Carlo Fava
Neve
Neve: fa freddo tra gli abissi e le contraddizioni del vivere!
E’ freddo e distaccato questo nuovo disco di Carlo Fava, anzi è caldo ed infuocato, è lineare e nitido, anzi è poco accessibile e complesso.
No, non sono improvvisamente impazzito, è che “Neve” l’ultima fatica di Carlo Fava ha in se la dualità e la conflittualità che è intrinseca nella vita di ogni uomo, perché la vita è slancio e frenata, gioia e dolore, speranza e delusione e Carlo ha voluto scavare dentro l’essere uomo, continuando quel percorso ideale cominciato nel 2000 con “Personaggi criminali”, lì si era soffermato soprattutto sulla negatività dell’uomo, qui invece affronta il tema in maniera più ampia senza porsi limiti e ne esce un disco splendido.
Attenzione però, perché non è assolutamente un disco da sottofondo, da riempirci un vuoto sonoro, è invece un disco che esige ascolto e partecipazione, solo se ci si lascia coinvolgere e lo si lascia entrare dentro la nostra vita che è un continuo correre senza fermarsi mai, allora ecco che è come se vi ritrovassimo una parte di noi o più parti di noi, proprio perché non siamo un unico io ma tanti io.
Neve resta comunque un disco spiazzante, anche per chi già conosce Carlo Fava e rappresenta una sferzata notevole verso una nuova direzione rispetto al precedente lavoro del 2004 “L’uomo flessibile”, è, infatti, una raccolta di canzoni per voce, viola e pianoforte come recita il sottotitolo del disco e la voce è ovviamente quella di Carlo Fava, la viola è affidata a Danilo Rossi e il pianoforte a Cesare Picco, due grandi musicisti classici, tutte le canzoni sono firmate a quattro mani come consuetudine dalla coppia Carlo Fava e Gianluca Martinelli e se dovessi accostarlo qualcosa, giusto per darne un’idea di insieme, farei forse riferimento al ciclo di lieder “Winterreise” di Franz Schubert.
Direi però che è giunto il momento di ascoltarlo e cercare di capirlo, anche se con Fava tutto è come consuetudine più difficile perché quando pensi di averne afferrato la chiave di lettura è come se ti fosse già sfuggito di mano e stesse puntando in altra direzione, ma la vita è forse facile da decifrare?
Il disco si apre con “Lezioni di tenebre” una canzone raggelante, capace di abbassare di colpo la temperatura del nostro cuore, stilisticamente molto vicina allo stile di Vladimir Vysotsky, ci conduce negli abissi della psiche, in un rapporto ambiguo tra lettore e letteratura, tra la propria storia e secoli di storia dell’umanità, tra conscio ed inconscio. Narra, se di narrazione si può parlare, di quella fase che precede l’abbandono al sonno ed è canzone dotata di un fascino sinistro, che si insinua lentamente nell’animo di chi ascolta.
“La pratica del salasso” è invece una torbida canzone musicalmente vorticosa, che come un vortice ci risucchia con forza dentro una storia di sangue “C’è un assassino nascosto nel bosco / brilla la lama lo riconosco / brilla la vita brilla la lama / notte di luccio per chi si ama / brucia il coltello brucia la gola / donna che fugge col sangue che cola”. La vicenda non appare chiara e per questo ci attira maggiormente, proprio per quel desiderio inconscio di conoscere torbidi particolari che solitamente si prova dinanzi ad efferate vicende di sangue.
“Baby” è invece una delicata e preziosa canzone d’amore, un amore certamente non lineare, è canzone carica di desiderio di amarsi e di incertezza su quel che potrà essere, di casualità e di calcolata determinazione e questo stato d’animo vale per entrambi i protagonisti, si passa, infatti, da “Tu cammini senza cercarmi, tu cammini per incontrarmi” a “Io cammino senza cercarti, io cammino senza cercarti, io cammino per incontrarti”.
