Joe Barbieri
Respiro
Come il respiro impalpabile ma necessario
“a Maria Irene, un sempre in un attimo”
In questa brevissima quanto intensa dedica, mi sembra di poter cogliere l’essenza di “Respiro” il nuovo album di Joe Barbieri, caratterizzato da una poetica che parte dalle piccole cose, da gesti quotidiani, persino involontari e naturali, non governabili, come il respiro, per andare poi a cogliere temi universali, esistenziali.
“un sempre in un attimo” è però anche un verso del ritornello di “Zenzero e cannella”, la prima traccia di questa nuova fatica discografica di Joe, che esce a tre anni di distanza dal suo fortunatissimo “Maison Maravivilha” ed è una dolce o forse speziata canzone d’amore “acini di pepe come grani di un rosario senza spine / paprika che asciughi le promesse di una vita senza fine / poi vaniglia per i tuoi perché? E chiodi di garofano per me / per fermare al muro questa foto strampalata do noi due”, c’è tutto il desiderio di fermare un’istantanea, di rendere eterno un magico momento.
Quale donna non vorrebbe sentirsi dedicare versi come questi.
“Finché una persona parla, non può respirare.
Perciò sacrifica il respiro alla parola. Inoltre,
finché una persona respira, non può parlare.
Perciò sacrifica la parola al respiro.”
(Kaushitaki Upanishad)
Questi invece sono i versi tratti dal testo sacro induista e riportati in contro copertina, una riflessione che sembra lontanissima dalla frenesia del nostro quotidiano vivere, in cui non abbiamo più tempo per nulla e non sappiamo più ascoltare le parole degli altri, figuriamoci se possiamo quindi soffermarci ad ascoltare il nostro respiro. Sembrano parole necessarie, taumaturgiche, uscite da chissà quale antico mondo scomparso e questa è anche la piacevolissima impressione che si riceve dall’ascolto di “Scusami”, un titolo che è già un’espressione desueta. E’ la canzone di un sofferto addio, meravigliosa, con quel suo lento svilupparsi di magici liriche “serbo in bocca questa eco profonda di te che mi parli / ed inventi paziente e radiosa storie per me / ad un filo io immolavo il respiro e lo consegnavo a te / che non sei mai andata via da me”. Morbide percussioni, suadenti archi. Sublime!
“Diamoci del tu” sembra ancora appartenere a quel mondo che non c’è più, quando un approccio partiva dando del lei alla desiderata figura femminile “diamoci del tu, forse suonerà / un ardire eccentrico un po’ anticonformista e forse non le piacerà / ma diamoci del tu se lo crederà / bando al perbenismo, alle formalità di rito care a questa società “. Magnifico il vibrafono di Pasquale Bardari, che apre il brano al passo di fox e nello stesso tempo mi porta in mente quel mito di Lionel Hampton, i versi sono curatissimi come sempre, da sottolineare poi la presenza della chitarra manouche di Oscar Montalbano.
Note tristi suonate dal pianoforte magico di Stefano Bollani, aprono “Un regno da disfare”, poi arrivano i primi sofferti versi quasi trattenuti dalla voce di Joe “bevo dal lato del bicchiere in cui hai bevuto tu / l’istante prima di essertene andata via / così mi illudo di poterti trattenere / e sulle mie labbra tu possa ancora abitare”, il dolore dell’addio sembra quasi rimbombare nel silenzio “sgrana il mattino per un uomo che muore / e ti sento ancora parlare / di un conto del mercato / di un libro da cambiare”. L’ingresso successivo degli archi compie il miracolo e ingigantisce questo spasimo all’infinito “e batte forte il sapore di un pegno che hai scordato / di un regno da disfare”. Ai vertici.
Lieve e ariosa, “Sostanza e forma” porta una ventata di ritmo sudamericano, una sferzata d’aria pura “e mentre l’aria mi mortifica ogni passo / disimparo com’è mettere radici / e mentre ascolto ogni cosa che mi dici / io mi accorgo solo adesso che mi piaci”, confermando ancora una volta la fine scrittura di Joe.
Un vero gioiello è la successiva “’E vase annure”, canzone scritta da Joe nel suo dialetto, il napoletano e che a ritmo di bossanova ci canta ancora dell’amore o meglio del desiderio di amore, quello vero “vide ca so’ sti lacreme a fà ‘a spia, / a me veni a cuntà ca me vuò bbene / si pure nun m’o ddice tu m’appartiene / scetame e viene a di che “si”? / vide ca so’ ‘sti lacreme a fa ‘a spia pe me”. Fabrizio Bosso con la sua tromba pone il suggello, è il caso di dirlo, su quest’altro splendido brano, dove si può dire che Napoli incontri Rio de Janeiro.
Una voce scura e calda, quasi agli antipodi di quella di Joe, è quella che apre “Le milonghe del sabato”, è quella di Gianmaria Testa, che duetta con Joe in questa deliziosa fotografia di un “triste” sabato sera tra tanghi e milonghe, ci racconta di un uomo, un ballerino che ha fatto della pista da ballo il proprio terreno di conquista, ma un rifiuto lo getta nello sconforto “cosa mi piglia, cosa mi stanca, / che cosa mi manca ai tuoi occhi blasé / serri le ciglia di questa distanza / e affondi grammatica il migliore traspié”, è quindi la solitudine a far capolino nel triste finale “cigola questa mia pena ridicola / puntata a un petto che palpita e / che tregua non mi dà”. Raffinatezza e ricercatezza a braccetto.
