La quarantunesima edizione del Premio Tenco anno 2017 ha avuto nella giornata del 19 ottobre, prima giornata della Rassegna, una serata interamente dedicata ai vincitori delle TARGHE TENCO 2017. Claudio Lolli (disco in assoluto “Il grande freddo”), Brunori SAS( canzone singola “La verità”), Lastanzadigreta (Opera prima “Creature selvagge”) , Ginevra Di Marco (Interprete di canzoni “La Rubia canta la Negra”), Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro (Album in dialetto “Canti, ballate e ipocondrie d’ammore”). Ma del resto vincere una targa Tenco non è esattamente la stessa cosa di vincere il Premio Tenco che il Club (Tenco) quest'anno, in linea con la scelta di dedicare alle Terre di mare ogni iniziativa del 2017, ha riservato a Vinicio Capossela come artista, Camané e Massimo Ranieri come operatori culturali. Ma riavvolgiamo per un attimo la pellicola e torniamo alla serata del 21 ottobre, serata che Estatica ha seguito in presa diretta per potere trasmettere l'emozione, le sensazioni e le vibrazioni che erano nell'aria e che solo una presenza sul campo avrebbe permesso di conoscere e riconoscere.
Inutile dire che il Tenco trova nella sua location di Sanremo il suo habitat naturale e insostituibile fatto anche, a livello topografico, architettonico, scenografico, di un ambientazione (fuori e dentro all'Ariston) a dir poco decadente nella sua accezione più poetica. Sanremo ricorda per certi aspetti la schiettezza e la ruvidità (rude in inglese) tipica della cultura e del sentire genovese: città vera e allo stesso tempo in crisi d'identità. Sporca e invecchiata dalla vita che si respira e trasuda dagli edifici, dalle facce che uno incontra nei vicoli e dagli odori che ricordano i nostri carruggi. Città bella e ricca di fascino dal momento che è sempre avvolta in un velato senso di malinconia e da un inspiegabile senso di colpa, quasi a ricordare indirettamente la reale essenza della sua icona per eccellenza: Luigi Tenco appunto. E allora si parte con Sergio Cammeriere e la sua “Mano nella mano” dalle tinte latine e mediterranee a sottolineare le sue radici culturali e antropologiche. Si prosegue con “L'amore non si spiega” e il suo omaggio alla Bossanova, oppure con il “Tempo perduto” dai toni jazz.
Un'esibizione in crescendo che ha offerto al pubblico un cantautore in grande spolvero e forse addirittura “migliorato” perché con il tempo ha unito consapevolezza alla sacrosanta cifra stilistica. Una sorte di incantevole sortilegio che nello spazio di una serata ci ha restituito la rivisitazione di una carriera e di un repertorio diventato ormai straordinario.
A confermare il profumo speciale che si respirava in quella sala, si è materializzato, grazie alla voce bellissima di Alessio Arena, il ricordo del grandissimo Fausto Mesolella storico chitarrista e compositore degli Avion Travel. Un momento di alta tensione emotiva, dove la bravura dell'interprete si intrecciava a doppio filo con il suo significato simbolico rappresentato dal tributo ad un grande personaggio della cultura campana. Brividi e un' esplosione di applausi scroscianti hanno accompagnato l'esibizione di una voce potentissima e superlativa condita da tanta, tanta passione e da una rimarchevole voglia di omaggiare la tradizione melodica italiana.
Subito dopo un personaggio che non ha bisogno di presentazioni: il livornese Bobo Rondelli. Fuoriuscito dagli Ottavo Padiglione e dopo aver inanellato il precedente lavoro “Come i Carnevali” e il tributo a Piero Ciampi, da pochi giorni se ne è uscito con il nuovo album “Anime Storte”. Al Tenco presenta il singolo “Soli” che ironizza in maniera garbata sul mondo dei social media e materializza un sodalizio artistico con il suo grande maestro Ciampi e non disdegna di omaggiare l'altrettanto immenso Fabrizio De Andre'. Rondelli trasuda vita e vicissitudini altrui che alla fine saranno pure anche un po' i toni accesi di un accento autobiografico. Il cantautore livornese incarna caratterialmente tutti gli aggettivi della sua città di mare: aperto, vulnerabile, multiculturale, fragile, sociale, poetico, riflessivo. Una zona franca che coniuga la libertà del mare che allontana con il fascino della tradizione popolare locale che avvicina.