La breve “Il merlo” sembra invece più un divertissement che una canzone, anche se affascina per i mirabolanti giochi del pianoforte di Cesare Picco, accompagnato prima dalla viola pizzicata e poi suonata in modo più classico da Danilo Rossi, il testo oscilla tra ermetismo e surrealismo “si muove dentro un labirinto / dentro una scatola cinese in bilico, in bilico… / in bilico sul filo dei pensieri di un dolore necessario / e vuole uscire, vuole uscire, vuole uscire / vuole uscire dal suo acquario”.
In “Naso che cola” una delle più belle canzoni del disco è invece rappresentata tutta la contraddittorietà della vita, non c’è una trama vera e propria, ci sono lampi e visioni “la bambina, l’orco”, luce e buio “ma queste scariche di luce, questo buio improvviso”, bene e male dai contorni non ben definiti “un angelo mi picchia, il diavolo mi consola”, musicalmente è invece più lineare e spensierata, più vicina alle sonorità del precedente disco, è un’iniezione di fiducia nonostante la precarietà della vita.
Ascoltare “Terrazza Belvedere” è come immergersi in un mare di nostalgia ed uscirne intrisi di un’umidità che non ci lascia più, un po’ come quell’amore di cui si narra nel testo “Sono io che ho bisogno di te / o sei tu che hai bisogno di tutto?” o aggiungerei io: siamo forse noi che abbiamo bisogno comunque d’amore e non sappiamo farne a meno? Anche se magari questo amore non ha futuro “il futuro il destino / parole sacre parole al vento”. Intensa e delicata allo stesso tempo.
Implacabile, una stilettata diretta al cuore di ognuno di noi, “Scrivo” è una splendida canzone sul ruolo della scrittura o meglio dell’arte, del suo rapporto con la vita, è secondo me sintesi perfetta dell’intero disco, soffermatevi su questi versi “Scrivo scrivo che la vita è imperfetta per più di un motivo / scrivo scrivo scrivo che la vita è bellissima per più di un motivo”, evocativi e chiarificatori solo però fino ad un certo punto, perché in fondo si fanno solo carico di altre domande sulla vita.
Chiude “Ultima”, una dolcissima e tenera canzone d’amore, rivolta alla propria amata, ultima in ogni cosa che fa e che affronta nel proprio quotidiano vivere, donna mite e discreta in ogni suo agire, non incarna, però la donna che ognuno desidererebbe al proprio fianco? “Ultima ad andarsene, ultima a dire, / ultima a vestirsi, ultima a partire / ultima a raccogliere, ultima a parlare, / ultima a difendersi, ultima a colpire”, il protagonista chiude però così “se vedete quella donna, vi prego, è roba mia”, l’uomo non sa quindi cogliere la bellezza di questa discrezione ed umiltà femminile ma si limita a considerarla “merce” propria. Se il disco si è aperto nel gelo, direi che si chiude senza speranza in una possibile redenzione umana.
E’ indubbiamente un grande disco, di non facile ascolto, difficile da cogliere in pieno, ma da non lasciarsi sfuggire, è un disco che, però non può essere preso alla leggera, che non ammette compromessi: o lo si lascia entrare nei nostri cuori o sarà lui ad abbandonarci al nostro destino…
Carlo Fava
Neve
Notas
Canzoni scritte da Carlo Fava e Gianluca Martinelli
Arrangiamenti: Cesare Picco
Ufficio stampa: Monica Malavasi
Daniele Valentini: registrazioni presso gli Studi della Radio Televisione Svizzera Italiana.
Assistente: Lara Persia.
Stefano Mariani: registrazioni.
Editing e missaggi presso L’Omnia B studio di Milano
Claudio Morselli e Andrea Balducci: mastering presso il Borgo recording studio di Cattognano
Alberto Callari: foto Edizioni musicali: Movimento S.N.C. Duende Music S.A.S. Blumargot Edizioni S.r.l.
Prodotto da Carlo Fava