Quasi sussurrata, srotolata piano, nota dopo nota, come un pregiato tappeto di note, “Diario di una caduta” è una splendida riflessione, piena di saudade, sull’amarezza su quel peso che come un sasso grava sul quotidiano vivere “vedi come continua la giostra di sempre / ma io non sono capace di scendere qui / e continuo a dire che non esiste quel sasso grande che mi sfinisce”. A duettare qui con Joe e l’urugiaiano Jorge Drexler.
Swing e lingua francese, un ritornello facilissimo, “Étape par étape par étape” sembra quasi il pretesto per confezionare un brano da fischiettare anche sotto la doccia o forse per far divertire ancora una volta quel mito della tromba che risponde al nome di Fabrizio Bosso. Direi che questo brano sta in “Respiro”, come “Balancer” in “C.Q.F.P.” di Giorgio Conte, insomma Joe e Giorgio sembrano due inguaribili amanti del fine divertissement francese.
In “Come una casa”, un lentissimo e suadente bolero, è ancora il rapporto di coppia al centro del mirino, un rapporto in cui il presente sembra già presagire ciò che accadrà, quell’inevitabile distacco “legami a un dito il ricordo di te / e fai di me ogni cosa che vuoi / piegami a un rito di vertigine / che possa restituirmi te”. Come una ferita aperta, che neppure la dolcezza degli archi riesce a mitigare.
Chiude il disco, un valzer dolcissimo dalla trama lieve e sottile fin dal titolo “Il balconcino del quinto piano”, sembra quasi essere il naturale evolversi della situazione supposta nel brano precedente, giacché si chiude con questi bei versi “questa sera non penso a te, a dove sei svanita / dal balconcino del quinto piano / lascio le stelle di stucco / tace il quartiere e si placa il crudele / mio patir”. Una ferita del cuore ormai cicatrizzata, dentro una notte metropolitana. Pura magia.
“Respiro” è un disco dalle tinte pastello, bellissime le illustrazioni curate da Catell Ronca, in cui Joe Barbieri ci racconta l’amore, ma soprattutto le pene legate all’amore, con la consueta sensibilità poetica, il suo canto non è mai imposizione bensì un porgere garbato, quasi sussurrato all’orecchio, è l’ascoltatore che deve abbandonare il quotidiano trafelato correre, per lasciarsi coinvolgere in queste confidenze, se però questo climax è raggiunto, allora sarà amore e amore per sempre.
Joe Barbieri
Respiro
Canciones:
- 1) Zenzero e cannella
- 2) Scusami
- 3) Diamoci del tu
- 4) Un regno da disfare
- 5) Sostanza e forma
- 6) ‘E vase annure
- 7) Le milonghe del sabato
- 8) Diario di una caduta
- 9) Étape par étape par étape
- 10) Come una casa
- 11) Il balconcino del quinto piano
Información tomada del disco
Joe Barbieri: voce, chitarre classiche
Sergio Di Natale: batteria
Giacomo Pedicini: contrabbasso
Antonio Fresa: pianoforte, rhodes, hammond, scrittura e direzione orchestra (9)
Stefano Jorio: violoncello
Oscar Montalbano: chitarra manouche
Gianni Iorio: bandoneon
Pasquale Bardari: vibrafono
Tony Canto: chitarre elettriche
Emidio Ausielo: percussioni
Luigi Scialdone: basso acustico (1)
Stefano Bollani: pianoforte (4)
Jorge Drexler: voce (8)
Gianmaria Testa: voce (7)
Fabrizio Bosso: tromba (6, 9)
Orchestra d’archi: (9)
composta da:
Armand Priftuli: primo violino
Piero Calzolari, Pasquale Murrino, Salvo Lombardo, Gianluca Falasca, Antonio Intartaglia, Domenico Mancini, Simona Cappabianca: violini
Giuseppe Navelli, Pietro Lo Popolo, Nicola Russo: viole
Mauro Fagiani, Vladimir Kocaqi: violoncelli
Testi e musiche di Giuseppe Barbieri
Arrangiamenti di Joe Barbieri e Antonio Fresa
Registrato al Mad Recording Studio (Napoli) da Antonio Fresa, assistente di studio Andrea “Jean-Michel” Cutillo
Voci registrate da Luigi Scialdone, assistito da Andrea “Jean- Michel” Cutillo
Orchestra registrata da massimo Aluzzi allo studio Splash (Napoli), assistente di studio Federico Federici
Jorge Drexler è stato registrato da Carles “Campi” Campon all’Estudio de Jorge (Madrid)
Tony Canto ha registrato nel suo studio di registrazione a Messina
Missato da Enzo Foniciello al Mad Recording Studio (Napoli)
Mastering di Rosario Castagnola all’RC Studio (Napoli)
Confidente artistico dei malanimi e dei giorni dritti Antonio Meola
Due piedi ben radicati in terra, con un paio d’ali per fronde Fabio Barbieri
Illustrazioni di Catell Ronca