Gerardo Pozzi

Sconosciuti e imperfetti

Critique
Posté le 11/04/2011
Vote: 8/10

Un disco genuino, scritto e cantato con amore.

Diciamo subito che “Sconosciuti e imperfetti” non è un disco come ce ne sono tanti e me ne sono accorto subito quando, un paio di settimane fa, l’ho aperto incuriosito dal post-it che lo accompagnava in cui il mittente, Gerardo Pozzi, quasi si scusava di importunarmi con questo disco di rumori. L’ho così messo subito nel lettore e mi sono ascoltato i primi quattro brani del disco, poi dovendo recarmi al lavoro ho forzatamente interrotto l’ascolto ma mi sono subito detto: che disco! Questo si che suona diverso dal comune sentire, se è tutto così è una gran bella scoperta!

E’ però tutto così il disco?

Non voglio pronunciarmi ora, anzi per sconvolgere un po’ le carte e cercare di dare piuttosto un’idea di com’è realmente questo disco, passerei direttamente all’ultima traccia, poco più di due minuti di durata, in cui Gerardo non canta, ma pratica gargarismi su un letto di fluide e tristi note di pianoforte, in sottofondo c’è il rumore del mare di Torre del Lauro, il tutto fino a giungere al drammatico epilogo, il gargarismo si fa più soffocato fino ad un ultimo, disperato afflato. Il brano s’intitola “Testimonianza di un morto ammazzato per affogamento” e lascia come un segno di angoscia, di mancanza d’aria, di un’esistenza sempre in bilico, come mi sembra di avvertire anche dai ringraziamenti di Gerardo nel libretto che accompagna il disco e che si concludono così “Io sono vivo grazie a Te, Sabrina” rivolto alla propria compagna.

Ci tengo però subito a precisare una cosa, il disco, sebbene Gerardo Pozzi oltre ad essere ufficialmente fisioterapista sia musicalmente anche un batterista, che ha tra l’altro collaborato a lungo con Giorgio Conte, non è certo uno stravagante disco di rumori e suoni strampalati, ma è piuttosto un’opera rustica e genuina, in cui sono presenti brani a volte “tradizionali” ed altri che, invece, sono davvero preziosissime intuizioni.

Il disco si apre con “E’ sabato (glù glù glù)” che, in neanche due minuti e mezzo, ci introduce in un sabato sera di solitudine, dove un lui è presente, ma una lei non c’è più “Ho acceso / una candela / ma il tuo / profumo non c’è / Se né andato via / quando ha capito / che Amore era qui / Amore ha avuto / paura di me / e se n’è andato” e si chiude con quel “Glù glù glù” che ci ritroviamo poi, come accennato sopra, anche nell’ultimo brano come a chiudersi un cerchio di totale isolamento dalla realtà circostante.

La seconda traccia, “Facevo le gare podistiche” è stupenda, una di quelle canzoni piene d’ironia e delicatezza tipo quelle che solo Giorgio Conte sa scrivere e parla delle gesta di un podista della “domenica” e comincia così “Facevo le gare podistiche solo per il ristoro. / E le corse che non l’avevano mi strappavano il cuore.” per chiudersi con quest’amara considerazione “Faccio sogni continui per fuggire da questa realtà.”, seguita da una sonora pernacchia. Bella, per quel respiro che anima il brano, la sua atmosfera decisamente retrò ed una spensieratezza che, cela invece tutto il disagio di vivere in questa realtà.

“Adamo ed Eva remix”, introdotta dal pianoforte, sottolineato da una fisarmonica che lentamente cresce, è un pezzo folgorante sin dai primi versi “Sono pallido e decrepito, come una cacca di cane. / Bianca, seccata al sole / Mi veglia un gatto, sul ciglio della strada./ Imbecille io, che ti ho aspettata! E aspettando, sono invecchiato. E invecchiando, sono morto. / E non ho vissuto per un cazzo di niente”. E’ ancora amore, incomprensione, sofferenza. Un'altra perla del disco.

“Calito” comincia gioiosamente a ritmo di valzer, per rallentare improvvisamente e precipitare dentro un canto lento e sofferto, perché il protagonista “Natale ha appena trentacinque anni, / ma ha già fatto la guerra / e conosce la storia / ha lavorato per i servizi segreti / che gli hanno fatto perdere / la ragione e la memoria”, per poi tornare ad un ritmo di valzer perché Natale “qualche volta lo vedi / in paese camminare in mutande con la camicia slacciata / mentre ride, con gli occhi, degli occhi degli altri”, fino al tragico epilogo “Natale l’han trovato morto su una collina, mentre dormiva / dentro il bosco sottouna siepe sognando la sua immensa luce di chiara mattina”. Ancora un'altra esistenza ai margini della società, anzi direi proprio al di fuori.

Questo mal di vivere è ben presente anche in “La congiura” un pezzo quasi solo pianistico, una canzone fatta di amare illusioni “Le strade sono sporche del sangue vivo degli ultimi Don Chisciotte / Ma nessuno ci fa mai caso / E l’A.N.A.S. riprende i suoi lavori / L’A.N.A.S. prosegue coi lavori”. Sembra così chiudersi con un inascoltato lamento.

Di tutt’altro genere, almeno musicalmente è invece “La piccola ribelle”, una cantilena, una filastrocca che ci parla di una piccola ribelle che ad un certo punto incontra sulla sua strada chi, con “un mantello nero / spacciandosi d’artista” la farà piangere, almeno così s’intuisce “Se fate un po’ silenzio, la sentirete ancora … / Stavolta è un canto strano … / Mi sembra forse un pianto”. La giocosità musicale del pezzo contrasta con questo dubbioso finale, quasi un presagio.

