutte le nove liriche racchiuse ne “La terra e la morte” titolando ciascuna canzone con le proprie prime parole e le veste con raffinatezza a tempo di jazz avvalendosi, tra gli altri, del contributo del fisarmonicista Danilo Boggini (che ricordiamo anni fa nella Svizzera italiana in un sentito omaggio a Jacques Brel con l'Accordion Project). Questi versi che sanno di mitologia mediterranea, al pari di Fuoco Grande e Dialoghi con Leucò, furono scritti a Roma tra il 27 ottobre e il 3 dicembre del 1945 e vennero pubblicati per la prima volta un paio di anni dopo dalla rivista “Le tre Venezie” di Padova.
Quello di Zaio, piemontese trapiantato a Genova, è l'omaggio che si presenta in forma meno accademica del lotto. Lui leggeva i versi di Pavese quando frequentava il liceo, forse mentre ascoltava i Joy Division celebrare l'estasi della sofferenza del loro povero cantante e quei versi non lo hanno più abbandonato, anche quando fu passata l'età adolescenziale. Franco semplicemente questo fa: sceglie sette poesie e le sposa ai suoni rock che ama del suo tempo, senza intellettualismi. Canta e suona chitarre, pianoforte, organo, basso, batteria quasi sempre in solitudine. Solo la conclusiva “Last blues” viene interpretata da Francesca Pongiluppi e si avvale del dobro di Michele Ferrari.
Mariano Deidda riprende soprattutto versi dall'ultimo romanzo di Pavese “La luna e i falò” e i suoi musicisti (tra cui il maestro Gianluigi Trovesi) li avvolgono di raffinate atmosfere impressionistiche jazzistico/cameristiche, pennellandole di musica popolare grazie alla fisarmonica. Sembrano celebrare soprattutto il senso di appartenenza al luogo di origine, ad un paese che ti aspetterà sempre. E omaggiano anche il clarinetto di Giuseppe (Pinolo) Scaglione, il falegname di Santo Stefano Belbo che fu il Virgilio di Pavese, che lo prese per mano e lo accompagnò a conoscere il mondo contadino da cui nascerà “La luna e i falò” e che nel romanzo chiamò Nuto (diminutivo di Benvenuto) facendolo diventare un personaggio letterario e da allora tutti in paese lo chiamarono così.
Beppe Giampà che vive ad Asti ha scelto alcune poesie dal volume “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” per realizzare un delicato disco senza elettricità in stile folk-blues con chitarra, pianoforte, armonica a bocca, basso acustico e percussioni. Queste sono le poesie dedicate all’ultimo sfortunato amore di Pavese, l’attrice americana Costance Dowling, conosciuta a Roma sul set di “Riso amaro” di Giuseppe De Santis. La donna che dopo la fine delle riprese partì per l'America promettendo invano un ritorno, mentre Cesare le scriveva: “La luna e i falò è già a Hollywood ad aspettarti. E' un buon libro e tu sei il miglior santo patrono che potesse avere. Ricordami nella vecchia New York. L'ho amata con tutto il cuore un tempo, quando non sapevo che c'eri tu ragazzina”.
L'ascolto di questi dischi mi ha fatto immaginare un ieri di vigne color ocra, fuori dal tempo. D'estate i falò e le feste di piazza, le ballate della campagna, la nuova musica di Duke Ellington e le Alpi lontane all'orizzonte. La vita che rallenta e gli occhi che si perdono tra i filari. Anche oggi è il silenzio che domina ogni cosa in mezzo a queste colline e alle loro curve illuminate da un sole che si mangia le ore. E' così questa terra, rossastra, segnata da una tragica, infausta ebbrezza gravitazionale verso il centro, è una delle terre più telluriche del mondo. E anche Cesare Pavese con le sue parole ha scavato e scavato, per tutta la sua vita, verso il fondo della terra, dentro il mito, alla ricerca di un impossibile luogo di sogno, di avventura, tra i Mari del Sud e le Langhe. A questo luogo oltre un confine e sotto la crosta della terra è indirizzata tutta la sua straziante poesia. Ed è alla geografia intima delle parole del Poeta che si unisce in questi preziosi e sentiti omaggi, la geografia musicale, che conosce strade senza confini e di questo respiro, di questo spessore drammatico si nutrono questi solchi, di cui vorrei veramente ringraziare di cuore tutti gli artisti partecipanti.