Massimo Silverio
Le Retour Du Zéphyr
Quella di Massimo Silverio, è la realtà cantautoriale più importante che mi sia stata data di ascoltare da tempo a questa parte. La sua voce, sinuosa e vissuta, capace di ergersi a frequenze acute e ben modulate, con assoluta leggerezza, quanto a bassi considerevoli è canto sinuoso e abrasivo, sensibile, che disegna, assieme al violoncello e alla chitarra, ora ritmica, ora arpeggiata, una realtà talmente vera, da trascendere in una sorta di irreale, nel subconscio più latente che dà nome alle cose, il non visto, quello che non vogliamo vedere, per non riconoscere la nostra commiserevole bellezza.
Si manifesta lamento, che si erge ad urlo trattenuto, nella prima traccia, dal semplice nome “I (Uno). Un senso di saudade dolente, pervade il brano a seguire (“II”), che si inchioda d'un tratto su un loop chitarristico costituito da una sola nota, mentre il violoncello tesse una trama straziante e le spazzole della batteria, tornano ad accarezzare il male emerso in superficie. Tutto va a spengersi, sul bellissimo canto, a parlar d'amore e corpi che nell'incontrarsi, trovano anche la fatica della costruzione di un rapporto che ogni volta che tende all'altro, rimanda a sé stessi e a qualcosa che “manca” per sentirsi davvero felici.
Cantautorato folk, certo, di matrice anglofona (anche se Silverio, è figlio di studi approfonditi sulle origini della musica della sua terra, la Carnia) ma con inserti cameristici, che tessono filastrocche storpie, in preda alla smania di cedere alla dissonanza, alla dissoluzione e che invece si tendono come elastici, fino allo spasimo, lo stesso di un violoncello senza pace e del lirismo di un canto che scava a fondo, trovando nelle modulazioni armoniche, solo brevi oasi di quiete. “III”, in questo senso, è vero capolavoro.
Floride armonizzazioni in maggiore, fanno di “H”, una ballata che potrebbe ambire ad un buon esito radiofonico. Magnifico il bridge, dove la voce va a toccare il cielo, per poi ridiscendere. I testi sono liriche, di una bellezza cristallina, che trasudano amore per la vita. Altro capolavoro. Un gioiello che sembra essere fatto della stessa natura di luce che sfugge tra le dita a creare stupore puro.
“Distanze”, sa essere ancora più incantevole, con i loop chitarristici iniziali e soundscapes di acque (“aghe”, in friulano, intese come una sorta di rivelazione/benedizione e simbolo di quell'indagine interiore, meditabonda, che appartiene al popolo di questa regione, quello più vicino alla montagna. La Carnia è considerata uno Stato, dai friulani, con capitale Tolmezzo, che conta poco più di 300 abitanti). Il cantato fiorisce, appresso a sospensioni che preparano ad aperture che sanno d'immenso, come a scorgere l'aurora in Nord Europa. Un percorso fatto di luce, creazione, (cit.) “abbattimento di frontiere, per giungere all'essenza, un andare per andare, la natura che trascende il reale, un urlare per farsi ascoltare” e qui.....la mia penna si ripiega su sé stessa e piango, inchiostro.
E' questa, una delle canzoni più belle, che io abbia mai ascoltato.
I brani iniziano dunque ad allungarsi e la “forma canzone”, più che piccole invenzioni, si sfalda, incontrando quel sublime romantico caro a Caspar David Friederich, per quanto le illustrazioni (dipinti in realtà) del booklet, non siano meno che mostra di stupore contemporaneo (quella di “Dormiente”, ad opera di Anna Marta De Marchi, sorta di ragnatela cosmica, intessuta da ali di farfalle in vortice verso la luce, lascia senza fiato).
Su “Rovine”, il violino di Giulio Venier, disegna linee che sanno di Scozia e le voci, si incrociano a guisa di fantasmi.
“Dormiente”, mostra una voce baritonale un po' innaturale nell'appoggio delle note più gravi, ma è ballata/ninna nanna di una poesia ignota. I testi meriterebbero pubblicazione a sé. Assieme a De André, Fossati, Ciampi, Paolo Saporiti, Ferretti, Fiumani, Emidio Clementi e il primo Alessandro Grazian, Silverio, è a mio modesto avviso, il migliore poeta della nostra canzone (tralasciando la costruzione importante, quanto dichiaratamente innaturale, dei migliori Panella e Mogol). La parte musicale, nell'essenzialità di cello, chitarra arpeggiata e soundscape, è perfetta, nel suo essere minimale. Raccogliersi attorno al camino della coscienza.
Con la stessa “calda” mestizia, “Eremo”. Qui la chitarra ha un suono fatto di sogni e la chiusura tronca, sembra condurre al risveglio, anche se c'è da chiedersi a “quale risveglio”, a quale dei tanti.....della violenza della realtà? Di una dimensione che richiama il nostro Io più buio? Di quante dimensioni siam fatti e quante ne attraversiamo? “Eremo” chiude il dischetto, lasciando uno strano pulviscolo nell'aria. Come se qualcosa fosse cambiato, per sempre, in attesa di un ascolto, successivo. Qualcosa che verrà quando farà freddo e si sentirà la necessità di trovare un angolo buio tutto per sé, in cui nascondersi, per lasciare alla percezione, qualcosa di ogni volta inaudito e familiare. L'essenza.
Fatevi un favore, in mezzo a tanta immondizia che ascoltate come anfetaminico, durante la vostra giornata, REGALATEVI “Le Retour Du Zéphyr”.
Imparerete, lentamente, ad AMARVI.
Massimo Silverio
Le Retour Du Zéphyr
Canciones:
- 1) I
- 2) II
- 3) III
- 4) H
- 5) Distanze
- 6) Rovine
- 7) Dormiente
- 8) Eremo