Si passa poi alla band rivelazione dell'ultimo anno: gli Ex-Otago. Loro sono di Genova e per la verità hanno alle spalle una lunga gavetta fatta di performance esileranti, concerti in piccoli locali sgarrupati, scissioni e cambi di line-up; ma soprattutto è la costanza nel ricercare la formula vincente quello che sorprende dopo tutti questi anni. Innegabile la loro capacità melodica nel creare facili ritornelli per canzoni d'autore che poi tanto “facili” non sono. Ironia più o meno spinta, no sense in stile Rino Gaetano e sonorità easy-listening da far ricordare l'electro-pop jovanottiano. In realtà sotto una maschera tanto semplice e disimpegnata si nasconde una voglia e una capacità per niente scontata di raccontare la propria generazione anche a distanza di anni. Un suono che poi ricorda anche un po' i Blur più disincantati e soprattutto la certezza che c'è dietro anche la sostanza che non omaggia solo i carruggi di De Andrè in maniera un po' paraculo, ma anche il poco conosciuto quartiere di Marassi (come ci dice lo stesso titolo del loro ultimo album) zona di frontiera e di confine; incrocio di mille contraddizioni prima di lasciarsi alle spalle la vera città per andare in campagna nei paesi di una volta. Tornando all'esibizione purtroppo c'è da registrare subito che l'audio era completamente squilibrato con i bassi che pompavano artificiosamente fino a sfondare la melodia in un crescendo di imbarazzo e una greve suggestione di smarrimento tra i presenti. S'intuiva che le architetture sonore avrebbero meritato maggior fortuna, mentre le parole si ascoltavano a stento così oppresse e sovrastate da cotanta invadenza cacofonica. Prima con “Gli occhi della luna” poi con “Quando sono con te” gli Ex-Otago hanno comunque offerto un piccolo assaggio della loro arte che davvero non so in quanti abbiano potuto anche solo intuire in quella atmosfera quasi surreale. Talmente tale che quasi sopravveniva il dubbio che la cosa fosse volutamente mascherata con l'indifferenza oppure voluta e basta. La situazione “teatrale” è comunque durata il tempo di un'improvvisazione e se da una parte ha tolto le “castagne dal fuoco” all'intero spettacolo dall'altro mi ha lasciato personalmente l'amaro in bocca per quello che poteva essere e alla fine non è stato.
Arriviamo quindi al penultimo ospite che risponde al nome di Gualtiero Bertelli. Veneziano, suonava con la generazione dei vari Lauzi, De Andre' e come loro da sempre si è dedicato alla musica folk in dialetto. Sul palco dell'Ariston ha riproposto tra le altre il suo cavallo di battaglia: Nina. Traccia ancora attuale con i suoi temi mai sopiti come la disoccupazione. Cantautore in lingua italiana, ma soprattutto in dialetto veneziano, ha sempre fatto della militanza un plusvalore artistico e sociale sino a diventare un uomo di casa al Premio Tenco.
Chiudiamo con il vincitore Vinicio Capossela con la seguente motivazione: abbiamo assistito, nel dopo Tenco del 1989, alla partenza del suo viaggio. Un viaggio nella storia della musica e dell’uomo, nella geografia dell’anima e del mito inseguendo le suggestioni di correnti marine. Un percorso che ha portato l'ascoltatore a toccare le culture di popoli e terre che spesso sono dimenticate dal mainstream e dagli intrighi dell' informazione globale. Capossela ci ha portato nei vari porti di un percorso inedito toccando gli snodi culturali che più appartengono alla “periferia” del mondo non in senso letterario e antropologico, ma in senso geopolitico. Di Livorno, Amburgo, Danzica, San Pietroburgo, Atene o Buenos Aires ha esplorato musiche di mare come il rebetico, la morna, il tango, la taranta o la mazurca; si è immerso nei miti della cultura popolare come un cantastorie oscuro e luciferino. Il Premio Tenco non poteva che essere suo nell’edizione intitolata alle Terre di Mare. L'esibizione si è conclusa con un pezzo d'altri tempi come “Con una rosa” dell'album Canzoni a Manovella. Un congedo di classe e di un'eleganza davvero evocativa con il suo profumo d'altri tempi in bianco e nero.