I Luf
Flel
Flel: dal passato si può comprendere il presente e costruire il futuro.
“Vogliateci/vi bene”
Con questo invito i Luf chiudono il libretto del disco e come si fa a non voler bene a questo gruppo così ricco di simpatia e di energia che si fondono in sinergia?
Facciamo però un passo indietro, anzi partiamo dal titolo che mi ha subito incuriosito, cosa vuol dire questo termine così misterioso? Lo spiegano ancora loro nel bel libretto in cui scrivono
“Allora si “batteva” il grano con il “flel” per poterne recuperare fino all’ultimo chicco. L’aia veniva preparata, si sigillavano tutte le fessure per evitare che nulla si perdesse. Quando tutto era pronto si iniziava a picchiare le spighe, schierati di fronte a gruppi di tre o quattro con la consegna netta: andare a tempo, rispettare il ritmo. Un flel dopo l’altro colpiva il frumento creando una partitura unica che, amplificata dai solai, rimbalzava nei cortili diventando la colonna sonora dei nostri giochi di bambini.”
Immagini e suoni di altri tempi, un po’ come le immagini inserite nel libretto, tra l’altro stampato secondo la filosofia GreenPrintig, volta alla salvaguardia dell’ambiente attraverso l’uso di materiali (lastre, carta, inchiostri e imballi) a basso impatto ambientale, splendide foto che ritraggono i protagonisti del disco con i loro strumenti incastonati in un ambiente decisamente rurale.
Erano decisamente altri tempi quelli cui si riferiscono, anni in cui non si sprecava nulla, dove non esisteva il superfluo, dove si lavorava aiutandosi reciprocamente per sopravvivere, in cui si viveva in stretto contatto con la natura a volte avara e crudele ma attenzione, è vero i Luf rimangono fermamente legati alle proprie tradizioni, al proprio idioma, non rinnegano certo il forte legame con la propria terra, ma con questo nuovo disco dimostrano ancora una volta di saper guardare all’oggi con mentalità viva e aperta ai continui cambiamenti, sempre pronti a prendere posizioni anche quando sono scomode.
Il loro è uno sguardo che parte da lontano o meglio da vicino per andar lontano con “Africa”, prima canzone in scaletta che ci narra un viaggio all’incontrario quello di Stella “Straniera in terra nera bianca solo per errore / straniera in terra nera adesso nera per amore”, un sogno che è comune a quello di Dario Canossi, leader dei Luf che nel ritornello canta “Stella portami via / fammi vedere un poco d’Africa”. A parte i tamburi africani dell’inizio traccia poi le sonorità sono però quelle tipicamente folk dei Luf.
“Flel”, cantata in dialetto camuno, racconta invece come già accennato sopra le operazioni che erano fatte per separare il grano dalla bula, ma contiene tra le righe due perle di saggezza popolare che riporto tradotte “Se non si va d’accordo / non si può picchiare il frumento / se non si va d’accordo / non si può avere buon tempo” e “Raccogli la paglia / fa le fascine / se vuoi essere grande / diventa piccolo” che se messe in pratica farebbero girare meglio l’intero mondo. Da segnalare la partecipazione di Davide Van De Sfroos che ha tradotto le proprie strofe in laghée.
Eccoci giunti ad uno dei vertici del disco, “Dal nido” è una delicatissima e tenera ballata sorretta per buona parte da chitarre e flauti, dedicata espressamente a Fabrizio De Andrè incanta da subito fino ai toccanti versi finali “Si parte dallo stesso nido / ma il vento soffia strano / qualcuno cade a terra altri volano lontano / si parte dallo stesso nido ma il vento soffia strano / io son caduto in terra e tu mi guardi da lontano” quando entrano in gioco anche violino e percussioni. Notevole.
“Tira la barba al fra'” è invece un gioioso episodio folk in dialetto che racconta di un povero barbone, che in una notte di luna medita di sottrarre il grosso sacco portato in spalle da un frate che cammina per strada con il suo cane, per recuperare il denaro necessario per poter prender moglie, ma il progetto non avrà buon esito, colpito duro dal cordone del frate si ridurrà a pregarlo così “non voglio più sottane / ma sante da pregare / sarà solo con voi / che salirò all’altare”.
Ancora ritmo da far muover le gambe per “La neve” una canzone che parla di amore e di neve che si confondono fra loro nella ciclicità degli eventi perché “La neve è come l’amore che viene e che va / l’amore è come la neve il vento la scioglierà / la neve è come l’amore che viene e che va / l’amore è come la neve e il sole la scioglierà”.
E’ giunto il momento di tirare un po’ il fiato ecco allora che forse è il caso di calare un altro asso, “Stella clandestina” è un altro dei momenti più dolci ed emozionanti dell’intero lavoro e ci pone davanti alla tenerissima immagine di chi pensa “due perle nere al sole / le guardo non trovo le parole / domani saranno per legge clandestini / per oggi sono ancora due bambini” per poi riflettere così “Lo sanno le foglie che quando parti muori / per questo cercan di baciare i fiori / volan nel vento farfalle senza ali / nel loro mondo sono tutti uguali”. A me ha portato alla mente la premonitrice “La fruntiera” dei Van De Sfroos.
Si torna al dialetto ed alle classiche atmosfere dei Luf con “Fortuna”, riflessione su cos’è realmente la fortuna e come “Basta una nuvola per cambiare il tempo / basta una briciola a fare il cuor contento”. Classica per forma e sostanza.