Con “Il blues del nonno” ci si cala invece in un’atmosfera blues, è un brano che ci parla ancora una volta di solitudine o meglio di due esseri umani accomunati dalla solitudine “Oh, nonno! Non metter l’inserzione! / Non pagare / per farti adottare! / Vieni a casa mia / c’è tanto di quel fare! / Son solo / proprio come te / Eppure non so neanche il perché”. Sono molto belli i suoni, dall’armonica a bocca di Marco Napoletano, al suono di locomotiva a vapore di Sandro Gentile, fino alla chitarra blues di Franco Abriani.

Deve essere stata un’altra tragedia, forse appresa da qualche giornale, ad aver ispirato a Gerardo “Dal benzinaio” che recita così “Come potei scrivere canzoni / adesso che hai lasciato i miei occhi dal benzinaio? E ti sei accesa una sigaretta roteando il fiammifero e la benzina sopra i miei occhi”, il caliente ritmo andaluso del brano mi fa pensare ad un tragico epilogo dettato da una qualche follia d’amore.

“Confessioni di una portuale” dura neanche due minuti, ma sono ben utilizzati, c’è una calda atmosfera jazz che lascia sognare e questi brevi versi “Ora solo ti canto: il mio fallimento. / Perché non ho altro che un registratore spento, / un pianoforte scordato, un’automobile da aggiustare / il cuore vuoto, e due finestre. / Da cui salpare”, in così poco spazio c’è in fondo tutto, il fallimento di un rapporto, il senso di vuoto ed il desiderio di evadere da questa amara realtà.

“Sacrocranio” si può ben dire che è la summa, disperata come non mai, di un sempre più forte e continuo senso di non appartenenza, di un’esistenza d’incomprensioni che porta il protagonista ad un ultimo disperato sfogo “E non me ne importa niente / se finirò internato. / Se sono diventato inerte / è perché inerte sono nato”.

Ho tralasciato solo “Quando amo” perché è l’unica canzone a non essere stata scritta da Gerardo, ma è la trascrizione fedele di un sms dell’amico Davide Camerin, riporto integralmente il testo perché lo trovo in perfetta sintonia con la canzone appena citata “Quando io amo non mi so fermare. / Quando sono stanco, sono troppo stanco. / Quando vado lontano, vado troppo lontano. / Quando mi diverto, non mi so fermare. / Quando sono vicino io devo cercarti, e come lo so, che non posso trovarti!”.

Che aggiungere, ringrazierei anch’io come ha fatto Gerardo nel libretto del disco, l’amico Alberto Cantone che come un fratello maggiore ha fortemente voluto e sostenuto l’incisione e l’uscita di quest’album, Giorgio Conte per averlo incoraggiato e spronato ad andare avanti, Paolo Conte per una sua preziosa quanto inaspettata lettera scritta e spedita a Gerardo (ed il fatto che un “orso” come Paolo Conte abbia scritto qualcosa, qualunque cosa abbia potuto scrivergli, è di per sé un “evento”).
Senza il loro sprone forse non avremmo avuto questo disco di “sconosciuti ed imperfetti” protagonisti, forse un unico personaggio, che ogni notte fa “sogni continui per fuggire da questa realtà”.

Gerardo Pozzi - Sconosciuti e imperfetti

Gerardo Pozzi

Sconosciuti e imperfetti

Cd, 2011

Tracks:

  • 1) E’ sabato (glù glù glù)
  • 2) Facevo le gare podistiche
  • 3) Adamo ed Eva Remix
  • 4) Calito
  • 5) La congiura
  • 6) La piccola ribelle
  • 7) Il blues del nonno
  • 8) Dal benzinaio
  • 9) Confessioni di un portuale
  • 10) Quando amo
  • 11) Sacrocranio
  • 12) Testimonianza di un morto ammazzato per affogamento

Renseignements pris à partir du disque

Gerardo Pozzi: voce, batteria (1, 2, 4, 6, 7, 8, 9), pianoforte (1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12), bassotuba sint. (2), pseudotromba in tubo di gomma, (2) pernacchia (2), gargarismi “voce sott’acqua”(12)
Michele Gava
: contrabbasso (1, 7, 9)
Davide Camerin
: chitarra acustica (1, 3)
Sandro Gentile
: bottiglie di vetro svuotate e “soffiate” (1), organetto (1), bassotuba sint. (2) suonodi locomotiva a vapore (7), suono di “automobile su strada in agosto” (8), minimoog (10, 11, 12), sintetizzatore (10, 11, 12), mare di Torre del Lauro (12), “vortice” del lavandino (12)
Basilio Gentile
: congas (2, 9), chitarra classica (4), chitarra classica preparata (5), organetto (6), carillons (6), darabukka (9)
Luca De Marco
: fisarmonica, (2, 3, 8), cori (2)
Franco Abriani
: chitarre (2), cori (2), chitarra “blues” (7), chitarra elettrica (7), chitarra jazz (9)
Gianmarco Dazzi
: basso elettrico (3, 4, 5, 6, 8)
Iseo Pin
: batteria di cartoni (3), coperchi di pentole (3)
Sabrina Pizzol
: flauto traverso (4, 8)
Anna Poser
: voce della Piccola Ribelle (6)
Marco Napoletano
: armonica a bocca (7)
Alberto Cantone
: chitarra “paperoso-hawaiana” (9), chitarra solista (9)

Testi e musiche di Gerardo Pozzi
(Midiroom Studio Musica su Misura –
www.sandrogentile.it)
Al mixaggio hanno partecipato: Alberto Cantone, Luca De Marco, Sabrina Pizzol, Gerardo Pozzi.

Disegni: Debora Fior
Realizzazione grafica: GianmarcoDazzi e Alberto Ceschin

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