Benjamin Clementine

At Least for Now

Critique
Posté le 27/02/2015
Vote: 8.3/10

“…io, Benjamin sono nato quindi quando sarò qualcuno un giorno, mi ricorderò sempre che vengo dal nulla…” Così recita un breve passo del brano Condolence una delle tracce estratte dall’album d’esordio At Least For Now. Lui, è Benjamin Clementine fino a poco tempo fa anima invisibile del mondo dimenticato; ora astro nascente delle nuove voci nere. Anglo-ghanese di nascita la sua storia potrebbe sembrare solo una bella favola moderna come tante, ma scavando nella sua biografia emergono particolari da lasciare a bocca aperta. Scappato letteralmente da Londra Benjamin trova la sua nuova “casa” a Parigi. Ovviamente in senso figurato perché la sua è una vita di stenti (qualcuno direbbe da clochard che fa più bohémien …) tra rifugi di fortuna e giornate passate a suonare e cantare nella linea due della metro parigina.

Suggestive le sue parole quando escono da quel fisico da atleta alto quasi due metri che somiglia a un incrocio tra Jean-Michel Basquiat e Nina Simone, ma che è intriso di sofferenza vissuta e un’infinita timidezza. Lui ripete spesso di saper bene cosa è la vita vera da dove viene e cosa sia rimasto oggi. Sarà forse una posa, qualcuno potrebbe obiettare, ma presentarsi ai concerti (tra l’altro anche quelli che aprono il Tour della rivelazione belga Stromae) a piedi nudi è, oltre che un simbolo, una chiara maniera di rimanere a contatto con la terra e con il proprio mondo. Quell’immaginario collettivo che lo aveva lasciato solo per lunghi tratti e infine accolto. Quella stessa esistenza che pare lasciarti morire fino al giorno prima e poi tutto a un tratto, senza preavviso, ti allunga la mano.

Benjamin ha solo ventisei anni ma ha imparato la lezione sulla sua pelle: nessuno regala niente e soprattutto esiste una sola vita, quella reale che va oltre alle illusioni del momento. La sua fortuna forse è stata la timidezza. Quella sofferenza che come si dice, se non ti uccide ti fortifica. I suoi amici di ieri e di oggi sono drogati, barboni, alcolizzati ma anche i poliziotti che lo ascoltavano durante i pattugliamenti la sera. Il suo è un cocktail perfetto tra talento, voce, angoscia e cultura. Sì perché Benjamin non lascia a bocca aperta solamente per la sua potenza espressiva e per la sua poesia. Mette in imbarazzo l’interlocutore più colto quando si tratta di disquisire sui suoi gusti personali e sui suoi grandi maestri. Si parla di William Blake e Nick Drake, ma con estrema naturalezza cita anche Lucio Dalla, Giuseppe di Stefano, Jacques Brel e Giacomo Puccini.

Da tutto questo si evince come nella vita tutto prima o poi torna utile anche le letture e gli ascolti un po’ particolari che si fanno per se stessi quando non ci si sente accolti e si ha tanto tempo da condividere con se stessi. Impressionante la lucidità con cui quest’ artista riesce a trasmettere tutta la sua storia semplicemente cantando. Storia fatta di persone che lo ascoltano adesso come quando era nella metropolitana. Persone vere anche quelle, ci tiene a sottolineare … Persone che semplicemente lo ascoltavano e gli davano la forza per credere in se stesso. Ora con questo disco ufficiale Clementine è la gallina dalle uova d’oro. Si sprecano i paragoni e i complimenti, ma lui comunque non ha dimenticato il suo recente passato, il suo percorso e quale strada intraprendere. La sua è un’anima rap travasata in un corpo e una mente dallo stile chamber pop, dove le parole scorrono veloci senza seguire la sua melodia, proprio come insegnava la strada; quella cantata anche da Dalla. Ma la sua voce è anche molto soul e potente, perché allenata a sopperire alla mancanza di microfono. Le sua dita scorrono veloci sul piano come quando l’auditorio erano i passeggeri in attesa del tram. I testi sono confessioni personali più che liriche vere e proprie. Un velo di malinconia sgorga dalle note del pianoforte ma, se qualcuno potrebbe scomodare un paragone lusinghiero con John Legend, io dico che qui l’energia scaturita è moltiplicata all’ennesima potenza come fosse stata sotto pressione da tempo indefinito.

Davvero difficile dire quale traccia sia meglio dell’altra in un’alternanza di emozioni tra un vigoroso suono di archi e una voce tenebrosa che scalda il cuore; oppure tra un fiume di parole gridate che scuote le coscienze e un pianoforte imbizzarrito espressionismo visivo allo stato puro fatto di passione e passioni.
Dall’incalzante Adios passando per la celebrativa The people and I di “un Van Gogh autobiografico” sino appunto all’ormai celebre Condolence  già citata in apertura vengono disegnati con la bocca e la tastiera i luoghi del non sogno. Ma è soprattutto Cornerstone, brano manifesto con una metrica che si ripete per tutto il disco, la sintesi perfetta di una musica che s’inarca tra brividi e dinamismo inebriante.  Un racconto che ci presenta l’esistenza nuda e cruda per quello che è, fatta anche di dolcezza e recriminazioni. E ancora Quiver a little un pianto solitario e abbandonato che ci trascina nello sconforto. Una carezza dentro un pugno qualcuno direbbe … Insomma tutto il disco è l’inizio di un film, di un libro o di un quadro che qualcuno chiama vita.

Cornerstone (2015)
Benjamin Clementine - At Least for Now

Benjamin Clementine

At Least for Now

, 2015
Genre: Pop , Soul

Tracks:

  • 1) Winston Churchill's Boy
  • 2) Then I Heard A Bachelor's Cry
  • 3) London
  • 4) Adios
  • 5) 5. St-Clementine-On-Tea-And- Crossaints
  • 6) Nemesis
  • 7) The People And I
  • 8) Condolence
  • 9) Cornerstone
  • 10) Quiver A Little
  • 11) Gone

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