Con “Angelo” si vira netto al country-folk, le sonorità grazie anche al banjo cambiano piacevolmente in questa bella ballata che è dedicata con grande affetto ad Angelo Pozzi volontario A.M.A.S. di Monticello appena scomparso “C’è un angelo che ci guarda / ci guarda da lassù / c’è un angelo come lo vuoi tu”. Scritta e cantata in punta di piedi, come doveva aver vissuto la sua esistenza Angelo Pozzi.
Ritmo indiavolato invece per “Regina delle sei” canto di un amore mancato, un amore di treno sfasato di un paio d’ore, bella questa immagine caliente “I tuoi occhi due coltelli puntati dritti sul mio cuore / i tuoi seni stan fermando le mie labbra e il mio sudore”.
Ancora un’intro con il banjo e poi la musica si infiamma per una delle canzoni più allegre ed ironiche dell’intero lavoro, mi riferisco alla gustosissima “Littel Monchi” che partendo dal titolo che è un’italianizzazione dell’espressione inglese Little Monkey (piccola scimmia) ci narra di un capo tribù che voleva diventare come Gesù camminando sulle acque ripreso dalle tivù di tutto il mondo ma che a causa delle zeppe di piombo che portava per sembrare più alto annegherà, vi ricorda qualcuno?
Suoni un po’ più familiari ai Luf, anche se in verità vi si ritrovano ampi echi medi orientali per “Luna di rame e d’ottone”, un canto di speranza, una preghiera “Dietro alla prossima duna / non voglio né sabbia né oro / dacci due etti di pace / dacci due chili d’amore / dacci due litri di brividi / riempi il mio cuore di lividi”, parole sante.
Se in “Littel Monchi” i Luf affrontano il tema politico con deliziosa ironia, in “Basta” il messaggio è diretto, chiaro, senza mezze misure, sin dal titolo e pur mantenendo uno stile mai rabbioso lo sdegno per lo squallore del nostro panorama politico è evidente “Dio padre famiglia chi la vuole la piglia / famiglie ne fanno almen tre / perciò mi consenta Milano da bere / radici cristiane e morali pagane”.
“Il treno delle sei” è un po’ il seguito di “Regina delle sei” ma è molto più nostalgica, sa di tempo trascorso in parte invano “La faccia controvento e i pugni chiusi / vivevo nella lista degli illusi / il sangue e il vino hanno un bel colore / stasera è rosso solo il nostro amore” ma anche di tempo che non cambia le idee “Passa il tempo corre il vento / il tempo passa poi ci porta via / passa il tempo cambia il vento / ma questo vento non è cosa mia” par che su quel treno debba ancora passare la rivoluzione, malgrado Guccini.
Con “Vorrei” si chiude con un altro picco, trattasi di un’accorata preghiera in pieno stile Luf dedicata a mamma Felicia e Peppino Impastato, è un modo per comprendere il proprio passato e per costruire meglio il nostro futuro “L’importante avere un sogno poi scommetterci la vita / han chiuso le finestre si nascondono tra i sassi / ma c’è un eco che ritorna cento volte sui suoi passi”.
I Luf sono vivi più che mai e sempre pronti a guardare il presente con disincanto, testimoni e padroni del passato e propulsori di un futuro meno nero, si può dire che stilisticamente si muovono ora su due piani: uno innovativo più maturo e riflessivo, l’altro forse più nelle loro corde energico e vitale. Personalmente trovo il disco solido e ben scritto e suonato, anche se mi convincono maggiormente i brani che più si discostano dal loro sound tradizionale, non so se sarà la svolta del futuro o solo una delle due anime di un unico microcosmo ancora ben ancorato alla propria terra ma allo stesso tempo perfettamente inserito in un mondo senza confini. Il tempo ce l’ho dirà.
I Luf
Flel
Renseignements pris à partir du disque
Dario Canossi: voce, chitarra
Sergio “Jeio” Pontoriero: banjo, basso (2, 14), djambè, darbuka, cembalo, shaker, triangolo, batteria (3), voce
Sammy Radaelli: batteria
Fabio Biale: violino, mandolino, voce
Cesare Comito: chitarra acustica, voce
Matteo Luraghi: basso, voce
Stefano Civetta: fisarmonica, voce
Pier Zuin: higland bagpipe, gralla dulce in sol, flauto traverso irlandese in re, tin whistle in re, bodhran
Davide Van De Sfroos: voce (2, 4)
Alex e Karim “Circo Abusivo”: (11)
Davide “Billa” Brambilla: fisarmonica
Davide Aldini: flauti (1, 4, 5, 10)
Alberto Guareschi: contrabbasso (3, 10)
Luca Zugnoni: contrabbasso
Ranieri “Ragno” Fumagalli: baghet (12, 13), flauto (14)
Fabio Rinaudo: uielleman pipes (13)
Testi e musiche di Dario Canossi eccetto:
“Vorrei” e “Basta” testo di Dario Canossi e Flavio Oreglio
Traduzione delle strofe di “Flel” in “laghée” di Davide Van De Sfroos
“Littel Monchi” testo di Dario Canossi e Fabio Biale
Il disco è stato registrato in presa diretta presso Clockwork studio di Cernusco Lombardone dal 16 al 20 ottobre 2009 da Luca Zugnoni
Mixato e masterizzato da Lorenzo Cazzaniga nel febbraio 2010
Produzione artistica e arrangiamenti Sergio Pontoriero e i Luf
Produzione esecutiva Dario Canossi e PerSpartitoPreso